Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Da delegati Rsu di Marghera non abbiamo avuto notizie di questa assemblea,

ma abbiamo ricevuto questo testo da compagni che lavorano in altre zone del Veneto

ad una presenza proletaria nelle fabbriche

Ricordiamo che le Rsu sono comunque un indicativo di spazi eleggibili interni ai luoghi

di lavoro, normalizzate di per se stesse sin dal 1988 con la riforma dei CDF da parte dei

sindacati ufficiali. In precedenza, nei CDF potevano entrare i delegati eletti direttamente

dai lavoratori. Dal 1988, nelle RSU possono entrare solo quei delegati messi in lista

dalle rappresentanze sindacali. Questo ha generato la esigenza di sindacati autorganizzati

ed infatti nel 1993 sono stati fondati gli SLAI/COBAS proprio per sopperire a tale

possibilità ed esigenze.

Paolo Dorigo (SLAI/COBAS – sindacato di classe – provincia di Venezia)

04-12-2006

 

Assemblea nazionale di compagni presenti nelle Rsu

Relazione introduttiva
1 dicembre 2006 - Milano – Omnicomprensivo Lampugnano

Oltre 200 delegate e delegati Rsu di diversi luoghi di lavoro hanno proposto
l’incontro odierno.
E’ forte il disagio che avvertiamo tra i lavoratori e le lavoratrici su come
si stiano mettendo le cose su pensioni, TFR, contrattazione, e non solo.
Altrettanta preoccupazione avvertiamo per quanto riguarda il venir meno del
rispetto dei più elementari principi della democrazia sindacale.
Nell’opposizione sindacale alle politiche economiche e sociali del Governo
Berlusconi avevamo visto aprirsi spiragli positivi in materia di difesa e
risposta alle politiche liberiste, anche se ne avvertivamo la debolezza
strategica in mancanza di una convinta critica alla linea ed alla pratica
concertativa, necessaria per dare sbocco e credibilità a quella svolta che
dai luoghi di lavoro veniva richiesta.
La caduta del Governo Berlusconi sembrava riaprire comunque la possibilità
di un discorso che mettesse mano ai guasti del liberismo selvaggio di questi
anni, con l’abolizione della legge 30, della Bossi-Fini, della controriforma
Moratti, con la difesa del sistema previdenziale pubblico, del salario in
tutte le sue forme e che gettasse le basi per un percorso di emancipazione
del lavoro alle tante, troppe, subordinazioni normative e contrattuali
subite in questi anni.
Paradossalmente ci troviamo invece oggi di fronte ad una controparte
Governativa che, in perfetta sintonia con Confindustria, ci ripropone nella
sostanza una politica di tagli e sacrifici all’interno di una strategia di
sostegno al profitto ed alla rendita e di smantellamento di quel quadro di
diritti sociali e previdenziali per difendere i quali abbiamo lottato in
questi anni.
E paradossalmente viene anche a meno quella iniziativa di lotta e di
proposta che il sindacato confederale sembra oggi incapace di esprimere di
fronte al così detto “Governo amico”.
Così è, ad esempio, che Cgil Cisl e Uil arrivano a sostenere che “questa
finanziaria è la nostra finanziaria”.
Epifani, poi, nella sua relazione all’ultimo Comitato Direttivo della Cgil,
arriva esplicitamente a teorizzare una sua nuova ed originale idea d’
autonomia sindacale subordinata all’obiettivo di sostenere questo governo
per evitarne la caduta.
Noi invece chiediamo al sindacato che si rimanga sui problemi reali che si
chiamano salario, pensioni, diritti ed occupazione e che si eserciti quella
autonomia ed indipendenza dai padroni e dai governi che si fonda unicamente
nella capacità di rappresentare i bisogni dei lavoratori e di garantire il
loro diritto a decidere sulle linee sindacali.

E’ assurdo che di fronte ad una legge finanziaria così importante e pesante
che oltre tutto trascina con se una serie di prossimi interventi su
pensioni, mercato del lavoro e contrattazione non ci sia stato da parte
sindacale un coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori.
Noi siamo sicuri che se questa finanziaria l’avesse proposta un Governo
Berlusconi oggi ne sarebbero stati proclamati già tre di scioperi generali,
magari con manifestazione a Roma, ed i lavoratori vi avrebbero partecipato
in massa.
Abbiamo visto invece il sindacato confederale, non senza impaccio,
articolarsi nei giudizi sulla finanziaria, dagli entusiastici apprezzamenti
alle “luci ed ombre” che poi si risolvono in deboli e frantumate
mobilitazioni, come quelle indette nel settore scuola in questi giorni, che
sembrano più che altro proclamate per dare una valvola di sfogo ai
lavoratori.
Abbiamo visto la firma di accordi, di memorandum, di avvisi comuni, senza
che nessun lavoratore sia stato messo in grado di discutere e di dire la sua
in merito.
Eppure non si parlava di noccioline … anzi!!

Sembra ormai un obbligo istituzionale tornare ogni anno a denunciare la
tenuta dell’istituto previdenziale pubblico. Ormai da Amato ad oggi,
passando da Dini, abbiamo capito in realtà cosa bolle in pentola e quali
sono i veri obiettivi di questo continuo attacco:
- Sostenere lo sviluppo di un mercato finanziario, quello delle pensioni
integrative che in questi anni si è dimostrato asfittico anche per la scarsa
adesione delle lavoratrici e dei lavoratori,
- Liberare le imprese dagli oneri previdenziali ed assistenziali (sempre più
considerati impropri dal sistema),
- Rendere esigibili alle spese correnti ed assistenziali dello Stato quote
consistenti di risorse (ovviamente parliamo di contributi previdenziali e di
TFR) altrimenti destinate al finanziamento della previdenza pubblica.

E sappiamo anche che tutto ciò può essere realizzato solo attraverso due
operazioni:

- Una operazione ideologica per declassare la previdenza a “onere per lo
stato” (costi), e quindi rimuoverla dalla sua propria sede contrattuale
facendola sempre più dipendere dalla legislazione statale (il vincolo alla
percentuale di Pil introdotta da Dini ha dato il via a questa operazione).
Ci si vuol far credere cioè che la pensione non è salario differito ma una
gentile concessione dello Stato da elargire compatibilmente con le
disponibilità ed i bisogni di cassa dello Stato stesso.

- Lo smantellamento sostanziale del grado di copertura della pensione
pubblica e del suo carattere solidaristico ed universalistico tale da
giustificare il dirottamento di sempre maggiori quote di salario del
lavoratore al finanziamento di percorsi previdenziali integrativi dai
rendimenti incerti poiché legati agli andamenti del mercato finanziario.

In questo senso si collocano le particolari proposte oggi sul tappeto:

- Passaggio immediato al sistema contributivo,
- Allungamento dell’età pensionabile,
- Riduzione dei coefficienti di rendimento pensionistici,
- Riduzione del carico contributivo alle imprese,
- Dirottamento di ulteriori quote di salario, oltre a quelle già destinate a
sostenere la previdenza pubblica, a sostegno del mercato finanziario
tramite lo sviluppo delle pensioni integrative,
- Riformare gli enti previdenziali (e quindi la gestione delle risorse in
essi allocati) in organismi che dipendano sempre più esplicitamente dalle
politiche di spesa dello Stato.

Come sempre, tutta questa campagna per tagliare e riformare il sistema
previdenziale viene giustificata dall’assunto che l’attuale sistema (per
altro già notevolmente manomesso dalle riforme precedenti) non sia in grado
di reggere nel tempo.

NON E’ VERO CHE IL SISTEMA PREVIDENZIALE PUBBLICO SIA AL COLLASSO

I bilanci Inps parlano chiaro:

- Il Fondo dei lavoratori dipendenti presenta attualmente un attivo 2
miliardi di euro.
- In deficit sono semmai altri fondi (trasporti, elettrici, telefonici,
dirigenti d’azienda, artigiani, commercianti, agricoltori) il cui valore
contributivo non ha mai coperto l’effettivo valore delle pensioni erogate.

Sull’Inps continuano inoltre a gravare:

- Le spese assistenziali che dovrebbero essere sostenute dalla fiscalità
generale, ma vengono invece anticipate dall’Inps (Gestione degli interveti
assistenziali) o quelle che derivano da un uso improprio della spesa
previdenziale: prepensionamenti per favorire le ristrutturazioni aziendali,
espulsione precoce dei lavoratori “maturi” per favorire lo “svecchiamento”
della manodopera ecc.,

- L'enorme evasione previdenziale per decine di miliardi, su cui è grave la
tolleranza che anche il Governo Prodi sta dimostrando (art.178 della
finanziaria che condona i reati contributivi ai gestori di call center, e la
recente sanatoria per 6 miliardi di euro di mancati versamenti contributivi
da parte delle imprese agricole),

- Una enorme massa di crediti (38,49 miliardi nel 2006) che costituiscono un
prestito erogato alle aziende debitrici e mai riscossi,

- Senza contare, come si diceva prima, la sottocontribuzione di numerose
categorie (autonomi, agricoli, parasubordinati, ecc.) ed i risparmi
previdenziali concessi alle aziende per alcune tipologie di lavoro e per
alcune parti della retribuzione, decontribuzioni che per altro,
assurdamente, già si pensa di estendere.

Possiamo quindi affermare, ma già lo dicevamo e non solo noi fin dai tempi
di Dini, che la cassa previdenza dei lavoratori dipendenti sta oggi
finanziando politiche che non le competerebbero (assistenza, condoni
previdenziali, compensazione dei fondi in deficit, solidarietà verso quei
lavoratori la cui azienda, essendo fallita, non può essere costretta a
risarcire i mancati contributi e le mancate liquidazioni).
Senza dimenticare la vendita dei beni immobili dell’Inps, decisa dal Governo
Berlusconi per abbattere il debito dello Stato. Immobili di proprietà dell’
Inps a garanzia dei fondi pensione.
Nonostante ciò i conti Inps dimostrano che ancora la cassa previdenza dei
lavoratori dipendenti non è al collasso.

Il sistema previdenziale italiano deve rispondere a quanto stabilito
dall'articolo 38 della Costituzione Repubblicana che garantisce ai
lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio,
malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria. Questo non
può essere assicurato attraverso le forme incerte, aleatorie e rischiose del
sistema di finanziamento a capitalizzazione proprio della cosiddetta
previdenza complementare privata.
Affermare che bisogna tornare a tagliare le pensioni è ora, come lo era
ieri, tanto suggestivo quanto infondato.

Ridurre la spesa previdenziale non è una necessità oggettiva, ma è un dictat
imposto dalle politiche economiche neoliberiste, che in questi anni hanno
trasferito gran parte del reddito dal lavoro alla speculazione finanziaria.

COSA BISOGNEREBBE FARE QUINDI?

Basterebbe il ragionamento appena fatto per rendere evidente come le prime
cose da fare per sostenere ancora per parecchi anni il sistema previdenziale
pubblico sono invece:

- Realizzare finalmente la separazione completa fra previdenza e assistenza
(già promessa al tempo dei tagli della Dini ma mai realizzata
compiutamente),
- Procedere alla omogeneizzazione di contribuzioni e prestazioni,
- Separare quei fondi speciali in forte passivo e caricare sulle quelle
categorie l’onere di realizzare politiche di equilibrio dei conti,
- Lotta all’evasione ed alla elusione contributiva, cominciando dalla
sospensione di qualsiasi condono o sanatoria, e bloccando le politiche di
sostegno alle imprese basate sui risparmi previdenziali,
- Effettivo recupero dei crediti.

In molti però ci dicono che tutto ciò non risolverebbe nulla, perché il
disequilibrio del sistema, nel tempo, dipenderebbe dalla scarsità dei
contributi versati rispetto alle pensioni erogate.
A dire questo sono gli stessi che ieri come oggi hanno sostenuto la pratica
dei condoni e degli sgravi previdenziali e già per questo la loro
preoccupazione perde di qualsiasi credibilità.
Ma se fosse necessario, in prospettiva, garantire maggiore copertura al
sistema pubblico, perché allora non utilizzare quelle enormi risorse dei
lavoratori, che oggi si vogliono dirottare ai fondi integrativi, a sostegno,
invece, di un migliore rendimento della pensione pubblica?
A questo non si risponde perché in realtà l’obiettivo di questi non è, come
dicono, la difesa della previdenza pubblica ma fare cassa attorno ad un
progetto finanziario, sul quale sono in molti anche nel sindacato a puntare,
pensando così di realizzarsi come nuova soggettività finanziaria,
interlocutrice di un mercato e di una economia ormai sempre più strutturata
sul modello neocorporativo.

Inoltre, come già abbiamo detto ai tempi della controriforma Dini, e come
abbiamo sempre detto sulla legge 30, se vogliamo pensare da subito a come
sostenere il sistema sul lungo periodo, occorre anche contrastare lo
sviluppo della precarietà nel lavoro.
Anche chi difende la legge 30 sa benissimo che è lo sviluppo di una sempre
maggiore massa di lavoratori precari che rende difficile difendere il
sistema pensionistico negli anni, e questo vale, paradossalmente anche per
le pensioni integrative che in tanti si affannano a presentarcele come la
panacea di tutti i mali.
Precarietà di lavoro vuol dire precarietà salariale e contributiva.
Ma i difensori della scelta a favore delle pensioni integrative ci dicono
che ciò è bene per i giovani, per dare una speranza previdenziale ai
lavoratori precari.
Ma chi è precario può contare su una retribuzione bassa e non costante nel
tempo che gli permette a malapena di versare contributi per una pensione da
fame, e chi tra questi potrà permettersi di pagarsi a parte anche una
pensione integrativa senza per questo finire a dormire sotto i ponti?

Ci vorrebbe a questo punto una capacità sindacale di denunciare le falsità e
ribaltare il ragionamento sulle pensioni, proponendo, come si diceva prima,
alternativamente ad una politica di tagli e di smantellamento del sistema,
una efficace politica di entrate.

LA RISPOSTA SINDACALE NON CI CONVINCE

Se siamo qui oggi è perché siamo di fronte ad una risposta sindacale
assolutamente inadeguata e sbagliata ed a un procedere sindacale che sembra
più preoccupato di risolvere i problemi al Governo che a rappresentare la
volontà delle lavoratrici e dei lavoratori che dovrebbero rappresentare.

Sul piano generale il sindacato confederale ha di fatto sposato l’idea che
per salvare il sistema previdenziale la risposta debba essere lo sviluppo
delle pensioni integrative. Una strana teoria che in realtà accetta la
necessità dei tagli al sistema previdenziale pubblico.

La compromissione sindacale su questo piano data ormai dalla controriforma
Dini ma si è oggi ulteriormente sostanziata :

- Con la firma di un Memorandum d’intesa che di fatto impegna il sindacato
ad un accordo sulle pensioni entro marzo 2007. Già il Memorandum contiene i
punti che andranno normati ed è evidente, al di la di quanto si affannano a
dire, che questi prevedono l’allungamento dell’età pensionabile e la
riduzione dei coefficienti di rendimento pensionistico.

- Con l’accordo sul TFR e pensioni integrative. Un accordo tra due parti
interessate a fare cassa sullo stesso soggetto. Il sindacato ha ottenuto l’
anticipo al 2007 per il rastrellamento del TFR a sostegno dei fondi pensione
integrativi ed il Governo si è intascato il diritto di trasferire su un
fondo nella disponibilità dello stato il TFR inopinato per finanziare le
proprie spese, forse in infrastrutture.

- Un accordo particolarmente arrogante nella sua sostanza per come si sia
deciso di mettere le mani in tasca ai lavoratori senza neppure preoccuparsi
di sentirne il parere e per come si sia imposto il sistema (in odore di
anticostituzionalità) del silenzio-assenso, per la vendita (poiché di questo
si tratta e non di altro) di un prodotto finanziario com’è la pensione
integrativa.

- Con la firma dell’avviso comune sui Call Center, di fatto un accordo la
cui utilità è rintracciabile solo nel fatto che toglie una patata bollente
dalle mani delle aziende, pizzicate dagli ispettori del lavoro, ma che nella
sostanza ha portato il sindacato a scendere sul piano della
contrattualizzazione di quella legge 30 che fino ad ieri si diceva di voler
abolire.

- E non dimentichiamo certo i silenzi sindacali sui condoni previdenziali
(art.178 della finanziaria e condoni agricoli).

Questi accordi e questa pratica dimostrano come sia valida la nostra
preoccupazione nel denunciare la liquidazione di ogni ipotesi di difesa del
sistema previdenziale pubblico da parte del sindacato confederale.

Una preoccupazione che abbiamo posto con forza in questi mesi e che abbiamo
visto crescere nei luoghi di lavoro. In tanti hanno chiesto che ci si
fermasse a discutere, che nessun accordo fosse firmato senza prima averne
discusso nei luoghi di lavoro, consegnando ai lavoratori il diritto di
esprimersi nel merito del mandato sindacale.
Se siamo qui oggi è perché non ci è stato dato altro luogo per discutere e
per rendere evidente il forte dissenso che sta nascendo tra i lavoratori,
nei luoghi di lavoro, nei confronti di una linea e di accordi firmati senza
alcun mandato e senza alcun consenso.
Siamo qui anche per parlare di democrazia quindi, e del bisogno enorme di un
sindacato diverso, democratico, partecipato. Una democrazia che vediamo
negata nella sua semplice essenza quando parliamo di accordi firmati sulla
testa dei lavoratori, di consultazioni negate ed infine, quando vediamo
mettere all’indice, anche dentro le strutture sindacali, quelle categorie e
quei sindacalisti che hanno il coraggio di dirsi non d’accordo con l’attuale
linea sindacale.
Non si era mai arrivati a tanto. Perfino sull’accordo con Dini si arrivò,
anche se a fatica e dopo mesi di battaglie, ad un referendum nei luoghi di
lavoro (un referendum senza regole e possibilità di verifica dove comunque
l’accordo fu bocciato nelle fabbriche e passò di misura solo grazie al voto
dei pensionati).

Senza democrazia non c’è sindacato, ma solo apparati autoreferenziali, cioè
un’altra cosa dal sindacato che vogliamo.
Per questo la battaglia che oggi vogliamo aprire deve avere come cuore anche
l’obiettivo di ripristinare gli elementari diritti dei lavoratori a poter
decidere, ed anche per questo abbiamo chiesto e chiediamo ancora oggi, al
sindacato confederale, di ritirare la firma da quegli accordi, avvisi
comuni, memorandum, firmati senza alcun mandato dai lavoratori.
Chiediamo al sindacato confederale di sospendere ogni trattativa e di
realizzare invece una vera consultazione tra tutti i lavoratori per definire
obiettivi e piattaforme condivise.

Non parliamo solo di pensioni e TFR ovviamente:

- Già Confindustria ha chiesto l’apertura di un tavolo sulla produttività.
Sappiamo cosa Confindustria vuole portare a casa. Più libertà sugli orari di
lavoro e sulla loro distribuzione, snellimento del contratto nazionale a
favore di un peso maggiore da affidare alla contrattazione decentrata, sia
in materia di normative che di salario.

- Già il Governo ha chiesto l’apertura di un tavolo sulla precarietà con l’
obiettivo di contrattualizzare la legge 30, modificandone le parti più
assurde ed inique, ma salvaguardandone la portata e la struttura.

Tutte cose, queste, assieme al capitolo pensioni, concentrate nei primi mesi
del 2007, quasi come se si volesse una volta per tutte fare la quadratura
del cerchio,una specie di resa dei conti, per rendere anche formalmente
stabili i nuovi livelli di subordinazione a cui si pensa di costringere il
lavoro agli obiettivi di remunerabilità delle imprese ed agli obiettivi di
bilancio del Governo.
Sappiamo tutti e bene quale è la posta in gioco. In gioco c’è il livello di
autonomia sindacale, il livello di emancipazione del lavoro dalle
subordinazioni impostegli in questi anni, in gioco ci sono gli interessi
salariali e normativi per milioni di famiglie di lavoratori, ma in gioco c’è
anche lo stesso sindacato che deve decidere se rappresentare i lavoratori o
trasformarsi definitivamente in una lobby.

Non vogliamo essere gentili nelle nostre affermazioni perché sentiamo forte
e pesante la preoccupazione dei lavoratori per quanto avverrà nei prossimi
mesi, così come sentiamo pesante la convinzione che senza una forte
pressione dal basso i sindacati confederali non cambieranno linea e
strategia.

Ma avvertiamo anche l’esigenza di una forte sinistra sindacale, fondata su
obiettivi e percorsi condivisi. Per questo riteniamo che le polemiche di
queste settimane in merito al ruolo del sindacalismo di base siano attacchi
gratuiti che si spiegano solo con la volontà di divisione e di
criminalizzazione di un dissenso che è in realtà molto più vasto ed
articolato di quanto Cgil Cisl Uil ritengano.
Ogni valutazione sulla validità di un percorso va fatta sul merito delle
cose. Insieme abbiamo costruito la manifestazione del 4 novembre, così come
abbiamo tutti condiviso gli obiettivi dello sciopero del 17 novembre contro
la finanziaria. Per questo abbiamo condiviso anche la scelta di pezzi di
Cgil ad essere n piazza il 4 novembre ed il fatto che anche dall’interno
della Cgil si siano dati giudizi di condivisione ai punti della piattaforma
per il 17 novembre.
Ed anche per questo riteniamo che su una questione come Pensioni e Tfr non
si deve aver timore di cercare percorsi unitari tra tutte le forze della
sinistra sindacale ovunque collocate, siano esse in Cgil come pure nei
sindacati di base.

In conclusione provo ad elencare alcune prime proposte di lavoro discusse
come gruppo di coordinamento nazionale per l’organizzazione di questa
assemblea, riunitosi a Roma il 25 novembre scorso al margine del Forum che
abbiamo organizzato sulle pensioni.

Il dato principale è che dobbiamo promuovere ed organizzare da subito, la
messa in campo, nei territori, nelle categorie, nei singoli luoghi di
lavoro, la presenza di una proposta diversa da quella sostenuta oggi da Cgil
Cisl Uil. Per questo si pensa alla costituzione a livello nazionale, con
diramazioni poi a livello locale, di un “Comitato per la difesa della
pensione pubblica” e per la cancellazione del sistema del silenzio-assenso.
Invitiamo a far parte del comitato le i lavoratori, le Rsu, i singoli
delegati e delegate, organizzazioni sindacali e singoli sindacalisti,
avvocati e giuristi, quanti in definitiva si riconoscono nella necessità di
rilanciare una piattaforma in difesa della previdenza pubblica anche
organizzando il diniego esplicito tra i lavoratori nella adesione ai fondi
integrativi.
Un comitato per la difesa della previdenza pubblica che espliciti la sua
posizione e le sue proposte attraverso la distribuzione di volantini, l’
organizzazione di seminari ed assemblee pubbliche e partecipando alle
assemblee nei luoghi di lavoro anche con la presentazione di ordini del
giorno e mozioni.
A sostegno di questo percorso il Comitato per la difesa della previdenza
pubblica si avvarrà anche di un pool di giuristi ed avvocati per non
lasciare nulla di intentato in materia di anticostituzionalità del sistema
del silenzio- assenso nella compravendita di prodotti finanziari, altrimenti
presentata come adesione ai fondi pensione integrativi.

Intendiamo cioè proporre la costruzione di una rete nazionale che favorisca
la discussione tra i lavoratori e che sappia organizzare il loro dissenso
sulle operazioni proposte in materia previdenziale e sostenere la richiesta
di una diversa piattaforma sindacale.
E’ chiaro che qualsiasi accordo dovesse essere raggiunto tra Governo e
Sindacati, noi chiediamo fin da ora, e promuoveremo la crescita di questa
richiesta tra i lavoratori, l’organizzazione di un referendum vincolante,
con regole certe e trasparenti, da tenersi in tutti i luoghi di lavoro.
Crediamo infine che questa assemblea deve darsi una sua continuità
prevedendo una sua riconvocazione nei prossimi mesi anche per valutare
eventuali iniziative di mobilitazione legate al come la situazione dovesse
evolversi.