Nei paesi capitalisti, ad ogni rinascita e sviluppo del movimento del proletariato (giovanile e precario compreso), e della classe operaia in particolare, si ha uno sviluppo e un fagocitare di movimenti di ideologia piccolo-borghese.

Questo sviluppo è utile al potere capitalista imperialista perché toglie unità consenso e sviluppo alla classe operaia nel suo ruolo di direzione ed al suo Partito od agli organismi che con metodo proletario e corretta analisi ed ideologia, vanno organizzandolo per la costruzione del Partito.

Questo sviluppo non si conclude od eclissa con l’esplosione delle fasi rivoluzionarie (per esempio il 1917 in Russia, la rivoluzione culturale in Cina, il cosiddetto “sessantotto” in Europa o Stati Uniti,

il ’77, “la Pantera” del 1990, il movimento contro la guerra, e via dicendo.

Anzi.

Anche la Russia, se pure era un paese feudale, aveva un suo sistema capitalista ed imperialista.

E anche nel 1917 vi fu un ampio diffondersi di questo genere di movimenti.

Questi passi di Lenin ci aiuteranno nel concepire, senza dogmatismi, celebrismi formali, burocratismi e culti della personalità di alcun genere (e senza nulla togliere all’importanza della formazione dei dirigenti dei proletariato, che sono, furono e rimarranno uomini e donne, con i limiti che questo comporta), quali furono i primi problemi POLITICI che il Partito della classe operaia dovette affrontare nella gestione e sviluppo popolare e di classe del potere, di fronte all’emergere di queste posizioni piccolo-borghesi.

 

            TEMPI NUOVI, ERRORI VECCHI IN FORMA NUOVA (21-8-1921 Lenin)

 

Quanto abbiamo letto non significa che chi nello spazio della politica di classe faccia uso metodico di queste od altre citazioni, ma manchi all’atto pratico della necessaria attività, costanza, coerenza e metodo, od anche solo di una di queste qualità, possa ergersi ad inquisitore di altre linee che appunto di queste ideologie piccolo-borghesi sono figlie.

Anzi.

La lotta di classe continua nello sviluppo delle contraddizioni e nel chiarire non quali siano le strade più brevi, ma quali le più corrette e foriere di costruzione e sedimentazione nella classe del proletariato, di coscienza ed organizzazione.

Se nella prima fase (leninista) della costruzione del socialismo

Nella costruzione della rivoluzione, la NEP ed i Soviet, il Partito e l’Internazionale, l’unità operai-contadini e la collettivizzazione delle terre distruggendo i residuati feudali del passato zarismo, furono di fondamentale importanza.

Ma dopo la morte di Lenin ciò non cessò. Contrariamente a chi come Nesi vuole vedere una netta separazione della politica della NEP prima e dopo, interpretando fattori specifici e temporanei come strutturalità diverse, per sostenere la teoria falsa della diversità del socialismo sviluppato dopo la morte di Lenin da quello preconizzato da Lenin, seppellire Lenin sostenendo Lenin, come fanno oggi i trotskisti con il Che, e così giustificare la teoria borghese dell’impossibilità di costruzione del

Socialismo, che appunto costoro intendono legare alla figura di  Lenin e non alle sue idee.

Che poi il PCbR non era solo frutto di Lenin, e il culto della personalità in questa maniera i detrattori del socialismo lo attuano all’incontrario, imbalsamando veramente e dal punto di vista teorico, Lenin per combattere Stalin.

Infatti molto spesso nella storiografia borghese si tratta delle contraddizioni, serie e meno serie, politiche e personali, in campo comunista, in genere, come di contraddizioni irresolubili, dove il carattere del dirigente da divinizzare contro il resto del suo partito, è enfatizzato al massimo grado onde svilire, appunto con lo stesso metodo dei revisionisti (Kruscev in testa), l’esperienza collettiva.

 

Per esempio, Che effettivamente nella storia del MCI siano esistite teorie e deviazioni ultrasinistre che si sono poi ritrovate per l’impossibilità di attuazione pratica delle stesse teorie, a svolgere un ruolo di destra, era noto già a Marx, e poi ad Engels, così come a Lenin, e certamente anche nella GRCP a Mao Tse-Tung. Ma pur potendosi attribuire a Stalin degli errori, NE’ SI PUO’ ATTRIBUIRE A STALIN ogni limite del socialismo, NE’ dipingere il socialismo come ARRETRAMENTO, NE’ tanto meno si può attribuire a Stalin di essere stato mai un ultra-sinistro.

 

Quando si afftonta lo studio della Rivoluzione d’Ottobre senza riconoscere né le difficoltà immediate né quelle successive nella trasformazione di una società feudale in presenza del capitalismo, in una società socialista; quando si affronta lo studio della società socialista senza considerare che l’occidente non ha certo prodotto di meglio nella gestione dell’economia e della cosa pubblica; quando si enfatizzano i caratteri personalistici dimentichi delle dimensioni colossali del paese, del Partito, e delle diverse etnie lingue e religioni presenti; allora si dimostra indiscutibilmente la natura borghese di uno studioso o di gruppi di studiosi.

 

Mentre Marx, ed i suoi migliori interpreti nelle rivoluzioni a lui contemporanee e successive (da Engels in poi), ha affrontato lo studio scientifico del capitalismo dimostrandone l’ingiustizia strutturale di ogni società che lo abbia a modo di produzione dominante, i detrattori della rivoluzione ancora oggi si rifiutano di fornire alla comunità degli studi scientifici sul socialismo, e invece ne producono di variamente diffamanti, che si distendono tra la disinformazione e le cronache rosa.

 

È indiscutibile per esempio il cattivo gusto e la faziosità revisionista di chi ha pubblicato e pubblica, una volta deceduti gli autori, le lettere private di dirigenti rivoluzionari (Lenin, Gramsci, per esempio), come se fossero di chissà quale importanza, dimentichi non a caso del fatto che un uomo è un uomo anche se è Lenin, e inoltre che quest’uomo non avrebbe certo desiderato che i cazzi suoi venissero ad assurgere ad elementi di speculazione per immondi revisionisti quali lui stesso in vita (es. contro Plechanov o Bernstein) aveva combattuto.

 

Il limite dei citazionisti invece è quello di citare ad uso e consumo, e non di cercare nelle parole il metodo corretto e proletario che contraddistingue l’operato e quindi anche le parole, dei dirigenti rivoluzionari.

 

C’è chi afferma che le rivoluzioni dopo la morte del loro dirigenti, periscono. Per molti anni questo non fu il caso dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

 

Innanzitutto perché l’URSS (inizialmente Federazione, poi Unione), fu un movimento storico di costruzione da parte delle masse, di una società nuova, nella quale gli aspetti funzionali e migliorativi, venivano dopo quelli necessariamente legati all’abbattimento delle sperequazioni ed ingiustizie. Le quali avendo anche carattere economico e non essendo totalmente risolvibile il dato delle discriminanti economiche attraverso la sola sostituzione del potere ai vari livelli, si riproducono comunque in un lasso di tempo che può essere anche di decenni o più.

 

NON a caso Marx preconizza il comunismo come società senza padroni dei mezzi di produzione, come autentico regno della libertà, solo una volta che la sostituzione della proprietà attaverso la collettivizzazione, sia completa e estesa a livello mondiale, cioè senza che alcun paese mantenga più i propri confini nazionali.

 

QUINDI Marx preconizza già tempi lunghi e passaggi storici, pur spingendo per una rivoluzione, ed assistendo costruttivamente con il noto suo senso critico e storico, a quella di Parigi del 1870-1871, ne vede anche la soppressione.  Lenin la studia, e studia Marx, e produce una teoria del potere che si esplica nella mobilitazione delle masse. Pur dotato di un piccolo partito, essendo questo autenticamenet rivoluzionario, diviene in grado, e non perché dotato di chissà quale tecnologia, di scavalcare gli stessi altri partiti rivoluzionari e di prendere il potere, stupendo persino alcuni dei suoi compagni. Una volta conquistato il potere, il suo Partito deve eviatare di fare la fine della Comune di Parigi, ed è la guerra civile. La quale dura militarmente parlando circa 4 anni, ma si protrae in altra forma anche dopo. Infatti le tendenze, spinte e contrapposizioni, sono molto maggiori in una società nuova, in cui non vi è abitudine a molte cose, che non in una società che da decenni o secoli soffre le stesse forme di oppressione.

 

Il socialismo si trova quindi innanzi alcune questioni, di ordine:

politico legato ai Soviet ed alla loro centralizzazione, ed alla capacità del Partito di esercitarne la direzione per evitare la debacle

economico       legato alle casse dello Stato catturato dalla rivoluzione, e delle attività economiche industriali contadine e di altro genere, presenti

di condizioni sociali

di rimozione in particolare delle forme feudali rimaste

 

E’ proprio in “difesa” dei “poveri” contadini proprietari, classi feudali e di sfruttatori che avevano vissuto nella più assoluta ignoranza e dipendenza dal potere zarista, che l’Occidente ed i “teorici” piccolo borghesi si scatenano nell’accusare le “forme” adottate dal socialismo per poter gestire l’agricoltura in funzione della città.

 

Le città all’epoca non erano inestricabili giungle di asfalto inquinate da smog e invivibili, ma erano arretrati conglobamenti edilizi urbani, nei quali tuttavia era possibile dare delle condizioni di vivibilità e di igiene che nelle campagne, nel fango e nello schiavismo asservito ai contadini ricchi, non era possibile certo garantire.

 

Oltremodo, per poter costruire il socialismo, sconfiggere le malattie e l’analfabetismo, non era possibile “abbellire” i villaggi che erano strutturalmente sorti per rimpinzare le pance dei nobili, proprietari terrieri e dei contadini ricchi.

 

La collettivizzazione delle terre, gli spostamenti di popolazione, il rapporto tra produzione agricola e produzione industriale, quindi costituivano elementi di un progresso nazionale che era necessario ancor prima che per costruire il socialismo, per porre il paese ad un grado di sviluppo superiore rispetto a quello che era stato imposto al popolo contadino da secoli e secoli di oppressione nobiliare e clericale.

 

Un po’ come se oggigiorno dovessimo esercitare un po’ tutti la trasformazione rivoluzionaria: non potremmo perscindere certo dalle specializzazioni esistenti in campi fondamentali dell’economia (proprio quelli che le multinazionali non vogliono più lasciare in Italia), ma nemmeno potremmo abolire d’un tratto le professioni che non ci piacciono (esempio i fiscalisti).

Il popolo, riorganizzato in una Repubblica consiliare in cui si rispettino i principi fondamentali della precedente Costituzione, e si innovi la stessa abolendo la proprietà privata dei mezzi di produzione, abolendo i privilegi identificabili e conosciuti dalle masse sin da subito, per abolire poi anche quelli segreti appena possibile, il popolo, ragionando potremmo dire, dovrebbe ritrovarsi in Soviet, ossia in Assemblee, luogo per luogo, e decidere il da farsi. Ecco che il KAOS autentico del capitalismo cerca di impedire questo tipo di sviluppo storico (il potere della auto-organizzazione, della rivoluzione proletaria dal basso), creando tali e tante divisioni, da rendere utopia il concreto possibile. Ecco sorgere le idee arrendiste, i dogmatismi, i convincimenti di tipo anarchico, distruttivo e partiolaristico.

Ecco che i “dirigenti” della società, nell’apice dello sfacelo capitalista, non esprimono più nemmeno la necessità di “convincere” il popolo, hanno solo una problematica: PREVENIRE IL POSSIBILE.

In questo senso è vero che la repressione preventiva è ben superiore alla guerra dell’aristocrazia bianca che si frappose, dopo il primo sconcerto, alla rivoluzione, ma è anche vero che può agire entro dati limiti.

Quei limiti, se superati, lo sono a causa dei limiti e delle contraddizioni del campo avverso. Ecco quindi la necessità della repressione preventiva, di crearsi dei campi interni al campo rivoluzionario, quando non sia più possibile isolare del tutto questo campo dalle masse.

Come si vede, la gestione del potere e dell’informazione sono ben altra cosa rispetto alle norme di diritto e Costituzionali, secondo le quali le opinioni ed idee hanno tutte lo stesso valore e possibilità di espressione.

Nella costruzione del socialismo, il problema è analogo. C’è sempre la possibilità che le classi borghesi, con i soldi nascosti, con i propri legami con la malavita e le strutture poliziesche e militari, clericali e con i loro contatti multinazionali, possano avviare dei colpi di stato. Fu questo il caso del Cile, dove le elezioni avevano permesso un mutamento, e la borghesia imperialista americana comprò la parte militare che pur si era precedentemente data disponibile alla difesa del socialismo pacifico di Allende.

Quindi il socialismo, non è vero che fu repressione. Fu repressione della borghesia che voleva ripristinare il feudalesimo e il capitalismo d’élite.

Così fu in Germania, dove il “pericolo rosso” fu affrontato dalle truppe militarizzate naziste grazie all’appoggio fondamentale del grande capitale.

In Italia il fascismo sorse grazie al sostegno di certe fazioni militariste capitaliste, e del clero.

La democrazia italiana post seconda guerra mondiale fu più volte a rischio di colpo di stato reazionario, e fu sempre il movimento operaio a sventare questi tentativi.

Così, nello stesso spirito ma da posizione opposta, il Partito bolscevico, non aveva il compito solo di “sperimentare” e proporre alle masse affamate, un nuovo sistema sociale. Doveva costruire un nuovo sistema sociale, pena il decadimento miserabile del paese e la sua riconquista da parte di élites spietate che per secoli e secoli avevano ridotto le masse in catene, come bestiame.

 

Comunque, anche se nel Partito bolscevico vi furono contestazioni e diverse idee sul come attuare questa o quella misura, e sulla necessità o meno di imporre una pianificazione che permettesse la coesistenza con parti di capitalismo statalizzato e delle  attività private, non è assolutamente vero che fu la negazione assoluta di questo e quelle. Ogni misura era legata alla possibilità o meno di funzionalizzare una regione economica o determinate attività, alla dimensione civile e collettiva delle masse. La Società, in questo caso, è il Socialismo, ossia il modo di produzione coincide almeno in tendenza e in parte, con lo spirito ed il fine generale che si è deciso di portare avanti, e che è partecipato dalle masse attraverso le loro forme avanzate e rappresentative: i Soviet, che non finirono certo, come i trotskisti cercano di raccontarci, con la sconfitta di Trotsky in seno al Partito.

 

Qui occorrerebbe una disgressione. I comunisti italiani in particolare hanno storicamente divinizzato il Partito bolscevico ed i Soviet dell’URSS, ma non hanno poi costruito un partito rivoluzionario degno di questo nome né dei Soviet all’altezza dei compiti. Hanno partecipato e costruito una rete di migliaia di sezioni del PCI, e di centinaia di gruppi alla sua sinistra, senza però avere la “misura” necessaria a non enfatizzare il proprio essere “Partito” non essendo ancora “Partito rivoluzionario”. Questo è stato anche nelle organizzazioni combattenti come le BR. Nelle realtà di base e nei consigli di fabbrica, invece, hanno riprodotto, nella schematizzazione del “portare la linea tra le masse”, il ruolo PRESUNTO della propria organizzazione, a prescindere dalla sua effettiva capacità di far crescere le masse, i loro organismi, ed i loro dirigenti. Questa crescita non è assimilabile tout court al passaggio a  militante di partito, od a quadro dirigente.

Questo elemento fu compreso dai dirigenti operai che costruirono l’autonomia operaia alla fine degli anni ’60, e per altri versi fu compreso da alcuni tra quanti sostenevano che la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria era il punto più alto raggiunto dalla dinamica Masse-Partito-Masse nella costruzione del Socialismo. Entrambe le cose erano vere e corrette, ma non giunsero ad unirsi in una concezione rivoluzionaria unitaria adeguata ai paesi capitalisti cosiddetti “avanzati”.

E quindi non sorse quel Partito Maoista che poteva qualificarsi come passaggio.

Si era ancora in Italia in quegli anni, alla concezione del Partito Leninista. Appunto al più una concezione falsa, perché Lenin non era morto con Lenin, ed aveva continuato a marciare, nelle campagne e montagne cinesi, così come in altri luoghi lontani, facendo crescere il leninismo nel marxismo-leninismo-maoismo, a misura del passaggio di altri paesi e continenti al modo di produzione capitalista, attraverso le trasformazioni indotte dalle società coloniali non legate più unicamente all’estrazione di materie prime per le industrie occidentali. Ciò che si vede oggi.

All’epoca questo appunto non era comprensibile. Oggi lo è, e comunisti non sono né i revisionisti, né gli opportunisti, né i riformisti a trucco, né quanti negano la terza tappa del marxismo.

 

Lenin in qualche modo questo lo vide, laddove prevedeva e dichiarava la rivoluzione proletaria come un fenomeno sociale delle masse, che si sposta, in quella fase ad Est (non ad Ovest, in Germania od Europa, dove l’imitazione del modello insurrezionalista non produsse che sconfitte).

 

Ma lo vide anche Stalin, che non a caso non ostacolò mai il lavoro internazionalista, e che certo non fu il repressore cieco e ferino che certa storiografia intende rappresentare, e anche se è certo che condusse una serie di errori (analizzati al solito dopo, a mente fredda, dai compagni più avanzati dell’epoca, dai compagni cinesi), certamente durante il periodo in cui diresse il Partito bolscevico (termine poi divenuto obsoleto) il socialismo produsse benessere e serenità tra le masse, partecipazione e militanza nel mondo del lavoro, cultura e capacità scientifica del paese, capacità militare e tecnologica tale da competere con il ben più avanzato e dotato di mezzi, sistema capitalista. Questi sono fatti, come lo sono i dati statistici della produzione di allora, che, se sono valido strumento interpretativo oggi, perché non lo devono essere di allora ?  D’altronde era un fatto che la potenza bellica tedesca aveva un grandissimo vantaggio, e ciononostante tattica e strategia, guerra di popolo e capacità di sfruttare il proprio campo a proprio vantaggio (es. nella famosa capacità di traslare le industrie di migliaia di chilometri e di rimetterle in produzione in tempi mai visti prima), furono in grado di sconfiggere il nazi-fascismo e di evitare all’Umanità danni ancora maggiori.

 

Si disse poi che l’URSS si era mangiata tutta l’Europa orientale. Nulla di più falso. O rivoluzioni popolari, o libere elezioni, i paesi dell’Est europeo all’unisono aderirono al Socialismo. E non solo: fu grazie alle mediazioni (erronee secondo alcuni) di Stalin, che rimasero al capitalismo la Grecia e l’Italia.

Le menzogne anarchistiche sulla guerra di Spagna, attribuiscono le colpe all’URSS di Stalin di non aver aiutato abbastanza la repubblica, secondariamente di aver fagocitato la repressione del poum, che tifosisticamente 70 anni e passa dopo, anche persone che gli stessi militanti del poum certo non avrebbero potuto sopportare, definiscono il partito rivoluzionario per eccellenza di allora. Anche qui contano i numeri ed i fatti. Furono anarchici coloro che spararono per primi sui compagni a Barcellona, e il loro obiettivo era il ministero dell’informazione. A Mosca pure i socialisti rivoluzionari pensarono alle armi nel luglio 1918, e anche lì furono repressi. Nella rivoluzione culturale cinese gli ultrasinistri venivano sparati alla schiena, perché travisavano il metodo e scavalcavano le masse. L’URSS fu l’unico paese che, a migliaia di chilometri e nonostante l’accerchiamento imperialista, aiutò la repubblica spagnola. Ed i comunisti furono la principale forza specie nelle Brigate internazionali, a schierarsi e pagare col sangue nella lotta antifascista. Fu comunista e dell’Internazionale la proposta e l’attuazione del Fronte unico, ed anzi, a questa politica spesso venne sacrificata proprio la linea del PC stesso.

 

Le colpe di Stalin nelle “purghe” del 1934-1939 anche qui sono state enfatizzate, come se in un paese di quelle dimensioni e sviluppo storico un uomo solo potesse gestire una messa in discussione complessiva degli organi dirigenti quale fu quel periodo, nel quale le accuse non viaggiavano segretamente ma erano espressione di contrasti aperti, e discussi nei Soviet.

 

Ogni società poi esprime un certo grado di violenza, ed in questo ciò che distingue borghesia e proletariato sono alcune cose che si ripetono nei diversi periodi storici e situazioni.

Fu borghese il metodo repressivo burocratico, e per esempio questo costò la fucilazione proprio al principale inquisitore. Come anche Lin Piao non fece una fine serena.

Fu proletario il metodo dialettico, come i processi nei Soviet stessi, nelle masse, e non nei circolini privati delle cosiddette avanguardie, che all’epoca avevano ben poca ragione di esistere, come fu proletario il metodo di critica dal basso lanciato dalle guardie rosse in Cina su ispirazione critica di Mao Tse-Tung.

Noi non c’eravamo, ma abbiamo seguito un filo rosso, che non concepisce dogmatismi né deviazionismi di comodo utili per predicare vangeli che non siano sottoposti alla dura critica delle masse, mentre si sta ben nascosti dentro le organizzazioni riformiste od istituzionali per non esporsi alla repressione. La quale peraltro poi arriva anche lì, perché è cieca e furibonda.

Questo filo rosso nasce con Marx ed Engels, e parliamo di Marxismo.

Si sviluppa nella prima internazionale e cresce nel proletariato con il sorgere dei partiti socialdemocratici ed al loro interno delle frazioni comuniste ed anti-militariste. Ha un secondo stadio con il Leninismo, con la conquista del potere da parte del Partito proletario E comunista, e si distingue nel distinguere anche negli altri paesi e realtà, tra posizioni giuste e non, all’interno dell’Internazionale Comunista (un Partito Comunista tendenzialmente mondiale), la quale si scioglie ma non eclissa, con le contraddizioni e difficoltà sorte a causa della 2° guerra mondiale sin dentro i PC. Con il compagno Stalin ha un grado di tenuta e sviluppo nela costruzione del socialismo, con Mao Tse-Tung ha una estensione alle realtà meno sviluppate delle masse del terzo mondo cosiddetto, e nella produzione della scienza della guerra rivoluzionaria ove l’insurrezione è solo l’ultimo atto di un lungo conflitto generale tra classi ed anche contro invasori legati ai potenti.

Con la rivoluzione culturale e il metodo per evitare la fine del socialismo nell’involuzione burocratica ed autoritaria di matrice revisionista borghese, abbiamo la terza tappa del pensiero comunista, con la sua estensione all’universalità del nostro genere umano, alla terra intera: e siamo al Maoismo.

Mao è Leninista come lo è Stalin, ma in maniera migliore.

Lenin è Marxista come lo fu Gramsci, ma con maggiore successo e determinazione.

Marx non è cristiano, è dialettico e materialista, scienziato ed amante della necessità di libertà ed autentica democrazia delle masse nell’emancipazione dallo sfruttamento di allora e di oggi.

Per questo il nostro festeggiare la Rivoluzione d’Ottobre è il nostro essere

Marxisti-Leninisti-Maoisti.