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RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

(nell’agosto scorso ricevevamo questo testo; messo in rete nel novembre 2005, misteriosamente qualche infame fascista ha pensato di costruire montature o “contrasti” facendolo sparire dal server di Aruba dove stava. Non avendo libertà di movimento, siamo ancora dove siamo a livello provider, ma certi giochini fan male a chi li fa non a chi li subisce (il pubblico e il curatore del sito)(se qualche compagno fosse in possesso della edizione di novembre di questa pagina, con le tabelline sistemate, e non scarsamente leggibili come nell’edizione originale, è pregato di rimandarcela per mail a paolodorigo@alice.it )

 

L’economia politica – miseria dell’offerta del posto di lavoro

(di Wal Buchenberg 1.8.2005)

 

Nella nostra società circa il 3 percento della popolazione è proprietario dei posti di lavoro (= mezzi di produzione), è “datore di lavoro”. Di questi proprietari di mezzi di produzione, la gran parte deve ricevere da noi la domanda di un posto di lavoro per far fronte al proprio sostentamento. E soltanto i funzionari ricevono il posto di lavoro a tempo indeterminato.

   Senza lavoro nessun salario, senza lavoro solo grandi difficoltà.

 

 

1.Più lavoro? Dove prenderlo?

1.1.Chi ha bisogno di un posto di lavoro?

 

I piccoli lavoratori autonomi che vivono del proprio lavoro e che utilizzano mezzi di lavoro propri, non sembrano cercare lavoro sul mercato del lavoro. Questa classe media tradizionale è composta da artigiani e contadini, ma anche da medici, farmacisti ecc., proprietari terrieri ecc., in totale essi costituiscono circa il 7 percento della popolazione attiva. La metà di questi piccoli lavoratori autonomi lavora completamente senza lavoratori salariati estranei. Essi mettono a disposizione posti di lavoro in dimensioni ridotte. Nella misura in cui impiegano lavoro esterno, fanno questo in una dimensione che, tuttavia, non consente loro di poter vivere di quel lavoro esterno.

   Non sono colpiti dalla disoccupazione neppure gli impiegati dello stato, circa il 7 percento della popolazione attiva l’ ”obbligo all’assistenza” dello stato, per tutta la vita dei suoi servitori, è un privilegio di posizione con il quale deve essere ottenuta la loro lealtà  verso i detentori del potere del momento.

   Circa l’83 percento della popolazione attiva restante, in Germania, deve far fronte al proprio sostentamento attraverso la vendita della propria forza-lavoro. Essa cade nella povertà se non trova un posto di lavoro. Questi salariati sono minacciati dalla disoccupazione lungo tutta la loro vita professionale. Circa il 30 percento di questi lavoratori salariati ha conosciuto la disoccupazione almeno una volta. La disoccupazione segue la vita non soltanto dei disoccupati oggi, ma anche dei salariati oggi attivi, li costringe a più alte prestazioni, a tempi di lavoro più lunghi, a rinunce salariali, ecc.

 

Classi sociali nella società tedesca nel 2005

(questa la piramide)

 

capitalisti                                                  3% della popolazione attiva

funzionari dirigenti dello stato                    3%                             

funzionari dello stato e politici                  7%                             

vecchia classe media (autonomi)              7%                             

salariati                                                   87%                             

                                                                     (fonte: istat Rft)

 

Tutti i nostri politici, di destra e di sinistra, promettono “più lavoro”. Questo desiderio di “più lavoro” è assolutamente conforme al capitalismo. “Più lavoro” crea un ampio fondamento per i piani sottostanti alla nostra piramide sociale. “Più lavoro” porta più profitto al capitale. “Più lavoro” rafforza stato e governo, perché le casse dello stato hanno maggiori entrate e minori spese sociali. Chi chiede “più lavoro” promuove il potere dello stato e del capitale.

   Di questo si tace volentieri. Volentieri e dettagliatamente si parla invece della grande utilità che portano, a noi lavoratori salariati, posti di lavoro aggiuntivi :

   Il lavoro dell’operaio salariato si trova sempre sotto comando esterno:Esso è essenzialmente lavoro coatto. Il lavoro salariato è lavoro coatto, perché i lavoratori salariati possono sostenere un tenore di vita, appena sufficiente, solo quando trovano un acquirente della loro forza-lavoro. Il lavoro salariato è lavoro coatto, perché è posto sotto il comando di una volontà esterna . I lavoratori salariati devono fare quel che viene loro messo davanti. Nel loro lavoro essi sono solo organi esecutivi della volontà capitalista dominante.

 

Nota 1

Certamente noi lavoratori salariati siamo liberi fino al punto di poterci scegliere un altro capitalista. Ma siamo incatenati completamente alla classe dei capitalisti, come al nostro sistema di governo. Come lavoratori salariati possiamo rifiutare questo o quel capitalista, ma non la classe dei capitalisti nel suo complesso.

 

Nota 2

Con il lavoro salariato si può far fronte al proprio sostentamento alla meno peggio. Ma se non si trova più un acquirente della propria forza-lavoro, allora, con certezza, si cade nella povertà. Quanto più preme la disoccupazione, tanto più aumenta la speranza agognata di avere un posto di lavoro.

 

Nota 3

Dove la difficoltà è di casa

(quote dei disoccupati in Germania ad agosto 2004)

 

lander dell’est media 18% sul totale popolazione attiva

lander dell’ovest media 8,4%                                

                                                    (fonte: Agenzia del lavoro federale)

 

E’ strano che tutti i partiti e i politici dalla destra fino alla sinistra, assieme al governo, da anni promettano “più lavoro”, ma che, tuttavia, il numero dei disoccupati continui a crescere o si fermi ad un livello alto.

   La richiesta di “più lavoro” non soltanto è del tutto conforme al capitalismo, essa è anche assolutamente illusoria. La “piena occupazione” promessa dai politici non dovrebbe più costituire la tendenza di sviluppo fondamentale del capitalismo. Di questo voglio occuparmi nell’indagine che segue.

 

 

1.1.Offerta di posti di lavoro da parte dello stato

 

Chi mette a disposizione i posti di lavoro? Esistono due gruppi di proprietari, cioè di amministratori dei posti di lavoro: lo stato e i capitalisti.

   Vediamo in primo luogo i posti di lavoro nel servizio pubblico.

   Attualmente il servizio pubblico occupa meno di 6 milioni fra lavoratrici e lavoratori, 4,4 milioni con contratto a tempo pieno, 1,5 milioni a tempo parziale.

   Di conseguenza il servizio pubblico dispone del 17 percento di tutti i posti di lavoro salariati.

   Questi posti si dividono come segue:

   45 percento degli impiegati pubblici lavora negli uffici dei lander (regioni), il 32 percento nei comuni e il 10 percento negli uffici federali (stato centrale) e il restante 13 percento presso imprese ed istituzioni sempre federali. Un buon 35 percento di tutti gli impiegati pubblici rimane in rapporto coi funzionari dirigenti.

   Il numero dei posti a lungo termine, nel servizio pubblico decresce. Il numero degli impiegati statali, dalla riunificazione del 1991, è incessantemente e chiaramente andato indietro. Il numero di impiegati pubblici di allora, 6,7 milioni, in undici anni si è ridotto a 4,8 milioni. Questa evidente riduzione è da ricondurre, in parte alla privatizzazione della posta ecc.? Questi posti di lavoro non sono completamente scomparsi, ma sono stati spostati nell’economia privata; ad ogni modo, di fronte al crescente debito dello stato non va tenuto conto che i risparmi di posti nel servizio pubblico vengano in futuro limitati.

   Il 25 percento di tutti gli introiti dello stato fluiscono nei costi del personale degli impiegati pubblici. Effettivamente tutti gli impiegati e i funzionari dello stato vivono e lavorano a spese dei lavoratori produttivi. Tutti gli impiegati pubblici vivono della ricchezza sociale prodotta dai lavoratori produttivi.

   Nello stato come “macchina da lavoro”non è il caso, per il futuro, riporvi alcuna speranza. Già oggi i datori di lavoro pubblici sono altamente indebitati. Circa il 20 percento dell’esazione fiscale fluisce, come pagamento dei tassi interesse, immediatamente nelle tasche dei creditori capitalisti dello stato. Posti di lavoro addizionali nei servizi pubblici dovrebbero essere finanziati attraverso tasse e tariffe addizionali. Solo con una “tassa dei ricchi” questo non si può fare.

 

 

1.3. L’offerta di posti di lavoro dell’economia privata capitalistica

 

I posti di lavoro dell’economia privata capitalistica costituiscono circa l’80 percento di tutti i posti di lavoro.

   Dal1960 il volume del lavoro totale (somma di tutte le ore prestate) nell’economia privata è caduta di circa il 30 percento. In Germania le ore di lavoro prestate dai lavoratori salariati, dal 1991 al 2002, sono calate da 60 miliardi a 56 miliardi, senza che contemporanamente il tempo di lavoro abbia avuto una riduzione degna di nota. I posti di lavoro a tempo pieno invece di finire sotto tiro, vengono trasformati in posti a tempo parziale. Nel 1985 appena l’11 percento dell’occupazione totale lavorava a tempo parziale, nel 1999  questo dato era già salito al 18 percento.

   Con il progresso della tecnologia e della produttività del lavoro, i volumi del lavoro sociale inevitabilmente sono caduti. Questa nel capitalismo è una tendenza a lunga scadenza in sé positiva, ma sui lavoratori salariati ha conseguenze più negative che positive. Una di queste conseguenze del progresso è la disoccupazione di massa, un’altra è la perdita di posti di lavoro a tempo pieno, il quale rende possibile un sostentamento senza difficoltà.

 

Sviluppo dell’occupazione a tempo parziale e pieno nell’Unione europea – 1987-1997

(percentuale sul totale dell’occupazione)

 

                            tempo pieno                            tempo parziale

1987                              1                                             0,3

1991                           0,5                                             0,4

1992                         -1,7                                              0,5

1993                         -2                                                  0,2

1994                         -0,8                                               0,6

1995                          0,6                                                0,5

1996                         -0,1                                                0,4

1997                         -0,1                                                0,6

                                                            (fonte:Ocse)

 

In questo grafico si vede: dal 1992 il bilancio del volume dei posti di lavoro nell’Ue, rispetto all’anno precedente, è stato negativo. Il volume del lavoro totale è caduto. “Nuovi” posti di lavoro sono stati creati dal fatto che l’occupazione a tempo pieno è stata frammentata in occupazione a tempo parziale.

   Non è la prima volta,dalla sua esistenza, che il capitalismo riduce il volume del lavoro sociale e il progresso di tecnologia e produttività del lavoro. Quel che c’è di nuovo oggi in questa tendenza, è che essa sfocia in disoccupazione di massa.

   Negli “anni dorati, fra il 1960 e il 1973”, la gente puntellava il proprio ottimismo, affermava: la piena occupazione sarebbe possibile e l’odierna disoccupazione di massa è soltanto un fenomeno passeggero. Questo motivo lo ripetono ancora oggi tutti i politici dalla sinistra PDS alla SPD, Verdi, CDU e FDP (liberali) fino all’NPD (l’Msi tedesco, ndt) e altri partiti marginali. Ognuno di loro afferma di possedere una ricetta contro la disoccupazione.

 

 

2.Le politiche contro la miseria del lavoro

 

Si dice:

-      la riduzione del salario porta più posti;

-      più salario porta più posti;

-      credito più a buon mercato porta più posti;

-      più crescita porta a più più posti;

-      più investimenti portano più posti.

Questa è una litania dei politici sul tema della disoccupazione. Che cosa dicono questi articoli di fede? Questo voglio esaminare di seguito.

 

 

2.1. Meno salari più posti?

 

In Germania, gli ultimi dieci anni sono stati anni in cui la disoccupazione è aumentata mentre il salario reale è ampiamente ristagnato. Chi afferma che con l’aumento più piccolo del salario o addirittura con la caduta del salario, verrebbero creati più posti di lavoro, trova le sue affermazioni punite dalla realtà.

 

Sviluppo del salario reale in Germania

(posta una scala da 0 a 110)

 

1960                                                                          40

1970                                     70

1980                                     85

1990                                     95

2000                                    100

2001                                      99

                                               (fonte:Thomson Data Stream)

 

L’aumento contenuto del salario e la riduzione del salario, portano ai capitalisti maggiore profitto. Del fatto che più profitto non porti più posti di lavoro, mi occupo qui sotto.

 

 

2.2. Credito a più buon mercato contro più posti di lavoro?

 

Da tempo il livello dei tassi è sulla posizione storicamente bassa.

 

La forza economica del capitale paralizzata.

(prodotto nazionale lordo e aggiudicazione del credito – 1952-2002)

 

                                 PNL             tasso di sconto        credito aggiudicato

                 mld euro              %                 %                mld euro           %

1952               1600               9                  6                   3500            26

1962               1200              4,5                4                   2800            20

1972                900               3                   8                   1800            12

1982                500              -1                   9                   1600              9

1992               1200               2                  9                   2500             17

2000               1200               2                  4,5                1500               8

2004                 600               0                  3,5                  600               0

 

 (le % del PNL e del flusso del credito sono riferite all’anno precedente)                                                                                                          

                                                                      (fonte: banca centrale Rft)

 

Dal grafico emerge che l’aggiudicazione del credito alle imprese dal 1992 arretra, benché il tasso di sconto cada. Non si può quindi attribuire al tasso di sconto e all’aggiudicazione del credito il fatto che i posti di lavoro sono diminuiti e che sia cresciuta la disoccupazione. Questo è tanto più vero se si tiene davanti che nel mondo esiste una sovrabbondanza di capitale e troppe poche possibilità di impiegarlo con profitto. Il capo economia della FTD, Lucas Zeise, ha scritto: “Strutturalmente esiste una sovraofferta di capitale. Per questo le rendite restano piccole. D’altra parte manca la domanda di capitale. Le possibilità di investimento, relativamente all’impiego di capitale richiesto rimangono troppo piccole.”

 

 

2.3. Più salario per più posti di lavoro?

 

I neoliberali chiedono “rifiuto del salario per più lavoro”, i sindacati tedeschi ribaltano questo nel suo contrario e richiedono “più salario per più lavoro”.

   Più salario è una cosa vitale. Ma il salario è necessario al proprio sostentamento, non per il conseguimento di posti di lavoro esterni. Non è ridicolo sentir dire: mi compro l’auto per assicurare posti di lavoro all’industria dell’auto? Ora proprio così argomentano i sindacati tedeschi: la gente ha bisogno di più salario, la domanda allargata assicura così posti di lavoro.

   Il dogma sindacale: gli aumenti salariali assicurerebbero, assieme alla domanda allargata, i posti di lavoro, è tanto ridicolo quanto eco-

nomicamente capovolto.

   La domanda capace di pagamento dei lavoratori salariati consiste del loro salario netto. Questa domanda per quanto elevata sia non è mai sufficiente ad acquistare il prodotto totale di merci che questi salariati producono. Come del valore delle merci di una sola impresa, i costi del salario costituiscono soltanto una parte, così anche la somma totale dei salari è sempre solo una parte del valore delle merci dell’economia di un paese: lo vedremo ora, la somma totale dei salari della nostra economia ammonta addirittura ad una parte decrescente del valore totale delle merci.

   I nostri capi sindacali sembra non sappiano che il consumo privato è composto dalle spese private di tutte le classi della nostra piramide sociale. Perciò le spese declinanti dei lavoratori salariati possono essere saldate dalle spese in lusso, crescenti, delle classi più in alto nella piramide. Negli Usa, per esempio, le classi dai redditi alti (che superano i 50 000 dollari l’anno), sostengono la metà di tutte le spese del consumo privato.

   Della Germania non conosco nessun dato sulla ripartizione sociale del consumo. Ma sicuramente si può assumere anche qui che, dalle classi con i redditi più alti, provenga una gigantesca e tuttora crescente quota della domanda privata. In Germania, nel 2004 i salari e il reddito netto dei lavoratori è caduto. Ciononostante i patrimoni monetari dei bilanci privati sono aumentati a circa 4 000 miliardi di euro. “Con ciò i valori dei patrimoni dei cittadini tedeschi, negli ultimi due anni, sono aumentati di 400 miliardi di euro.” (FTD, 20.06.2005) Per il consumo privato nel suo complesso ha scarso significato se il consumo del salario complessivo dei lavoratori salariati aumenta o diminuisce. Nell’aumento e nella diminuzione della disoccupazione gioca un ruolo proprio secondario l’aumento o la diminuzione del consumo privato complessivo.

 

Spesa reale per il consumo privato in Germania

(in milioni di euro)

 

1994                                                                                      250

1996                                           260

1998                                           270

2000                                           280

2002                                           282

2004                                           282

                                                           (fonte: Agenzia del lavoro)

 

Negli anni  fra il 1994 e il 2001 il consumo interno è cresciuto. Ciononostante, nello stesso periodo, la disoccupazione è cresciuta.

   Del resto, in fondo, per il capitalista è uguale se trovano i consumatori delle loro merci all’interno o all’estero, importante è che possano venderle contro denaro buono.

 

I capitalisti tedeschi campioni mondiali nell’esportazione

Costo del salario

(1999 = 100)

 

                  Germ.          Fr.           Spag.                  Italia

 

2001           98              98              102                     103

2004           90              98              108                     107

 

 

Valore delle esportazione

(1999 = 100)

 

                          Germ.             Fr.                  Spag.                  It.

 

2001                   120               117                  115                     111

2003                   128               115                  120                     105

2004                   138               118                  125                     109

 

                                                                   (fonte: Unione europea)

 

 

2.4. Più crescita per più posti di lavoro?

 

Da anni il governo ci promette “il pronto incremento dell’economia”, che porterà con sé la piena occupazione. E’ vero che i numeri dei disoccupati barcollano (seguono) coi su e giù dell’economia capitalistica. Ma la miseria del posto di lavoro più che altro è solo un problema congiunturale, come mostra il grafico seguente.

 

Tendenza dell’economia e della produzione in Germania in rapporto all’anno precedente

 

                         ‘92       ‘93      ’95      ’96      ’98       ’00      ’01        ‘04

 

produzione          2         -3        2          0        2,5        4          2           1,3

 

occupazione     -2,5       -1,5      0,2      -0,5     0,2        2         1            0,5

                                                                        

                                                                         (fonte: istat Rft)

 

Si vede che l’ “occupazione” nella gran parte degli anni dal 1992 al 2004 è rimasta nella zona negativa, sotto la linea dello zero. Solo nei periodi in cui la crescita dell’economia raggiungeva per lo meno il 3 percento si è avuta una crescita positiva dell’occupazione.

   Semplificando, si può dire: quando la crescita dell’occupazione non supera il 3 percento, i posti di lavoro a tempo pieno vengono sempre abbattuti. Solo nei periodi brevi in cui la crescita dell’economia oltrepassa il 3 percento, il bilancio dei posti di lavoro diventa positivo.

 

 

Più guadagni per più posti di lavoro?

 

Tutte le ricette neoliberali per “più lavoro” vogliono accrescere il guadagno dell’impresa. Tutte queste ricette si basano sull’equazione: “più guadagno = più posti di lavoro”. Ma questa equazione non è dimostrata.

 

 

3.1. Impiego del guadagno per il lusso o per l’accumulazione.

 

Questa equazione non germina perché i guadagni non vengono mai completamente impiegati negli investimenti ( = accumulazione di capitale) e gli investimenti non vengono mai completamente impiegati per creare nuovi posti di lavoro.

   Il guadagno complessivo dei capitalisti (il “plusvalore”, come lo ha definito K.Marx), è prima di tutto il fondo per il sostentamento dei capitalisti. Essi con tale fondo sostengono i loro consumi privati ( = revenue) e alimentano (escluse le tasse) anche il sostentamento di tutti quei lavoratori improduttivi che, nella sfera dei servizi, rendono loro gradita la vita – a cominciare dallo chauffeur, dal giardiniere, poi le amanti e fino allo psichiatra ecc. Un aumento del guadagno del capitalista si riflette innanzitutto in un aumento del suo consumo di lusso.

 

 

3.2. Consumo crescente del lusso

 

In Germania e nel mondo non scarseggiano i guadagni, c’è ancora ricchezza. Attualmente esistono 760 000 persone che dispongono quanto meno di 1 milione di euro l’anno per le spese voluttuarie. (FTD 11.6. 05) Solo nel 2004 questo circolo di gente si è allargato di altri 4 400 individui. Da esperti della finanza tali individui vengono chiamati “milionari medio-grandi”. Il loro patrimonio totale è aumentato dell’8,2 percento, per una somma complessiva pari a 30 800 miliardi di euro.” (FTD 11.6. 05)

 

I guadagni crescono – anche il numero dei disoccupati

 

                                                 ’80          ’88          ’90         ’98         ‘04

 

Guadagno netto e reddito        100           170         210        320         350

patrimoniale

Salari e stipendi netti               100           140         150        200         230

 

Disoccupazione  (milioni)          1             3,2          2,8           5           4,5

 

 

3.3. Patrimoni monetari crescenti delle imprese

 

Il grafico che segue si riferisce invece a “investimenti e patrimoni liquidi” negli Usa (grandi imprese).

                                                              ’01         ’02        ’03         ‘04

 

Sviluppo degli investimenti                   9             21          15            4

(accumulazione del capitale)

 

Sviluppo di patrimoni                            10            11           12           14

liquidi

 

Tasso di sconto                                       12            10            9             10

 

(ad eccezione del tasso di sconto, sono numeri percentuali riferiti all’anno precedente)                                                  (fonte: Rochdale)

 

Dal 2001 la quota degli investimenti è drasticamente indietreggiata rispetto ai guadagni. Il denaro viene ammucchiato ma non investito. In Germania questo sviluppo è ancor più drammatico.

 

(1999 = 100)                      ’00            ’01            ’02           ’03         ‘04

 

investimenti                        115           105            102           98          102

tassi di profitto                      95             95           102           111         119

 

Dal 2000 gli investimenti sono diminuiti benché i profitti siano aumentati. L’affermazione neoliberale “maggiori guadagni portano maggiori investimenti” è falsa (sbagliata). Questa affermazione non è falsa solo sul breve periodo, ma anche su uno spazio temporale più ampio.

 

Industria in Germania: guadagni crescenti – investimenti decrescenti

 

                                     ’60         ’70          ’80          ’85         ’90          ‘98

 

investimenti                  0,7         0,7           0,6            0,3         0,4          0,1

guadagni                       0,6         0,8           0,8            0,9         0,8          0,9

 

Fra il 1960 e il 2000 i guadagni d’impresa sono aumentati, ma gli investimenti sono caduti. Sulle cause bisognerà guardare più da vicino, resta che per quel che riguarda la quota decrescente dell’investimento, si tratta di una tendenza di lungo periodo.

   Abbiamo visto: la disoccupazione aumenta in caso di consumo crescente. La disoccupazione aumenta mentre il consumo decresce o ristagna. Se i guadagni decrescono, aumenta la disoccupazione e se i guadagni aumentano, aumenta anche la disoccupazione.

   Resta da vedere un ultimo dogma neoliberale: più investimenti = più lavoro. Da questo dogma i neoliberali traggono la parola d’ordine “Lotta per i posti di lavoro” e chiedono “più investimenti”.

 

 

4. Più guadagni per più lavoro?

 

A proposito di guadagni capitalistici, teniamo fermo che i guadagni addizionali in nessun caso si trasformano in investimenti addizionali, in nessun caso si trasformano necessariamente in posti di lavoro addizionali.

 

 

4.1. Investimenti per l’allargamento e per la razionalizzazione?

 

Per quel che riguarda gli investimenti , questi si lasciano suddividere in investimenti per l’allargamento del capitale e in investimenti per la razionalizzazione. I primi creano nuovi posti di lavoro, gli altri li annientano. Nel complesso gli investimenti di razionalizzazione, in Germania, non sono responsabili sul lungo periodo della perdita di posti di lavoro. I posti di lavoro in Germania sono scomparsi perché qui il capitalismo è efficiente e capace nella concorrenza.

   Qui non esamino da dove proviene la disoccupazione, ma inseguo la domanda, da dove devono arrivare posti di lavoro nuovi e addizionali; la- scio per un po’ in disparte gli investimenti per la razionalizzazione.

   Anche se noi consideriamo soltanto gli investimenti per l’allargamento, in nessun caso essi si trasformano in investimenti aggiuntivi 1:1 in nuovi posti di lavoro. Esiste infatti una tendenza capitalistica di lungo periodo che spinge sempre più in alto i capitali di investimento per ogni posto di lavoro.

 

 

4.2. La composizione del capitale in aumento – i costi del posto di  lavoro crescenti

 

E’ chiaro che i costi di investimento per ogni posto di lavoro si suddividono, in primo luogo, in mezzi di produzione (edifici, tecnologia, da una parte e energia, materie prime e materiali grezzi, dall’altra) ed in secondo luogo, in costo del lavoro. I mezzi di produzione in Marx sono anche chiamati “capitale costante”, abbreviato c. Il costo del salario, sempre in Marx, viene chiamato “capitale variabile”, abbreviato v. Karl Marx definiva il rapporto fra le due parti, “composizione del capitale”. Il rapporto dell’una verso l’altra di entrambe le parti del capitale costituisce il rapporto dei mezzi di produzione con il salario o di c:v.

   Se consideriamo i diversi rami dell’economia tedesca, colpisce che ogni capitale è composto in modo completamente diverso.

   Il grafico seguente, sulla differente struttura dei costi del capitale, è un poco semplificante, perché ho calcolato un salario medio di 34 000 euro (2002) in tutti i rami. Effettivamente i salari medi di ogni ramo si differenziano chiaramente. Inserendo i salari brandeburghesi (Brandeburgo, land dell’est che si può dire sta al sud Italia come il nord Italia sta alla Rft ovest, ndt) le diverse composizioni del capitale naturalmente vengono messe in risalto molto meno di quanto lo siano nella realtà. Chi vuole fare il conto coi “costi del sociale”, trova che ciò modifica sensibilmente il risultato.

 

Composizione del capitale e costi del posto di lavoro

(riferito al 2004)

 

ramo                      composizione           costo salario            costi posto lav.

                                       c:v                           v                                 c+v

Imbiancatura

e vetratura                   50:50                      34 000                         68 000

 

Edilizia                         67:33                                                        103 000

industria di

 trasformazione            80:20                                                        170 000

Approvvigionamento

acqua e energia            87:13                                                       260 000

 

Navigazione                  91:9                                                          378 000

                                                                  (fonte: istat Rft)

 

Seguendo la tabella risulta evidente che:

le imprese relativamente piccole e mediamente artigiane, come le imprese di imbiancatura e vetratura, hanno una quota di costi salariali (v), più alta, ma nel complesso i costi dei posti di lavoro (c+v) sono più bassi.

   Rovesciato. Nell’industria le grandi imprese e altamente tecnologicizzate, il ramo dell’energia e della navigazione, hanno una quota bassa  di costi salariali (v), ma contemporaneamente alti costi di capitale (c+v).

   Da questo risulta  la seguente regolarità: quanto più alta è la quota dei costi del salario nel capitale complessivo, tanto più il lavoro salariato viene relativamente occupato  da un determinato capitale e tanto più a buon mercato è la creazione di nuovi posti di lavoro.

   Quanto più bassa è la quota dei costi del salario sui costi complessivi del capitale, tanto più caro diventa ogni singolo posto e tanto meno lavoro salariato occupa un’impresa relativamente alla grandezza di un determinato capitale.

   Lo stesso capitale di 1 milione occupa, sulla base dei numeri summenzionati del ramo imbiancatura e vetratura, circa 15 lavoratori salariati, nell’industria di trasformazione 2,5. I costi del posto di lavoro aumentano con la dimensione dell’impresa, da una parte, e con il progresso della tecnologia , dall’altra: Da entranbe le parti si può osservare la tendenza che nel capitalismo diventa necessità: un impiego continuamente accresciuto di capitale per creare  un posto di lavoro medio. In entrambi i casi, inoltre, risulta che un capitale di composizione più elevata occupa sempre meno lavoro.

 

Aumento organico del capitale

Aumento del capitale costante c nei confronti del capitale variabile v

(1970 = 1)

 

                                ’75              ’80             ’90              ’95            ‘00

Usa                           1,1              1,1              1,1,5          1,2              1,3

Ue                             1,2              1,4              1,7             1,9              2,2

Rft                            1,2               1,3              1,6             1,7              2

 

Dal grafico risulta che la composisizione del capitale in Germania dal 1970 è raddoppiata (da 1 a 2); ciò vuol dire che in Germania i costi, per quel che riguarda il posto di lavoro, da allora, sono più che raddoppiati. Ma vuol anche dire che la domanda di posti di lavoro da parte di un capitale di una determinata grandezza, per esempio di 1 milione di euro, dal 1970 è diminuita della metà.

 

 

4.3. L’esportazione di capitale

 

Abbiamo appreso dei tanti ostacoli i quali impediscono che i guadagni addizionali diventino posti di lavoro addizionali. Prima che un guadagno addizionale venga investito debbono essere soddisfatti innanzitutto i bisogni di lusso dei capitalisti e del loro seguito. In primo luogo deve essere deciso se la restante quota del guadagno fluisce negli investimenti di razionalizzazione o di allargamento, poi su questo decide  solo la composizione del capitale usuale  nel ramo dato; questa decide su quanti posti di lavoro nascono contro 1 milione di euro di nuovi investimenti.

   Se tutto è deciso e chiarito, allora i capitalisti hanno l’ultima parola sulla scelta, se il capitale viene investito all’interno o all’estero.

 

Proletariato tedesco all’estero – sfruttato da capitale tedesco all’estero

complessivamente 4,5 milioni di lavoratori -2001

 

                                   in migliaia                       %rispetto al 2000

negli Usa                       819                                       0,9

Cèchia-Polonia

Slovenia-Ungheria        670                                        6,3

Francia                          351                                        -1,1

Inghilterra                     324                                        -0,7

Grecia-Spagna

Port. Irlanda                  297                                         -1

Italia                              153                                         -0,3

Belgio-Olanda

Lux-Svizzera                 121                                           0,8

                                                              (fonte: Der Spiegel)

 

La direzione dell’investimento? Si investe nel proprio paese o all’estero? Questo in parte dipende da dove l’investimento è più profittevole e in parte se l’investimento è al sicuro  da rapine, espropriazioni, inganni e da altri svantaggi concorrenziali.

   Spesso si dice, l’esportazione di capitale non diminuisce direttamente e assolutamente i posti di lavoro in Germania. Può essere vero e non. In ogni caso l’esportazione di capitale diminuisce l’aumento di lavoro all’interno.

 

 

5. La disoccupazione inevitabilmente è una necessità del sistema

 

Si delinea come risultato complessivo di questa inchiesta. Nella nostra società capitalisticamente organizzata, la disocuppazione è inevitabile come la grandinata violenta e gli alberi abbattuti dal vento. Si delinea ulteriormente che con lo sviluppo della società capitalistica inevitabilmente aumentano i fattori che producono un ingrossamento del numero dei disoccupati. Quanto aumentano con l’inevitabile mutamento del clima globale, tempeste e catastrofi naturali?

   Ma è altrettanto sicuro: la disoccupazione nel capitalismo non è solo inevitabile, per il capitale essa è una necessità.

 

La disoccupazione per il capitale è necessità vitale, perché questa espulsione di forza-lavoro nei rami e nelle imprese raggrinzite, come pure nelle grandi, ridurre la forza-lavoro, al pari del risucchio di forza-lavoro nei rami in espansione, provoca stabilmente un ricambio di forza-lavoro.

   Ogni capitalista che vuole investire addizionalmente si aspetta di incontrare sul mercato macchine, energia e materie prime, come si aspetta ed ha bisogno di un’offerta di forza-lavoro supplementare nella quantità e qualità da lui richiesta. Quando i nostri politici e gli esperti di economia parlano di “piena occupazione”, essi non pensano mai allo zero percentuale di disoccupazione, ma al due, tre e persino cinque percento di disoccupati (rispetto  alla popolazione attiva).

   La disoccupazione per il capitale è necessità vitale, perché la disoccupazione è la frusta gratuita con la quale i lavoratori salariati attivi vengono spinti ad una più intensa prestazione di lavoro nello stesso tempo di lavoro, a tempi di lavoro più lunghi e a salari più bassi, senza che dietro ognuno di loro si apposti un pungolatore con la frusta in mano per spingerli al lavoro, come era necessario nell’economia schiavista.

   Non è un caso che in Germania, parallalemente alla crescita del numero dei disoccupati, le direzioni d’impresa abbiano spinto avanti la “direzione snella” (management lean) con il quale pungolatori e sorveglianti sono stati selezionati e ristretti nei piani medio-bassi della direzione. Con la perdita minacciata del posto di lavoro i lavoratori salariati moderni si controllano alle calcagna da se stessi? Soltanto da lontano vengono sorvegliati da una piccola truppa di persone, da controllori e controllatici che non dominano sugli individui, ma su numeri e dati dell’impresa, i quali scorrono sullo schermo.

   La disoccupazione per il capitale è necessità vitale, perché per l’impresa è più a buon mercato e più profittevole poter selezionare i lavoratori salariati che sono vecchi, malati cronici e logorati o della cui qualifica non c’è più bisogno. Questi lavoratori salariati verranno ceduti in responsabilità alla società che deve garantire ai disoccupati da lungo tempo, il sostentamento vitale. Un proprietario terriero feudale poteva sgattaiolare più facilmente dalle responsabilità verso la propria forza-lavoro di quanto possa un capitalista moderno.

 

“Il pauperismo costituisce una condizione d’esistenza della produzione capitalistica e dello sviluppo della ricchezza. Esso rientra nei faux frais  (costi morti) della produzione capitalistica, che il capitale sa però respingere in gran parte da sé addossandoli alla classe operaia e alla piccola classe media.”

(K. Marx, “Il Capitale”, libro primo, capitolo ventitreesimo, pagina 705, Editori Riuniti, 1997)

 

 

 

(dallo stesso autore, in risposta a domande poste da più lettori sulla possibilità teorica di distinguere oggi fra capitale nazionale e internazionale, fra lavoratori locali e immigrati, pochi giorni dopo la pubblicazione del lungo pezzo sulla disoccupazione, arriva l’articolo che segue. Ndt)

 

Migrazione del capitale e migrazione del lavoro

 

L’opinione “che oggi la merce forza-lavoro in Europa sia completamente libera e sia acquistata su scala mondiale relativamente senza problemi” è solo il punto di vista dei capitalisti. Per il capitale oggi la forza-lavoro di ogni qualificazione è disponibile mondialmente – questo è un fenomeno relativamente nuovo.

   Nel 19. secolo i tessitori indiani facevano concorrenza ai tessitori europei, nel 20. secolo le “merci coloniali” erano quasi soltanto materie prime. Oggigli ingegneri cinesi e i programmatori indiani fanno concorrenza ai lavoratori salariati europei e Usa altamente qualificati.

   Il capitale è mobile e non conosce nessun confine linguistico e statale.

   Dal punto di vista dei lavoratori salariati la cosa è diversa. I lavoratori salariati hanno un domicilio attorniato da barriere linguistiche e politiche. Il cambio del posto di lavoro oltre i confini linguistici e nazionali è collegato ad alti costi e rischi.

   Se il capitale si ritira dalla Germania e spazia verso la Polonia trova forza-lavoro a buon mercato e qualificata. Per i salariati locali ha poco senso seguire questa migrazione del capitale. Il capitale si muove nel mondo ritirandosi dalle regioni sviluppate con alti salari e ad alta composizione di capitale per dirigersi verso regioni con composizione del capitale bassa e con bassi salari.

   Il movimento migratorio mondiale dei lavoratori salariati procede in direzione esattamente ribaltata: dalle regioni meno sviluppate con bassa composizione di capitale e bassi salari verso le regioni sviluppate con alti salari.

   Con ciò la condizione di vita dei lavoratori salariati nelle regioni sviluppate sprofonda, contemporaneamente sale l’offerta di forza-lavoro qualificata e a buon mercato.

   Come si deve e si può reagire a questo?

   Alcuni denunciano i “lavoratori stranieri”: portano via il lavoro agli operai tedeschi. Questa è una posizione che accomuna la destra e la sinistra statalista.

   La sinistra antistatale ignora semplicemente le differenze esistenti fra migrazione del capitale e migrazione della forza-lavoro.  Con ciò ignora la concorrenza pesante reciproca fra lavoratori salariati e denuncia semplicemente la “falsa coscienza” dei lavoratori salariati.

   Marx afferma: “la concorrenza degli operai fra loro è solo un’altra forma della concorrenza dei capitali”. (K. Marx, “Grundrisse”).

   Bisogna mostrare questa concorrenza.

   Ma il mercato del lavoro è la sfera in cui la concorrenza diventa manifesta.

   La concorrenza del lavoro può scomparire soltanto se è eliminata la concorrenza dei capitali.