www.paolodorigo.it pagina forze-trame-nere inserimento da altro sito. 2-8-2006:

Strage di Verona gennaio 2005

Sparizione di Davide Cervia inizio anni 90

“Suicidio” del consulente informatico Landi, aprile 2002

Gli autori di queste pagine inviataci da un lettore: AA-info

La strage di Verona: gesto inconsulto?

La verità è un'altra

Alcuni compagni romagnoli promotori della contro-inchiesta sui delitti della UNO BIANCA negli anni '90

I due giovani poliziotti freddati a Verona durante un servizio di pattugliamento non potevano immaginare che dentro quell'auto, in una fredda notte di febbraio, oltre al corpo di una povera giovane ucraina ci fosse un "terminator", una spietata macchina addestrata per uccidere. Già si parla di "gesto inconsulto", di mostro, di squilibri maniacali.
Quello che ha compiuto Arrigoni (a parte il suo curriculum) non è niente di tutto ciò. Ma la reazione di uno che stava facendo un "lavoro". Un "lavoro" molto sporco che, probabilmente, aveva imparato a fare in Somalia: Uccidere per terrorizzare. La reazione di chi solo ammazzando due pericolosi testimoni può pensare di farla franca. Perché dopo avrebbero pensato a coprirlo "loro" i suoi committenti; come da copione.
Queste affermazioni certamente "impegnative" o forse pesanti non sono il frutto di qualche banale dietrologismo, come molti lettori, compagne e compagni sicuramente penseranno. Sono il frutto di una attenta analisi ormai decennale (partita da una contro-inchiesta fatta in Romagna sui delitti della UNO BIANCA), di fatti ed eventi classificati come "criminali" che si saldano invece a quest'ultimo episodio.
Il primo collegamento immediato è con quanto successe al Pilastro nei primi anni "90 (dove tre carabinieri ausiliari vennero trucidati dalla banda della "UNO BIANCA" perché giunti nel posto sbagliato nel momento sbagliato); e l'omicidio di Bilancia di due guardie giurate dopo aver sparato a una ragazza nigeriana.
La banda della UNO BIANCA era composta da poliziotti legati ai servizi segreti militari. Si macchiò di decine di omicidi e ferimenti contro obiettivi apparentemente diversi fra loro: tabaccai, cassieri, impiegati, benzinai, passanti e testimoni; inoltre zingari e immigrati senza neanche il pretesto di finte rapine per pochi spiccioli.
Il periodo più intenso del gruppo si colloca nella delicata fase di transizione dalla prima alla seconda repubblica (ma già dalla fine degli anni '80 era attiva "la banda delle coop" che probabilmente integrata da altri ignoti elementi operava sempre in E. Romagna e nord delle marche seminando il terrore nei super mercati coop).
Siamo in un momento di scontri senza esclusione di colpi fra apparati e servizi segreti legati alla vecchia classe politica (attaccata anche sul fronte giudiziario con tangentopoli) e quelli legati ai poteri sovra-nazionali che spingono l'acceleratore delle "riforme", accompagnate dalle dichiarazioni e dai gesti simbolici e plateali di Kossiga (il picconatore che durante una cerimonia della massoneria anglosassone di rito scozzese pianta simbolicamente, in un castello della Scozia, una quercia dicendo: "speriamo cresca bene").
Flaminio Piccoli, vecchio esponente democristiano, denuncia i piani di poteri "occulti" per distruggere la prima repubblica e in una intervista dirà: "Per imporre il turbocapitalismo faranno scorrere fiumi di sangue".
La scoperta e l'arresto della banda della UNO BIANCA, che agiva indisturbata da anni lasciando tracce e indizi simili a quelle di un elefante dentro un negozio di cristalleria, avviene probabilmente negli ultimi strascichi di questo scontro fra vecchi e nuovi poteri (ricordiamo il furto "simbolico" di una UNO Bianca dentro la sede del SISDE a Roma). Ma la scia di sangue e di crimini particolarmente efferati non si ferma.
Siamo di fronte ad una nuova strategia del terrore che si adegua e si attualizza alla nuova fase che si è aperta in Italia dopo la sconfitta del movimento operaio nelle sue forme più "rigide" e la ristrutturazione sociale e produttiva del paese Se togliamo gli ultimi bagliori delle stragi di Firenze e Milano, lo stragismo bombarolo si colloca storicamente nel conflitto di classe sorto negli anni '70.
Conflitto che rappresenta forse la punta più avanzata nel contesto europeo che fa dell'Italia una "anomalia" nel mondo occidentale (dopo il riflusso del '68) e soprattutto l'anello debole della catena imperialista euro-atlantica. Paradossalmente se lo stragismo bombarolo è una strategia controrivoluzionaria, tesa a colpire ed arrestare i movimenti sociali di classe, il nuovo terrorismo dei "serial killers", o dei "terminators", si colloca in una strategia "rivoluzionaria" del capitale che deve necessariamente colpire e disgregare nel più profondo il conservatorismo e le riluttanze, formali ed informali, della società italiana alla modernizzazione dopo la caduta del blocco socialista dei paesi dell'Est e della crisi irreversibile dei modelli socialdemocratici del Nord Europa.
Esorcizzato il "pericolo comunista" e messi nell'angolino i movimenti antagonisti resta il problema di disgregare e cancellare tutti quegli elementi di "arretratezza" che costituiscono un ostacolo al pieno sviluppo di un capitalismo moderno, efficiente, decisionista, capace di stare al passo con la competizione globale in formazione.
La società italiana non è preparata a questi cambiamenti radicali che devono avvenire in tempi rapidi perchè la globalizzazione imperialista non aspetta nessuno ne tollera ritardatari. Occorre dunque colpirla nelle sue "cattive" abitudini comportamentali: il provincialismo, l'assistenzialismo, la socialità, e persino la famiglia e le tradizioni religiose, quando diventano ostacolo alla "rivoluzione culturale" del capitale. Occorre disgregare il "comunitarismo" conservatore -dirà Luttwak (consigliere speciale della casa bianca e attento "osservatore" dell'Italia-). È in questo contesto che appare sempre più evidente la figura del "serial killer", del "mostro".
Tanti eventi criminali, spesso di una ferocia inaudita, come se si trattasse di azioni coordinate fra loro. Li accomuna uno spropositato uso della violenza, spesso la mancanza di un movente plausibile e, soprattutto, l'indignazione popolare che riescono a scatenare. Come i delitti della UNO BIANCA.
Menzionarli tutti sarebbe impossibile: ricordiamo "Manolo lo slavo", ergastolano che riesce a fuggire misteriosamente dal carcere di Rimini e si mette a terrorizzare le campagne del Nord Italia vestito con pantaloni mimetici e anfibi. Usa una 357 Magnum per compiere rapine balorde presso case isolate di agricoltori "terminando" le sue vittime: 9 morti ammazzati.
Una volta catturato confesserà in una intervista di essere uscito dal carcere "Grazie a quelli della UNO BIANCA".
Poi c'è il "killer" delle pensionate in Puglia, quello dei taxisti in Toscana che usa strangolare le sue vittime con un laccio alla "commandos"; ancora quello delle prostitute a Modena che vede indagato, che strana coincidenza, un altro ex-parà.
Delle conoscenze del "mostro" Bilancia in ambienti legati ad apparati statali si ha la conferma quando un detenuto, passato per il carcere di Rimini, viene a sapere molte cose in merito. Volerà, "suicida" giù dalla finestra della Questura di La Spezia. Nel frattempo qualche disgraziato, vuoi per essere immigrato, "terrone, o per aver avuto qualche precedente per reati sessuali finisce in "graticola" grazie a ben collaudati depistaggi e impianti accusatori ridicoli (Vedere la vicenda dei catanesi del Pilastro su cui il settimanale "Avvenimenti" fece una bella contro-inchiesta).
E che dire del lagunare-assaltatore della Val di Susa (magari qualche compagno di Torino potrebbe verificare). Circa 3 anni fa questo tizio, descritto da amici e parenti come un uomo mite e gentile (come il suo collega di Verona), un giorno, forse preso dal rimorso, si presenta dai giudici di Torino confessando di aver compiuto numerosi omicidi rimasti insoluti, in finte rapine per conto del SISMI. Partono le prime verifiche e si comincia a capire che il soggetto non è un mitomane. Verrà trovato morto "suicidato" con un colpo alla testa nel bagno del tribunale di Torino durante una udienza.
E perché non ricordare il recente "una bomber" che fabbrica ordignetti in Veneto? Chi ha un minimo bagaglio conoscitivo sa che la preparazione o la manipolazione di esplosivi è qualcosa di estremamente delicata e pericolosa. Solo chi ha frequentato corsi di "alta specializzazione" può preparare ordigni di questo tipo. Dove avrà imparato queste tecniche il nostro amico? In quale base NATO o in quali "missioni di pace"? (E Gladio? NdAL)
Le vicende di Cogne e di Omar ed Erika sono allo stesso tempo le più devastanti e "spettacolari": leggete attentamente dall'inizio di questi tragici fatti fino ad oggi nei maggiori quotidiani ed in particolare "Il resto del carlino" (stranamente sempre attento a particolari che lasciano aperte sempre altre ipotesi senza, ovviamente, tirare mai conclusioni) e vi accorgerete di inchieste zeppe di incongruenze, sparizioni di prove, depistaggi, confessioni degli imputati contraddittorie.
Cosa hanno in comune questi due delitti?
Molto: innanzitutto l'apparizione del reparto dei RIS con le loro investigazioni "scientifiche" (prova del DNA etc.); poi i genitori che ammazzano i figli e i figli che ammazzano i genitori nella maniera più sanguinaria e feroce: a colpi di decine di coltellate e con lo spappolamento del cranio. Tutto questo non in una grande metropoli, dove farebbe meno clamore, ma nella provincia italiana, nella piccola comunità montana dove tutto è sempre più tranquillo e non succede mai niente di eclatante.
L'immaginario collettivo è colpito e turbato profondamente. Ci penseranno i macellai dell'informazione a rendere tutto più macabro e "terroristico": "non si può essere sicuri neanche fra le mura domestiche con la propria famiglia". L'effetto è equivalente a quello di una strage in una stazione a ferragosto o durante le vacanze di Natale.
Del resto non è forse accertato che il "mostro di Rostov" in Russia negli anni '80 era coperto da settori del KGB che stavano preparando la transizione a partire dallo scardinamento dei principi socialisti che garantivano sicurezza e protezione assoluta ai bambini. Occorreva qualcosa di forte, di traumatico per preparare i russi a quello che sarebbe venuto più tardi. Qualcosa che i russi non avevano mai visto: un "mostro" con la tessera del PCUS che divorava bambine.
Lo scopo è sempre lo stesso: condizionare e manipolare costantemente l'"opinione pubblica" attraverso crimini particolarmente efferati.
Se guardiamo tutto quello che è successo in questi ultimi 15 anni nel nostro paese ci si renderà conto dei cambiamenti radicali avvenuti in un lasso di tempo relativamente breve (rispetto ai 45 anni precedenti).
Il terrorismo di stato, nelle sue varie forme ed espressioni, accompagna e guida questi cambiamenti. Rispetto a questa situazione assistiamo ad una completa paralisi e incapacità dei più disparati settori di movimento nel riprendere in mano i fili della contro-informazione e della contro-inchiesta. È un chiaro segno dei tempi di crisi che l'antagonismo di classe vive oggi in Italia.
La crisi ideologica della sinistra rivoluzionaria genera anche l'incapacità di interpretare i fenomeni e sottovalutarli. Spesso non vediamo questi fatti come una trave nell'occhio e inseguiamo invece piccole mosche. Un conto è parlare di strategia terrorista dello stato un conto fare controinformazione su una banda di teppistelli di quartiere con simpatie naziste.
Occorre ripristinare il vecchio metodo della controinformazione e della contro-inchiesta.
Occorre che nei vari ambiti di movimento ci siano soggetti che si prendano cura della raccolta di informazioni, di analizzarle e catalogarle.
Quella sana abitudine che vari gruppi della sinistra extraparlamentare avevano durante la strategia delle bombe (anche se il clima evidentemente non è più lo stesso). Certo, c'è una netta recrudescenza dell'aspetto repressivo.
Sono tornati a selezionare i militanti più scomodi o pericolosi, si ritorna all'uso dei reati associativi (vedi il 270 bis), si ripristinano le provocazioni fasciste per irretire le realtà antagoniste dentro la spirale della guerra per bande. Ma spesso le strategie che non si vedono sono le più pericolose perché i movimenti non riescono a leggerle e a riconoscerle e, soprattutto, a collocarle dentro precisi progetti politici dell'imperialismo e in questa nuova fase dove si stanno realizzando molti degli obiettivi che il grande capitale voleva raggiungere anche attraverso l'uso di queste forme "anomale" di terrorismo.
Speriamo che qualcuno raccolga questo tentativo di stimolare da parte nostra la discussione e un interesse maggiore rispetto a questi fenomeni che rientrano a pieno titolo dentro la così detta strategia della CONTRORIVOLUZIONE.
"I terroristi sono fra noi"
(Antonio Mantella, maresciallo dei carabinieri "suicidato" nella strage della caserma di Bagnara di Romagna il 16 Nov. 1988)
"siamo in tanti"
(Roberto Savi poliziotto killer della Uno Bianca, dopo l'arresto Dicembre 1994) "Per imporre il turbo-capitalismo faranno scorrere fiumi di sangue"
(Flaminio Piccoli esponente nazionale della DC nel periodo di "Tangentopoli")
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Carmilla

Il caso Cervia e il caso Landi: connessione?

Era il '90. C'era Bush, c'era la guerra in Iraq. Qualcosa ricorda qualcosa: è tutto come adesso, mancavano solo le Nuove BR. Scompare Davide Cervia (nella foto a sinistra): esperto di guerre elettroniche. E' un caso avvolto dal mistero, prima che diventi un non-caso avvolto dall'oblio, dalla menzogna, dall'indegna omertà di Stato. Tra le Torri Gemelle e l'Iraq, nel 2002, muore di finto suicidio Michele Landi (nella foto a destra): è un tecnico informatico che si occupa di perizie e sta lavorando sul caso Biagi. Non c'è mezzo di comunicazione che ricordi, in occasione della morte di Landi, il caso Cervia, mentre il coro del sospetto sale unanime congiungendo l'omicidio di Landi ai segreti delle supposte nuove supposte brigate supposte rosse. Come direbbe Lucarelli in tv: abbiamo un Bush, abbiamo una guerra in Iraq, abbiamo un tecnico informatico - fate voi.
Noi facciamo noi. Vorremmo riportare alla pubblica evidenza, per quanto ci consentono i nostri 10.000 lettori quotidiani, che ESISTE UNA CONNESSIONE TRA IL CASO CERVIA E IL CASO LANDI: si indaghi su questo. Ecco la connessione (non è uno scoop): sia Cervia che Landi hanno lavorato al SISTEMA N.A.T.O. CATRIN per l'intercomunicazione e il controllo militare dello spazio aereo e non soltanto (qui le specifiche). Bisogna sottolineare che codici del sistema Catrin sono stati rubati da infiltrati del KGB: uno dei massimi successi dell'intelligence russa negli ultimi decenni. Sia Cervia che Landi hanno avuto connessioni con la Libia e con conoscenze circa il caso Ustica. Queste evidenze sono scandalosamente messe sotto silenzio dall'assenza di vigilanza dei media su due casi che sollevano domande inquietanti su che cosa sia l'Italia dal '90 a oggi.
Di seguito, per non dimenticare, pubblichiamo, su Cervia, estratti dal libro di Gianluca Cicinelli Il caso Cervia - Un giallo di Stato (allegato ad Avvenimenti, nel '95), mentre su Landi ci affidiamo a un'intervista rilasciata a Sette dalla sorella dell'informatico ucciso. Infine, un articolo de Il Piccolo, quotidiano triestino, che mette esplicitamente in connessione i due casi attraverso il sistema militare a cui avevano lavorato entrambi.

IL CASO CERVIA

Gianluca Cicinelli

Protesta anti-Usa alla Maddalena

Il presidente della Regione Sardegna: Dopo 32 anni basta con i sommergibili nucleari nelle nostre acque. Via gli Usa dalla Maddalena Soru chiede di chiudere la base

Piergiorgio Pinna La Maddalena Repubblica

Nei giorni scorsi un primo affondo:
"Il patto segreto che ha consentito la nascita del punto d'approdo per la Us-Navy sull'isola di Santo Stefano dev'essere reso pubblico".
Ieri l'assalto finale: "Lo dico in amicizia: è arrivato il momento nel quale è necessario che gli americani abbandonino la base per i sommergibili nucleari".
Appena conclusa la visita nell'arcipelago del Nord Sardegna al distaccamento della marina statunitense durata quasi tutta la giornata, il nuovo presidente della giunta regionale sarda, Renato Soru, non ha nascosto le sue convinzioni: "Abbiamo fatto la nostra parte per 32 anni, ci sentiamo come un esercito rimasto al fronte per tanto tempo e che adesso ha bisogno di un ricambio".
Nelle ore precedenti Soru si era incontrato con i rappresentanti del ministero della Difesa italiano e della presidenza del Consiglio e con i vertici di marina, esercito e aeronautica del nostro Paese.
Le stesse parole pronunciate in una conferenza stampa al termine della visita sono state poi ripetute dal capo del governo regionale davanti a una folla raccolta nell'aula consiliare del Comune della Maddalena, che ha risposto alle dichiarazioni con un lungo applauso.
"Le servitù militari sono uno dei temi in agenda trattati durante l'incontro con Silvio Berlusconi", ha poi aggiunto, ricordando come anche il poligono di Capo Teulada, nell'estremità sud occidentale dell'isola, debba essere dismesso in virtù di un'intesa firmata nel 1987 dall'allora presidente della Regione Mario Melis e dall'allora ministro della Difesa Spadolini.
"Quell'impegno è stato disatteso - ha ricordato - Ora noi vogliano riproporlo in un contesto di riduzione del territorio riservato alle servitù militari".
Soru ha poi riaffermato l'esigenza di garantire un'azione di monitoraggio costante per eliminare ogni dubbio relativo alla presenza di radioattività alla Maddalena.
Di recente, soprattutto dopo un incidente a un sommergibile nucleare americano a poca distanza dalla base appoggio, sono infatti riemerse preoccupazioni circa i livelli d'inquinamento radioattivo E alcune indagini indipendenti hanno mostrato come effettivamente siano stati rilevati tassi preoccupanti di sostanze fortemente nocive nelle acque marine.
Il presidente ha anche parlato della riconversione dell'arsenale militare nell'arcipelago, annunciando la richiesta di non portare avanti progetti senza preventive intese con la Regione.
In Sardegna la presenza dei soldati è di fatto imponente: quasi 38mila ettari, il 60 per cento di tutte le servitù militari italiane, si trovano infatti nell'isola, sottratti sin dal Dopoguerra agli usi civili. Si tratta, come ha rammentato lo stesso Soru, di ridistribuire questo peso e, nel caso della Us-Navy e dell'accordo bilaterale tra il Pentagono e il governo italiano circa La Maddalena, di rinegoziare la presenza americana.
Per quanto possa apparire paradossale, mentre cresce la protesta e nonostante la pronuncia negativa del comitato misto paritetico Stato-Regione, un recente piano di ampliamento della stessa base non conosce soste. Si parla dell'arrivo di altri marines, che dovrebbero così passare in breve tempo da 2500 a oltre 4000 uomini e della modernizzazione di una serie di approdi.
Un progetto complessivo che prevede alla fine la costruzione di infrastrutture fisse, attorno alla nave appoggio per i sommergibili nucleari Emory Landi, per un totale 57 mila metri cubi.
Davvero un processo anacronistico e quasi surreale in un'area ambientale tra le più suggestive del Mediterraneo che di recente è stata trasformata in un grande parco naturale.
Per capire meglio che cosa significhi la presenza di questo distaccamento basterà ricordare come la Emory Land sia una nave da 22.600 tonnellate, con mille uomini di equipaggio, insieme officina e arsenale galleggiante, con a bordo i missili da crociera Slcm Cruise a testata nucleare. Visto poi che Emory Land è a tutti gli effetti territorio degli Stati Uniti d'America, ogni controllo non è possibile neanche da parte delle autorità militari italiane.

Davide Cervia nasce a Sanremo nel '59, dove risiede con la famiglia fino al '78, quando decide di arruolarsi come volontario in Marina, anche se poi rinuncia a rimanere in servizio fino al termine della ferma di sei anni. Accade infatti che nel 1982 conosce Marisa Gentile, che sposa durante l'anno. Dopo il matrimonio comincia a provare insoddisfazione per i lunghi periodi di lontananza dalla nuova famiglia che si e' formato e decide di congedarsi con un anno di anticipo sulla scadenza naturale. Nel 1988 si trasferisce a Velletri, dove lavora nella societa' Enertecnel Sud, che ha sede presso Ariccia, trenta minuti di auto dalla sua abitazione."
"Davide Cervia viene visto l'ultima volta alle ore 17 del 12 settembre 1990. "Ho visto un gruppo di persone che spingevano Davide con la forza verso l'interno di una macchina color verde scuro. Ho visto anche che lo hanno picchiato e subito dopo gli hanno messo un fazzoletto sulla bocca, come per narcotizzarlo. Davide urlava tanto, faceva resistenza, tentava di difendesi. Poi, forse perche' mi aveva visto o forse perche sperava che fossi nel giardino,mi ha chiamato urlando tre volte il mio nome." Cosi' racconta a Marisa (la moglie di Davide Cervia) Mario, un anziano che vive solo da anni custodendo una villa vicino ai Cervia.
Qualche mese piu' tardi due persone si presentano a casa di Mario. Dicono di esere due agenti assicurativi, ma il loro tono e' arrogante e perentorio, insistono per entrare in casa, dicono che devono parlargli. L'agricoltore non si fida dell'aspetto minaccioso e riesce a riparare all'interno dell'abitazione."
"Marisa Gentile (la moglie di Davide Cervia) casualmente viene messa sulla pista giusta da un ex collega di Davide ancora in servizio. Quando Marisa lo mette al corrente di tutto l'accaduto, il militare non ha dubbi nel mettere in relazione la specializzazione conseguita da Davide con la sua sparizione.
Un ispettore della Digos incontra Marisa. E' insistente: vuole sapere il nome di un ex collega di Davide che prestava servizio a la Spezia ma che e' di Napoli. Una descrizione precisa che permette a Marisa di capire subito a chi si riferisce l'ispettore della Digos. Si tratta di una persona che ha fornito alla famiglia indicazioni sul passato in Marina di Davide, successivamente rivelatesi di estrema utilita'. "In quel momento - ricorda Marisa - ebbi la certezza che le mie conversazioni telefoniche erano regolarmente ascoltate, perche' con quella persona ho parlato soltanto al telefono". In seguito si presentera' a casa di questo ex collega di Davide un uomo, con la scusa di un censimento sulle Fiat Uno (sic): in realta' e' un uomo con incarichi non precisati in Polizia. Se il suo scopo e' di intimorire il marinaio, la missione puo' considerarsi un successo. Da quel momento chiedera' a Marisa di non contare piu' su di lui.
Al convento dei Cappuccini di Velletri arriva una lettera anonima da Grottaglie, in provincia di Taranto. Chi scrive dice di essere la moglie di un ex sottufficiale di Marina, "agganciato" da strani e misteriosi individui che gli chiedono di fare il lavoro che sa, se vuole evitare guai. Il fatto che non sia firmata e' giustificato dalla paura di essere individuati e di esporsi quindi a rischi troppo elevati. La speranza dell'anonima scrivente e' che l'inchiesta vada avanti e che "i magistrati indaghino meglio nei servizi segreti" per venire a capo della verita'.
Il 12 settembre 1994 il Comitato per la verita' su Davide Cervia ha occupato per dodici ore l'ufficio del capo-gabinetto del ministero della Difesa, alla presenza di numerose telecamere e giornalisti di varie testate.
Lo Stato Maggiore della Marina fornira' ai familiari di Davide ben quattro fogli matricolari diversi, prima di arrivare a quello reale, in cui viene ammessa la qualifica di "specialista Ete/GE" (tecnico elettronico/guerra elettronica)."
L., un altro collega di Davide Cervia, riferisce: "Il nostro corso in Marina militare era inizialmente di 900 persone. Quando si fa il corso base non sai neppure che esistono le guerre elettroniche. Gli Elt, i tecnici elettronici, erano 120. Dopo i primi tre mesi di corso siamo diventati 90. Dopo un anno siamo diminuiti a 50 persone. Alla fine del secondo anno abbiamo portato a termine il corso in 22, di cui solo 6 sistemisti. Noi eravamo fieri di un radar ideato dalle industrie belliche italiane, un radar tridimensionale. Quello che non capivamo proprio, che anzi ci faceva arrabbiare, era averlo venduto a 109 paesi. Noi sistemisti siamo stati invitati a compiere "gite turistiche" con le navi, che avevano lo scopo di magnificare e vendere i nostri armamenti ai paesi stranieri. Non immaginavamo per niente il giro di soldi che era dietro al traffico d'armi.
La palazzina dove studiavamo aveva le porte blindate. Eravano tenuti sotto controllo dai servizi. Scoprivi cosi' che il tuo amabile interlocutore del treno era un uomo della "sicurezza" che ti controllava. All'inizio del corso si fa un giuramento di particolare riservatezza, di livello Nato. Ti permette di accedere a tutti gli uffici che hanno una classe di segretezza affine alla tua.
Per un paese straniero e' quasi impossibile formare dei propri tecnici, perche' ci sono delle nozioni-chiave di base per cui neanche un ingegnere elettronico riesce a leggere i manuali delle singole apparecchiature che leggiamo noi. Ma non e' un problema d'intelligenza. Ci sono delle chiavi precise per capirle. Io ho conosciuto Davide Cervia alla scuola sottufficiali di Taranto nel 1979. Lui era entrato sei mesi prima di me. Era capo-corso, il primo degli allievi."
"Le indagini ufficiali sono ferme a quel 12 settembre 1990 e il silenzio, come una pietra tombale che avvolge tutti i segreti italiani, rischia di far dimenticare una vicenda drammatica che coinvolge i nostri servizi segreti, sempre loro, lo Stato maggiore della Marina militare e i trafficanti di tecnologia militare.
Il magistrato che conduce le indagini convoca per la prima volta la moglie di Davide Cervia, Marisa Gentile, dopo sei mesi esatti dalla scomparsa del tecnico. Il sostituto procuratore Romano Miola, che segue il caso, l'attende nella sua stanza ma non e' solo. Con lui e' il procuratore capo, Vito Giampietro, anzi sara' proprio lui ad interrogarla. Fin da subito il contatto con la procura non e' sereno. Il procuratore chiede a Marisa Gentile di rispondere alle domande con un "si'" o con un "no" e ad ogni tentativo della donna di spiegare meglio varie circostanze, viene bruscamente invitata ad attenersi alle richieste o, nella migliore delle ipotesi, interrotta. Il dottor Giampietro contesta ogni episodio riportato dalla moglie del tecnico rapito.
La giornalista Laura Rosati chiede di essere ricevuta dal sostituto Miola il quale, non conoscendo da subito il motivo della visita, e' molto cordiale. Il cambiamento del suo atteggiamento e' tanto repentino, quanto radicale, non appena viene pronunciato il nome di Davide Cervia. Alzandosi di scatto, terreo in volto, ripete ossessivamente, mentre addirittura volta le spalle all'interlocutrice: "Non posso dire niente, vada via".
Le intimidazioni colpiscono un po' tutti coloro che tentano di scoprire cosa si muova dietro il rapimento di Cervia.
Nonostante l'importanza delle affermazioni di L., un ex militare che aveva studiato guerre elettroniche a Taranto con Davide Cervia, gli inquirenti non danno peso alle rivelazioni sulle guerre elettroniche e sulle "gite" che i militari della Marina italiana compiono per pubblicizzare nel mondo il sistema d'arma su cui e' specializzato Davide Cervia.
L., dopo essersi congedato dalla Marina per un incidente, viene avvicinato da sconosciuto che gli propongono di tornare al suo vecchio lavoro in cambio di soldi. Non accetta. Viene minacciato. L'impianto elettrico della sua auto prende fuoco (come era accaduto a Davide Cervia). Riceve una telefonata: "Hai visto? Puo' essere la macchina, puo' essere qualsiasi cosa." L. racconta agli inquirenti di conoscere la situazione di altri tecnici specializzati in guerra elettronica minacciati da sconosciuti, ma il titolare dell'inchiesta non gli chiede nemmeno di chi si tratta. Riceve altri avvertimenti nell'ottobre 1990, poco dopo il rapimento di Cervia. L. vive ancora oggi nascosto. Nessuno lo protegge.
Gli inquirenti prestano invece ascolto ad un certo Giuseppe Carbone, di Taranto. Spunta fuori il 22 gennaio 1991. Carbone e' la persona giusta al momento giusto. Con la sua versione tutto torna per chi tende alla tesi dell'allontanamento volontario. Nessun intrigo internazionale, nessun rapimento. Ci sono pero' molti dati di fatto che hanno permesso di appurare come Giuseppe Carbone non abbia mai conosciuto Davide Cervia. Eppure occorreranno affinche' gli inquirenti si accorgano dell'impresentabilita' di Carbone. Nessun procedimento per falsa testimonianza pende sul suo capo. Rimane il mistero su chi gli abbia fornito tutte le informazioni su Davide, ma soprattutto come fa a conoscere cosi' bene gli ufficiali che lavorano al ministero della Difesa a settecento chilometri da casa sua. Carbone ha una fedina penale consistente: appropriazione indebita, emissione di assegni a vuoto (un reato commesso due volte), reati amnistiati ma che non dovrebbero sfuggire al vaglio di chi indaga su Cervia.
Quando alla moglie di Cervia arrivano le minacce di morte che investono tutta la sua famiglia, decide, per alcuni giorni, di non mandare i figli a scuola. Due carabinieri vanno piu' volte a scuola per verificare la possibilita' di denunciare Marisa Cervia per mancati obblighi scolastici. La procedura e' anomala perche' spetta ai capi d'istituto segnalare eventuali inadempienze agli obblighiscolastici dei genitori.
Alla trasmissione televisiva "I fatti vostri" Marisa Cervia ha raccontato di aver ricevuto l'offerta di un miliardo per non cercare piu' Davide."

IL CASO LANDI

Mio fratello non si è ucciso

Lorenzo Viganò

SULLA VIA DI DAMASCO

Amman, Ottobre

Durante il sequestro di Simona Pari e Simona Torretta le autorità italiane fecero l'impossibile per trovare un canale che permettesse di comunicare con i sequestratori. Fonti arabe bene informate hanno rivelato ad Arabmonitor che a un certo punto, quando i rapporti con la massima istituzione sunnita irachena, l'Associazione degli ulema, sembravano raffreddarsi, Roma si rivolse a una prestigiosa istituzione islamica siriana, la Fondazione Kuftaro, che gestisce il Centro islamico Abu Nour, per sollecitarne l'aiuto e l'intervento presso gli ulema iracheni.
La Fondazione Kuftaro e il centro Abu Nour sono noti in tutto il mondo islamico per la moderazione dei loro insegnamenti. Il Gran Muftì della Siria, Sheikh Ahmad Kuftaro, recentemente deceduto, che aveva accolto Giovanni Paolo II durante la sua celebre visita a Damasco, culminata con l'ingresso nella maestosa moschea degli Omayyadi, è stato sempre all'avanguardia nel promuovere il dialogo con le altre confessioni, ospitando spesso persino alla preghiera del venerdì dei rappresentanti di altre fedi che potessero parlare ai convenuti presso la moschea di Abu Nour.
L'Italia decise quindi, per la prima volta dall'inizio dell'occupazione dell'Iraq, di sollecitare i buoni uffici dell'istituto di Damasco, informandone ovviamente anche le autorità dello Stato siriano, per ottenere una risposta positiva in merito alla sorte delle due donne rapite. I responsabili del centro spiegarono ai rappresentanti italiani di non avere il benché minimo contatto con i gruppi della resistenza irachena, ma che avrebbero fatto il possibile per stimolare l'Associazione degli ulema ad agire e cercare i canali appropriati per comunicare con i sequestratori.
Alla fine dello scorso settembre, due giornali arabi, il kuwaitiano Al Rai Al Aam e il giordano Dustur scrissero che un alto funzionario dei servizi di informazione italiani, Nicola Calbari, si era recato personalmente in Siria per avviare i colloqui. Prima di lui, tuttavia, il canale venne aperto da un consigliere dell'ex presidente albanese Rexhep Mejdani che su richiesta del governo italiano si recò a Damasco in missione per raccogliere la disponibilità dei dirigenti islamici locali.
Bussò a delle porte aperte. Il suo soggiorno fu breve, ma creò un clima di reciproca fiducia. I contatti dietro le quinte proseguirono e anche nel momento in cui comparvero su Internet degli annunci deliranti sulla sorte delle due donne, le autorità italiane mantennero la calma, perché attraverso questo canale potevano verificare che nulla in realtà fosse accaduto. Il mediatore albanese rientrò in Siria nei giorni cruciali delle trattative in Iraq per il rilascio di Simona Pari e Simona Torretta e fu la prima persona, in rappresentanza dell'Italia, a cui venne comunicato che la liberazione era ormai solo questione di ore.
Il Centro Abu Nour si mantenne infatti in costante contatto telefonico con l'Associazione degli ulema iracheni, che fu l'autentico motore dell'operazione di salvataggio sul terreno.

Col ritorno delle Brigate rosse, vale forse la pena di ripercorrere la misteriosa storia della morte (un anno fa) di Michele Landi, il perito informatico, consulente nel delitto D'Antona, che indagava anche sull'omicidio di Marco Biagi "Sette" racconta fa storia con una guida d'eccezione, la sorella Elena. Che dice la sua verità.

Il quattro aprile sarà un anno esatto.
Un anno da quando Michele Landi, esperto informatico di 36 anni, consulente di parte nel caso D'Antona e collaboratore nelle indagini sull'omicidio di Marco Biagi, viene trovato impiccato nella casa di Montecelio di Guidonia, borgo medioevale vicino a Roma. Un anno di indagini e sopralluoghi, durante il quale sono stati analizzati computer, appunti, effetti personali, passando al setaccio la sua casa e il suo lavoro alla ricerca di risposte, di un indizio che potesse fare luce sulla morte misteriosa. Ma anche un anno in cui, nonostante il dispiego di forze ed energie, non si è arrivati a niente, se non a dar vita a un fumoso mix di cronaca, terrorismo e sesso, che ha fatto spegnere a poco a poco i riflettori su questo giallo, fin dall'inizio in bilico tra l'ipotesi del suicidio e quella dell'omicidio.
"Michele non si è ucciso, ne sono assolutamente sicura", afferma Elena Landi, sorella trentaquattrenne dell'esperto in computer, che da quel 4 aprile ha avuto la vita sconvolta e che insieme con i suoi genitori sta ancora aspettando una risposta dalla magistratura di Tivoli che si occupa del caso.
"Mio fratello non aveva alcuna ragione per arrivare a un gesto simile. Hanno scritto che era depresso, che aveva problemi finanziari, ma non è vero. Michele era una persona vitale, appassionata, disponibile Per questo, quel giorno. ho voluto andare sul posto: per rendermi. conto direttamente d ciò che era successo Sapevo che se lo avessi visto avrei capito se davvero aveva voluto togliersi la vita, ma quella scena, che non dimenticherò mai - il corpo che penzolava dalla scala, insieme ai colori, agli odori di quella casa, mi rimarrà dentro per sempre - non ha fatto che confermare la mia idea. Nessuno avrebbe potuto uccidersi in quel modo, e tantomeno lui".

In effetti di cose che non tornano in quella morte ce ne sono molte: la innaturale posizione del corpo le cui gambe, anziché penzolare nel vuoto, appoggiavano con le ginocchia su un divano posto sotto le scale, le stampelle, che aveva usato fino a qualche giorno prima - conseguenza di una caduta in moto -, sistemate ordinatamente contro il tavolino ("ma se lui era un caotico cronico!"), l'assenza di un biglietto o di una lettera d'addio...
Dubbi che fin da subito inducono più di una persona a rifiutare categoricamente l' ipotesi del suicidio. A cominciare dai suoi amici che avevano visto Michele Landi fino alla sera prima e che non avevano notato in lui nulla di anomalo, ma anche colleghi di lavoro che gli erano stati al fianco in alcune esperienze professionali. Primo fra tutti Lorenzo Matassa, pm di Palermo, che dichiara senza giri di parole che a suicidarlo sono stati i Servizi segreti.
"Quando ho sentito la parola Servizi non ci volevo credere e mi sono chiesta che diavolo stesse succedendo", prosegue Elena Landi. "Noi non sapevamo nulla di tutto ciò. Sapevamo che Michele era responsabile della divisione Information technology della Luiss Management (la Libera università internazionale degli Studi sociali), che era stato interpellato nelle indagini per l'omicidio di Massimo D'Antona, ma niente di più. È sempre stato molto riservato sul lavoro, teneva alla privacy e non amava raccontare della sua vita. Lui aveva la sua, noi la nostra. E quando ci ritrovavamo insieme parlavamo d'altro".
Invece il perito informatico, ex ufficiale di complemento dell'Esercito, tenuto in grande considerazione dalle forze dell'ordine, aveva una sorta di doppia vita.
Accanto alla passione per il paracadutismo, le immersioni subacquee, la vela, accanto all'impiego alla Luiss trovava anche il tempo di dedicarsi a consulenze più delicate, che a guardarle oggi non possono non far nascere inquietanti sospetti.
Oltre che al caso D'Antona (di cui fu consulente di parte per Alessandro Geri, il presunto telefonista delle Brigate rosse che avrebbe rivendicato l'omicidio), Michele Landi si era infatti dedicato alla formazione degli uomini del Gat, il gruppo anticrimine tecnologico della Guardia di Finanza, era stato consulente per gli uffici giudiziari di Roma e Palermo, aveva collaborato, sembra a titolo personale, alle indagini sul delitto di Marco Biagi (dichiarò di poter risalire ai postini elettronici che avevano inviato la rivendicazione delle Br, ma quindici giorni dopo l'omicidio del professore veniva ritrovato senza vita) e a quelle sul caso Ustica; aveva avuto rapporti con il Sisde come docente di un corso di ricerca investigativa telematica, e tra l'86 e l'88, alla scuola di Artiglieria di Bracciano, aveva lavorato al sistema Catrin, lo stesso a cui si era dedicato Davide Cervia, (esperto in strategie militari sparito nel nulla nel settembre 1990.
Abbastanza per far traballare la tesi del suicidio che all'inizio era stata la pista più seguita, cui si erano mischiate via via le ipotesi di un gioco erotico finito male, forse legato alla presunta omosessualità di Michele Landi. "Mio fratello non era gay, anzi", afferma Elena Landi: "Aveva sempre molte ragazze che gli gironzolavano intorno e per quanto riguarda il gioco erotico non c'era nulla in quella scena che poteva farlo supporre e, se non sbaglio, niente lo ha confermato".
Piuttosto, in molti hanno dichiarato che in quei giorni il perito informatico era preoccupato: si sentiva spiato, seguito, e a un amico aveva confidato di essere ormai a un passo dal trovare il mittente da cui era partita la rivendicazione dell'omicidio di Marco Biagi. Così, a metà maggio 2002, nel fascicolo aperto dalla procura viene scritta come nuova ipotesi di reato quella dell'omicidio (al solo scopo, sembra però, di permettere perizie ed esami scientifici altrimenti interdetti).
Un'ipotesi avvalorata dai risultati di alcune analisi del Ris di Parma, e da altri fatti poco chiari, come la violazione del sito dove Michele Landi sembrava avesse "nascosto" alcuni documenti, e le dichiarazioni di un hacker secondo il quale il perito gli aveva dato da decrittare un dischetto contenente documenti legati a Gladio, poi spariti con il dischetto. Un mix di rivelazioni che non ha fatto altro che aumentare il mistero intorno alla sua morte. E ora, a che punto sono le indagini?
"Piacerebbe anche a noi saperlo, ma siamo ormai completamente tagliati fuori", si lamenta Elena Landi. "Dalla procura ci dicono che stanno aspettando nuovi elementi, ma non ci spiegano quali. Non sappiamo su che cosa stanno lavorando, né come vogliono chiudere l'inchiesta. Tutto tace. I giornalisti pensano che noi non parliamo per paura, ma la verità è ch non sappiamo nulla. In più, la casa e tutti gli effetti personali di Michele, dai computer alla moto, sono ancora sotto sequestro, al punto che non possiamo nemmeno recuperare una sua foto, un suo libro, chiudere le utenze e disdire l'affitto. Tutto è ancora aperto, come la nostra ferita. La mia idea è che presto archivieranno il caso come suicidio, e noi, pur non condividendo questa tesi, l'accetteremo. Perché ?
Perché siamo coscienti che l'intenzione è stata quella fin dall'inizio, che noi, pur lottando con tutte le nostre forze, non riusciremo mai scoprire la verità.
Dopo le rivelazioni, le diverse piste, i lunghi silenzi, chi mai ci potrà assicurare che quella che alla fine sarà presentata come la verità lo sia davvero?
Non è pessimismo il mio, ma realismo; la rabbia dei primi momenti ha ormai lasciato il posto alla razionalità. In più, se Michele, per proteggerci, non ha volu dirci nulla, se non ha voluto lasciarci un indizio che potesse suggerirci un' interpretazione di quel che è accaduto, è perché così voleva e noi non vogliamo violare la sua scelta. E come se mio fratello mi avesse autorizzato a non dedicare la mia vita alla ricerca di chi lo ha ucciso, se di omicidio si tratta".

Un atteggiamento quantomeno curioso, quello di Elena Landi, ma non difficile da comprendere. Anche perché dopo un anno i dubbi rimangono gli stessi, e la procura di Tivoli continua a non voler rilasciare dichiarazioni. Ciononostante un'idea, Elena Landi, se l'è fata "Io penso che Michele sia stato ucciso per le sue consulenze più delicate e rischiose. Ma, ripeto, non potrò mai saperlo con certezza. Per questo, ora, l'unica cosa che io e i miei genitori vorremmo è il dissequestro della sua casa con tutto quello che contiene. Un anno fa qualcuno ci ha portato via Michele, poi le indagini ci hanno portato via il suo mondo, la sua vita. Ora vogliamo solo che ce la ridiano".

IL GIALLO: Alla fine degli anni Ottanta una serie
di contatti in città

I misteriosi viaggi a Trieste del supertecnico dei computer

Silvio Maranzana - Il Piccolo

TRIESTE - Michele Landi sarebbe stato più volte a Trieste alla fine degli anni Ottanta per motivi soprattutto di amicizia, ma non è escluso che si trattasse anche di lavoro come sostiene una fonte bene informata, con un capitano della Guardia di finanza. Ma altre strane analogie vi sono tra le attività del superesperto informatico ed episodi avvenuti nella nostra città. E' stato appurato che proprio in quegli anni Landi era in contatto con la società "Catrin", la stessa con cui collaborava Davide Cervia, il tecnico di guerre elettroniche sparito nel nulla il 12 settembre '90.
Il "Catrin" era un avanzato sistema elettronico di controllo e coordinamento dei campi di battaglia ed era stato messo a punto anche dalla Meteor di Ronchi dei Legionari. Un tecnico elettronico triestino, Giorgio Stanich, era stato smascherato dal Sismi proprio mentre stava per passare ai sovietici informazioni sul "Catrin". Il fatto era accaduto a Trieste, nella trattoria "Al porto industriale", a due passi dall'Iret, l'azienda di cui Stanich era dipendente. Anche l'epoca presenta strane coincidenze, era il 16 febbraio 1989.
Stanich, evidentemente tradito, cadde in trappola con un'operazione coordinata da un altro triestino, l'ammiraglio Fulvio Martini, allora capo del Sismi. Stanich, arrestato, venne condannato a nove anni di reclusione, la stessa pena che i giudici triestini emisero, in contumacia, nei confronti di quelli che avrebbero dovuto essere i destinatari delle carte segrete: gli ufficiali del Kgb Vitali Alexandrovic Popov e Kirikkovic Smetankin.
Oltretutto il modo in cui è stato "suicidato" Landi ricorda da vicino la messa in scena di un altro suicidio, quello del banchiere Roberto Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati neri, a Londra e che per quel suo ultimo viaggio era partito proprio da Trieste. Gente uccisa o sparita, come Cervia, ma anche come l'ingegnere triestino Giuseppe Franca le cui tracce si perdono nell'agosto '99 sull'isola di Skopelos, più volte setacciata invano alla ricerca del corpo. "Mio marito progettava anche motori per carriarmati", ha raccontato la moglie. Un altro caso dunque di segreti militari, ma anche altri intrecci. In una rivendicazione ritenuta poco credibile dalla polizia il rapimento di Franca è stato rivendicato dagli anarchici greci della "17 novembre" e in una inchiesta ancora segreta gli investigatori avrebbero trovato agganci tra la "17 novembre" e ambienti anarco-insurrezionalisti della nostra zona.
Qualche giorno prima di morire Landi confidò agli amici di aver fatto scoperte importanti sulla fonte della rivendicazione dell'omicidio Biagi e una delle prime azioni dimostrative delle rinascenti Br venne messa in atto a Trieste davanti alla sede dell'Ince. I terroristi agirono con la sigla Nuclei territoriali antimperialisti.
Infine il rapporto con la Guardia di finanza che Landi tenne anche a Trieste. E in città tra i finanzieri si sono registrate morti strane. Massimiliano Molino morì asfissiato in un appartamento dove non c'era gas, il capitano Alessandro Vitone, che coltivava gli informatori, si schiantò con la propria auto contro il guard-rail a Redipuglia, il generale Sergio Cicogna si suicidò con la pistola d'ordinanza.

 

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