Due parole sul discorso del sindaco di Venezia in occasione della cerimonia del Dipartimento di Storia dell’Arte dell’Università di Venezia per ricordare mio padre, tenutasi oggi 4-7-2006

 

Ci tenevamo che non si dilungasse. Lo ha fatto. Di questo lo posso pure perdonare.  Anche se certamente non visitò mio padre nei suoi mesi di malattia. Ma non posso omettere delle critiche che ritengo lesive della Veritas. Occorre pazienza, diceva sempre mio padre,  quando gli facevo capire cosa sto e stavo passando. Ma la pietas non deve riguardare i potenti.

 

A parte delle cose che ho detto in chiusura (facendo certamente contente molte persone che lo conoscevano, come mi han detto poi, e la stessa mia madre –che ne ha saputo più tardi- ed altri cari e parenti)  e cioè i ringraziamenti ai presenti, all’Università, ai docenti intervenuti rispettosi del programma concordato con noi familiari, il ringraziamento al prof.Puppa per aver ricordato il valore del LAVORO, la figura di mio nonno ritrattista non famoso ma apprezzato dalle famiglie veneziane, Luigi (a far capire di dove veniva la vena creativa dello studioso), la precisazione sul suo lavoro di assessore all’urbanistica che con matita e notes si girò tutta (tutta) Venezia per sistemare i numeri anagrafici sestiere per sestiere, vorrei fare alcuni appunti.

 

Il noto filosofo non si è attenuto ai pochi minuti concordati, dato che la figura di mio padre nei suoi aspetti storico-politici e artistici era già di compito il delinearla, come poi han fatto, i Gent.mi Prof.ri Paolo Puppa e Mario Isnenghi.

Ma non è questo il problema.

Un problema è che la desolante sensazione di ribrezzo che mio padre viveva negli ultimi tempi per la politica nostrana e locale (che non gli aveva impedito di sostenere l’Ulivo) non è entrata nel racconto apparentemente ribelle del sindaco, il quale peraltro confonde uomini d’azione (come ha giustamente chiarito Isnenghi) e filosofi (cosa che mio padre non era, senza con ciò togliergli nulla quanto a lungimiranza e concezione dei tempi lunghi della Storia).

Come non è entrato Marx, o Cristo, ed invece il prode vi ha infilato Nietsche (il quale peraltro ha subito internamento in chiusura di sua vita, in quel di Torino).

Come peraltro si è sbracciato di parlare di “irripetibilità” della Storia. Se anche mio padre condivise, errando, l’impostazione per cui “tutto si è già veduto” e quindi … non occorre lottare, in ogni caso non ne fece una bandiera, ed anzi con tutto se stesso sperò sempre e lavorò affinché così fosse, ché le giovani generazioni ed i lavoratori non avessero ad essere categoria di schiavi.

Schiavi, lotte, Storia. Parole assenti, nell’elucubrato racconto di colui che mi promise “reinserimento a Venezia” (SIC ? quale reinserimento: me ne andai e volontariamente !), colui che fece della mia lotta contro la tortura una lotta “per una equità processuale” per la quale ORA, che c’è una Corte d’Appello di Bologna di tutto rispetto che con una sentenza innovativa e rivoluzionaria per un tribunale, parla di estraneità della schiavitù e tortura dalle nostre Convenzioni e Costituzione,  NULLA SI DICE DI QUESTA REVISIONE PROCESSUALE CHE NON SI VUOL PIU’ FARE !!!

Ma anche questo non c’entra con oggi.

E’ la sensazione che non piaccia non solo a me, chi afferma essere contro le utopie delle masse, declamando le utopie di ieri, che oramai passate, come le magliette del Che, non fanno più male a nessuno.

Saluti comunisti ed affettuosi ai lavoratori, ai proletari, alle donne, ai compagni che hanno partecipato, a chi ha capito le mie poche parole di rispetto amore ed odio per il nazifascismo di ieri e per il moderno fascismo di oggi.

Paolo Dorigo

4-7-2006 (61° anniversario di uno sciopero contro il carovita iniziato a Torino che si estende a tutta l’Italia settentrionale)