X. DELLO SCOPPIO RIVOLUZIONARIO PROSSIMO VENTURO

Cosa ha impedito in determinate recenti situazioni ai rivoluzionari, la presa del potere con le masse unite, se non la debolezza dell’internazionalismo e dellelotte di classe in occidente, se non l’integrazione di quei regimi al sistema imperialista, come allorquando sono crollati regimi fascisti filo-imperialisti come quello di Marcos nel 1986 nelle Filippine, quello di Fujimori e Montesinos in Perù nel 2000, come quello della strage nella famiglia reale del Nepal nel giugno 2001 ? Null’altro ? Le condizioni oggettive e soggettive della situazione rivoluzionaria c’erano in queste come in altre situazioni recenti (Ecuador, Argentina, per es.). Ma il modello insurrezionale non ha funzionato. Evidentemente la nuova ondata della rivoluzione proletaria mondiale sarà caratterizzata dal dipanarsi di molteplici direttrici di guerre popolari prolungate che giungeranno a maturazione nel momento storico in cui l’imperialismo non sarà più in grado di sostenere la propria politica di guerre di aggressione e conquista in nome della salvaguardia dei diritti umani. In quelmomento storico nell’occidente maturerà il conflitto sociale rivoluzionario e questo impedirà agli eserciti imperialisti interventi decisivi e all’economia capitalista imperialista il finanziamento ed il sostegno agli eserciti assassini di quei regimi fantoccio.

Del resto la necessità della guerra popolare e dell’Esercito proletario è dimostrata dalle recenti cadute dei regimi di Sanchez de Lozada in Bolivia e di Aristide ad Haiti.

Nel primo caso, il programma politico e sociale della Centrale dei Lavoratori è un programma più rivoluzionario che rivendicativo, e spiega la portata della rivolta in atto nei paesi del Tricontinente anche laddove è priva di una direzione consapevole del processo rivoluzionario spinta dal partito comunista. Si passa da rivendicazioni contingenti (annullamento della legge sugli idrocarcuri, che sono la materia prima del riscaldamento domestico del paese), alla revisione di tutti i contratti inerenti i giacimenti petroliferi, le miniere e le industrie del paese, dalla redistribuzione della terra al rispetto della proprietà comune ed originaria delle comunità indie, dai diritti dei lavoratori all’anullamento del liberismo sui salari, sino agli obiettivi politici dell’imputazione di genocidio per i militari responsabili dei massacri dei lavoratori in lotta, e della dipendenza dal popolo di qualsiasi politica governativa (controllo dal basso). Un esempio di come i popoli, grazie principalmente alle esperienze del passato, ai sacrifici dei rivoluzionari, ed alla estensione sul piano mondiale del modo di produzione capitalistico, siano oggi in grado di badare a sé stessi, facilitando quindi il compito di direzione politica e militare del processo rivoluzionario ai comunisti. Questo genere di situazioni, sempre più diffuso a macchia di leopardo in tutto il Tricontinente, rappresenta per gli imperialisti un vero e proprio incubo permanente, proprio come il “fantasma del comunismo” che Marx portò alla ribalta della storia con il manifesto del 1847-1848.

È proprio per “prevenire” quello che in un convegno NATO in Inghilterra alla fine del secolo XX era stato definito “il secolo delle insurrezioni”, che gli USA hanno colto al balzo l’occasione offertagli dall’11 settembre per giustificare alla propria opinione pubblica le mastodontiche guerre di conquista dell’Afghanistan prima e dell’Iraq poi (con la menzogna delle armi di distruzione di massa nelle mani di Saddam Hussein, loro precedente scudiero nel conflitto contro l’Iran del 1980-1988). Che questa “prevenzione” sia del tutto aleatoria storicamente, non hanno dubbi i sinceri rivoluzionari che sanno cogliere dai fatti la corretta lettura storica e trascendentale della rivoluzione mondiale.

Ed è proprio in questa chiave che gli USA avevano in passato sostenuto,come già dicevamo, vari movimenti islamici sunniti, allo scopo di impedire lo sviluppo rivoluzionario e classista in Medio Oriente (sorto dalla cultura nasseriana e quindi dalla rivoluzione di liberazione nazionale Palestinese e dalle esperienze Kurda, Yemenita, Libica, Sahariana, ecc.).

Non è quindi nello spirito dei “diritti umani” ma bensì delle fucilazioni di massa dei Comunardi, che gli USA promuovono la propria politica di “polizia mondiale”.

UN AUSPICIO

Tra pochi anni,quando si terrà all’Aja (o a Norimberga ?) il processo per i crimini contro l’Umanità commessi sugli arabi detenuti a Guantanamo, alle Maldive, nelle carceri irachene ed afghane, sarà chiaro che alla follia dei petrolieri americani l’imperialismo occidentale avrà trovato nuove “soluzioni”: il bivio della sorte dell’Umanità, di trascendentale millenarismo, è, qui, nell’affermarsi della politica proletaria in occidente. Viceversa, se oggi i “pacifisti” vanno in piazza contro le bombe sull’Iraq, domani vi andranno per il diritto alla libera espressione nei propri paesi, e, via via, la “polizia mondiale” delle “liste antiterrorismo” corrisponderà alla polizia politica del nazionalsocialismo tedesco: alla Gestapo !

In ogni caso, quel processo si terrà. Io non dispero di assistervi, se non dovrò morire denunciando le torture di regime cui sono sottoposto. Storicamente, il livello di cultura e tecnologico raggiunto dal m.p.c. e la sua estensione, sono antitetici alla sopravvenza del capitalismo imperialista. Le conseguenze storiche sono ineludibili ed ineluttabili per chiunque, per quante armi possegga.

Ruolo del movimento rivoluzionario in occidente allora non è solo quello di giungere, nell’approfondimento e rafforzamento della lotta rivoluzionaria proletaria nei propri paesi, ad incidere nell’area a sostegno dei popoli Palestinese ed Arabo, e dell’intero Medio Oriente, ma anche quello di fiaccare ed indebolire le politiche (anche commerciali, turistiche -che tanto in vacanza oramai ci vanno solo i ricchi-, economiche e militari) di chi protegge le peggiori nefandezze (fino alla depredazione dei bimbi e al prelievo dei loro organi) sempre ed esclusivamente nel “comune” interesse della classe assassina della borghesia imperialista, ossia è compito dei rivoluzionari in occidente quello di inceppare in permanenza (e non solo come escrescenza episodica a mero scopo pubblicitario) l’ingranaggio retto dai più grandi Terroristi della storia, gli USA, e dalle altre potenze imperialiste, spezzando nei momenti decisivi quegli interventi in extremis di salvataggio dei regimi o della vita e del patrimonio dei singoli dittatori (come ora Aristide da Haiti), interventi che dagli anni ’80 in poi si sono dimostrati “sufficienti” ad impedire la situazione rivoluzionaria.

È errato anche ricondurre questo problema all’esaurirsi dell’URSS oramai revisionista e socialimperialista.

L’altezza dei compiti che si è posta alle avanguardie rivoluzionarie in occidente era già chiara alla metà degli anni settanta, all’inizio di questa seconda crisi generale (caratterizzata dalla sovrapproduzione assoluta di capitale e dalla caduta tendenziale del saggio di profitto).

La sconfitta tattica dei cicli rivoluzionari di avanguardia nei paesi occidentali alla fine degli anni settanta, inizio degli anni ottanta, non è stata causata da fattori di politica giudiziaria dei regimi borghesi, come certa storiografia di basso rango di provenienza post-revisionista ha sciorinato per decenni, bensì da alcuni fattori generali insiti nella cultura della sinistra in occidente, sinistra che era egemonizzata da componenti borghesi e revisioniste le quali, ai primi sentori di burrasca, hanno virato storicamente chiamandosi fuori e trascinando con sé molta della sinistra di classe e di base, dietro la menzogna della “impossibilità della rivoluzione”. Certo, quando si contribuisce, come fecero quelli del “Manifesto” con i dissociati, all’opera demolitoria della controrivoluzione, o come fecero gli sbirri dei servizi d’ordine e degli apparati del P”c”i dal 1977 in poi e in alcune situazioni anche prima, con le spiate ed i testimoni d’accusa regalati alla magistratura in cambio di credibilità politica, si contribuisce a causare rovesci e sconfitte tattiche al campo rivoluzionario della guerriglia. Ma fu principalmente culturale, di mancata egemonia rivoluzionaria nella classe operaia, dopo il ciclo recessivo che portò alla ristrutturazione delle grandi fabbriche (con la fine dell’ultilizzo del sistema produttivo della catena di montaggio nelle più importanti imprese), e quindi fu di mancata unità del proletariato e dell’autonomia di classe alla direttrice rivoluzionaria caratterizzata dalla Campagna di primavera, base e spartiacque storico per una autentica rottura rivoluzionaria ed antimperialista nel nostro paese. E quindi fu derivata dal fatto che nel movimento di classe in Italia era prevalente l’opportunismo ed il revisionismo, che generò idee di sconforto e sfiducia nella classe operaia.

Oggi questo problema non si pone, il problema è che siamo in un regime di polizia, e strutturalmente fascista, ove la politica rivoluzionaria non può che darsi immediatamente fuori e contro il sistema borghese. Ma oggi come dodici-trdici anni fa, storicamente, la situazione concreta vissuta dalla ampia maggioranza del popolo è favorevole ad una svolta rivoluzionaria che ci liberi delle varie frazioni, sempre più infami e violente, oscure ed invasive, della borghesia, e che apra una prospettiva di benessere, di autentica Nuova Democrazia del popolo, dal basso, e di indipendenza nazionale (senza basi militari straniere e senza possedimenti del capitale multinazionale delle risorse finanziarie, economiche ed industriali), al nostro paese, nella più ampia prospettiva del comunismo mondiale.

La rivoluzione nel nostro paese non può non fare i conti insomma con quelle canaglie che si sono intrecciate al sistema di sfruttamento della classe operaia anche in forma propriamente e non solo secondariamente criminale, rappresentandosi come aggravio di negazione di diritti sociali, violenza al massimo grado contro le donne, i giovani, i ribelli ed i lavoratori , come nuova frazione legalizzata del capitale, quasi si fosse tornati nell’attuale ciclo ad un inserto spaziale di accumulazione originaria di capitale, parallelo al ciclo nella sua specificità attuale. Ossia il capitale non cerca solo nella guerra la soluzione del suo male strutturale, ma anche in una delega in bianco per lo sfruttamento di settori di classe più indifesi e più esposti alla violenza, alla brutalizzazione, al sessismo, alla perdita di valori civili, nella società e in particolare ciò ai danni del sottoproletariato immigrato e del proletariato metropolitano e delle aree rurali del meridione.

Negli ultimi decenni, oltre al peso culturale ed alla carenza di un autentico internazionalismo nel nostro paese ancor più che altrove in occidente (frutto di una cultura nazionale più arretrata di quella degli altri paesi imperialisti), sia nell’incapacità di avanzare tra le masse del proprio paese nel processo rivoluzionario, sia nella scarsa capacità di praticare un autentico antimperialismo militante, si sono riprodotti quasi in copia dei limiti nella conduzione dello scontro, riflesso principale di una impostazione teorica di avanguardia che non ha mai fatto i conti fino in fondo con il patrimonio complessivo del Movimento Comunista Internazionale e quindi con il marxismo-leninismo-maoismo, in qualche modo attribuendo il revisionismo al comunismo, e non concependolo invece come nemico permanente all’interno dei partiti comunisti e delle organizzazioni rivoluzionarie, in quanto riproduzione della linea borghese e burocratico-dirigista all’interno del processo rivoluzionario guidato dal partito di avanguardia della classe operaia, che certamente negli anni precedenti la ritirata strategica è stato incarnato anche agli occhi della classe, nell’organizzazione rivoluzionaria delle Brigate Rosse.

All’origine e su tutto, nel nostro paese (e non solo, ma in genere in tutti i paesi capitalisti “avanzati”), dalla svolta dello sbarco di Sicilia a quella togliattiana di Salerno e del “partito nuovo” di tipo vecchio, la responsabilità politica ricade comunque interamente nella direzione del partito “comunista” italiano che ridenominò il rivoluzionario PCd’I, ossia sin da quando si sciolse l’Internazionale Comunista.

Da allora la deriva, l’espulsione e l’isolamento dei militanti rivoluzionari, quand’anche non l’esilio e la prigionia per i “reati” non amnistiati della guerra partigiana di liberazione nazionale, il riformismo, prevalsero, sino a produrre, all’ondata rivoluzionaria del ’68-’69, una mostruosità politica, un partito “comunista” che si fa Stato nel sistema dei padroni, un partito che crea, per primo, la desolidarizzazione nella classe con la teoria “degli opposti estremismi” nomenclando “l’estremismo” di Lenin come portasse acqua al suo mulino (a chi non lo leggeva), e con l’adesione sciocca e subalterna alle montature della magistratura borghese (accorgendosi solo due anni dopo che Valpreda non era un mostro).