XII. DI ALCUNI CARATTERI DELLA RIVOLUZIONE PROLETARIA E SOCIALISTA IN ITALIA

Perché sostengo, uscendo certo dal seminato canonico del movimento comunista nel nostro paese e soprattutto dai teoremi che tengono incatenata l’analisi di classe nel movimento rivoluzionario dopo l’offensiva di classe del 1981, che OGGI, dopo gli arretramenti intervenuti anche rispetto alle stesse conquiste delle masse negli anni sessanta e settanta del secolo XX, la rivoluzione nel nostro paese, di cui la guerra di classe è parte, ha una valenza in qualche modo intermedia, collocata tra i paesi del centro imperialista e quelli del Tricontinente, tale da poter definire la necessità della prossima tappa rivoluzionaria per le masse popolari e la classe operaia, quella di una rivoluzione Proletaria di Nuova Democrazia, organizzata dal basso verso l’alto, attraverso il potere dei Consigli popolari ?

Non certo per motivi bassamente “geopolitici” (disciplina molto abusata negli ultimi decenni ed utile alla borghesia più che al proletariato, come ha dimostrato storicamente anche di recente l’esperienza dei Balcani, anche da noi rivoluzionari), bensì per alcuni dati storici: la composizione della borghesia e delle classi, la natura burocratica dello Stato, la questione dell’arretratezza del Sud e delle isole. Dati che affronto solo con spirito contributivo, dato che sono inerenti all’analisi di classe proletaria, che è essa stessa necessariamente frutto della lotta di classe e del lavoro collettivo intrinseco all’attività del movimento comunista ed autenticamente rivoluzionario, analisi di classe a cui ho sempre lavorato (Mao Tse-Tung, Chi non ha fatto inchiesta non ha diritto di parola).

Composizione della borghesia nel nostro paese e caratteristiche deli rapporti sociali. Alla grande industria, latifondi, miniere, cantieri navali e borghesia finanziaria storiche si aggiungono i gruppi sorti sulle speculazioni edilizie dal boom in poi, quelli sorti su prodotti a basso contenuto tecnologico ma affermatisi sul mercato di massa (moda, vestiario, occhiali). L’industria di stato è stata quasi completamente rilevata da grandi gruppi monopolistici (es.acciaio) ed ha subito forti ridimensionamenti. Molte industrie significative e diverse di media grandezza sono in mano a capitali stranieri. La piccola e media industria rappresenta una fetta molto rilevante del sistema economico del paese, articolata prevalentemente sul decentramento produttivo e sui distretti industriali settoriali (es.il tessile a Prato, l’orafo a Vicenza e Valenza Po, il legno in Friuli, i mobilifici nel nord-ovest, ecc.). A questa borghesia industriale si aggiunge una componente estremaente fluida e selvaggia nel settore commerciale, ove grandi aziende e gruppi sono stati accaparrati da gruppi finanziari e speculativi (es.Standa), composta di gruppi commerciali di medie dimensioni e di un settore commerciale ed artigiano privato più composito ma meno corposo che in passato, a causa della chiusura di molte botteghe e negozi di piccole dimensioni.

Una caratteristica che tende a rendere ingannevoli le statistiche è quella delle “piccole aziende”. Queste, sorte in tutti i settori e a coprire mansioni (e “servizi” di ogni genere, prima affidati all’industria od allo Stato), che inizialmente costituivano uno dei bacini elettorali fondamentali della associazione a delinquere di stampo mafioso denominata “democrazia cristiana”, nel tempo sono aumentate numericamente a dismisura.

Tutttavia in moltissimi casi, vuoi per fenomeni di esternalizzazione e indotto di realtà industriali medie e grandi (boite e lavoro a cottimo casalingo), vuoi per fenomeni di crescente fornitura esterna di servizi prima affidati a strutture interne (ad esempio i programmatori), vuoi per le difficoltà della crisi che hanno determinato il sorgere di attività di piccolo commercio ed artigianato “nuove”, vuoi per i “nuovi bisogni” che nella popolazione opulenta occidentale si sono via via affermati (la bellezza e la cura del corpo, per esempio), sono sorte figure di lavoratori sfruttati che compaiono come lavoro autonomo ed artigianale; sfruttati perché, al di là degli strumenti di difesa che adottano (tariffe), dipendono dal ciclo di riferimento produttivo. La riproduzione della capacità lavorativa degli sfruttati (lavoratori industriali), in misura certo minore di quella delle altre classi, è oggi afferente anche a fattori che vanno ben oltre il normale “paniere inflattivo” che rappresentava fino al 1984 (congelamento della contingenza) un elemento di conquista della lotta di classe. Il venir meno delle garanzie sociali alla riproduzione, e il crescere della crisi di valorizzazione, hanno fatto sì che progressivamente fasce proletarizzate e piccolo-borghesi, con mezzi diversi ed in settori in genere diversi, hanno contribuito al crescere del fenomeno delle “ditte individuali”. Fenomeno (che trova conforto anche nelle cifre delle aziende sotto i 16 dipendenti, ossia escluse dallo Statuto dei lavoratori per volontà ancora una volta non solo dei padroni ma anche della borghesia “illuminata” piena di merda che “governa” la cultura della “sinistra democratica”; in queste aziende, il numero medio di dipendenti per “azienda” è di 3 dipendenti e qualche decimale, ossia oltre 3 milioni di lavoratori per quasi un milione di “aziende”) che quindi solo in apparenza è di ostacolo alla rivoluzione delle masse sfruttate, perché in realtà condivide con esse gli effetti della crisi.

Nei “servizi” -ossia in un settore in cui è in crescita la presenza di aziende ove si produce plusvalore, che era connaturato invece due secoli fa quasi esclusivamente dalle industrie- il settore dei media (in realtà partecipe alla produzioni di merci materiali) e della pubblicità, delle assicurazioni, dello sport e dello spettacolo, si articola in una componente monopolista via via crescente (basti pensare alla Manzoni nella pubblicità, o alla Mediaset nelle televisioni, od al numero esiguo di effettivi editori rispetto al numero di molto aumentato di quotidiani ed emittenti, specie locali), che possiede la gran parte delle principali aziende, ed in una componente locale e diffusa che fa capo agli imprenditori locali più in vista.

Nei locali di intrettenimento, nello sport, nelle finanziarie, nelle immobiliari, nei cantieri edili, (ove il lavoro nero infuria ed i rischi per i lavoratori sono più alti che altrove, dato che la “sicurezza” è un fattore del tutto aleatorio e funzionale al profitto, perché le modalità operative del lavoro stesso sono da “terzo mondo”, e non solo perché tese alla massima velocizzazione e quindi sfruttamento delle persone, ma anche per il carattere umiliante e servile che si vuole mantenga il “Lavoro” nel nostro paese: il 38,5% dei 215 “infortuni” mortali nell’edilizia nel 2003 -il 15% circa dei quali riguarda immigrati- sono causati da cadute dall’alto, il 15,4% dal travolgimento da parte di mezzi, il 15% da crolli della struttura, il 9,2% da oggetti che hanno colpito il lavoratore, il 9% dal ribaltamento del mezzo, il 7,5% da folgoramento), sono presenti capitali di provenienza spesso extralegale (ossia determinati da accumulazione originaria), ove lo sfruttamento giunge fino alla mercificazione sessuale in funzione del ruolo nel lavoro stesso, al di là delle forme diverse che assume, che reprimono le esigenze dei lavoratori in maniera bestiale, capitali che tendono a costituire la fascia bassa della borghesia imperialista.

Ma questo fattore della mercificazione sessuale è legato storicamente anche al lavoro della donna in casa, e viene ad assumere un ruolo più nefando grazie ad alcuni fattori che sono in crescita:

·         la fine delle famiglie “normali”, con l’aumento del numero dei nuclei familiari di un solo componente, la diffusione della solitudine e dell’isolamento tra gli stessi abitanti di un medesimo edificio, l’allontanamento della popolazione dalla gestione dei problemi dei quartieri (con la sola partecipazione e lotta nei casi di disfacimento più evidenti, che poi in genere rifluiscono al finire della specifica emergenza), il lavoro sottopagato delle “badanti”, a testimoniare anche dell’abbandono degli anziani e della vigliaccheria della società borghese che li relega nelle case di riposo solo quando possono permetterselo e che fino a quando lo Stato pagava, li cacciava nelle cliniche neurologiche (spesso private e della Chiesa Vaticana, che hanno sostituito in maniera occulta i manicomi e che ancora oggi ricavano lautissimi guadagni dai contributi statali e dalle “mance” dei familiari che possono permetterselo affinché non li facciano morire – o il contrario), e negli ospedali a vegetare, mentre in misura crescente diventano “barboni” e senza-casa, vagabondi d’un “progresso” egoistico ed edonista.

·         La difficoltà per i giovani a mettere su casa e quindi il numero in crescita di ragazze che si buttano nella prostituzione temporanea, o nel campo della “bellezza”, a fare da coriandoli degli spettacolini, ai vari livelli (dal lap-dance alle veline) del ludibrio della borghesia imperialista utile a soggiogare la mente del popolo, nonché del numero di giovani maschi che si buttano nella malavita e nello spaccio di stupefacenti ben prima di conoscere ciò a cui rischiano di andare incontro, con la conseguenza anche di un aumento della repressione sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, e quindi della militarizzazione delle istituzioni (basti pensare ai pronto soccorso, alle ferrovie, ai taxi, alle metropolitane, ai locali pubblici, ecc.).

·         La mercificazione dell’educazione, con le tariffe sull’alimentazione dei bambini negli asili e nelle scuole elementari, l’attacco al tempo-pieno, le imposizioni classiste sulla salute (fecondazione artificiale, attacco ai medici di famiglia) che comportano sia un peggioramento della qualità della vita, sia il crollo della struttura portante della vita sociale, la famiglia, con l’aumento dei drammi, dei suicidi, la diminuzione delle nascite, ecc.

È evidente che i fascisti che vogliono irrigimentare la società in questa fase non hanno idea di cosa stanno mettendo in piedi, sempre che all’ “idea” utopistica e borghese della “società unitaria” fascista neo-corporativa non abbiano aggiunto quella della società intesa come pied-a-terre e club-privée ove mandare pure i piccolini perché divengano prima del previsto “produttivi”.

Le terre sono, a parte le comunità e le cooperative agricole ed i piccoli appezzamenti privati, possesso di latifondi classici legati alle industrie ed ai mercati principali, ove lo sfruttamento è istituzionalizzato e sindacalizzato, ma anche di latifondi ove lo sfruttamento di manodopera specie immigrata, temporanea e fluida, è più marcatamente selvaggio.

Componente di borghesia compradora, specie in Sicilia, Puglia, Campania. Il peso complessivamente importante delle borghesie locali e dei piccoli imprenditori, spesso impegnati direttamente nei processi produttivi, e delle piccolissime aziende, quelle sotto i fatidici 16 dipendenti, ove lo Statuto dei lavoratori non ha peso alcuno, costituiscono un elemento di arretratezza e di impedimento al progresso sociale dati i caratteri di paternalismo e coercizione sociale che li caratterizzano. Un altro elemento in questo senso, prima ancora di considerare il peso della Chiesa, è la frammentazione della realtà civile (oltre 8.000 comuni e quasi altrettante caserme dei carabinieri, decine di migliaia di frazioni, e l’urbanizzazione diffusa, antitetica alla natura della grande metropoli europea (Parigi, Londra, Roma, ecc.) anche nelle campagne, per cui si assiste in alcune aree anche del Nord in cui l’attività economica è in depressione e la popolazione è in calo continuo, ad uno svuotamento abitativo e lavorativo, ed in altre ad una metropolizzazione diffusa che non corrisponde ai caratteri di vita e rapporti sociali delle metropoli. La dimostrazione di ciò è Milano, il cui comune, periferie comprese, è in calo abitativo, con una crescita della fascia urbana ampia. I 10 maggiori centri urbani del paese hanno perso abitanti negli ultimi 30 anni. Questo determina ovunque una maggiore lunghezza della giornata lavorativa sociale, una dispersione della popolazione nei mille rivoli della sopravvivenza e della riduzione del tempo dedicato ai rapporti sociali ed alla cura di sé.

La borghesia amplifica la sua distanza dalla qualità della vita della maggioranza della popolazione, i ceti medi ed impiegatizi risentono in maniera crescente della crisi e del costo della vita, spingendo ad una proletarizzazione di massa anche questi settori intermedi. Il calo della popolazione è anche strutturale (livello demografico che ha toccato il saldo negativo per alcuni anni), e non è completamente sanato dall’afflusso di popolazioni immigrate, in buona parte “clandestine” (secondo i criteri razzisti dell’Europa di Shengen), che vanno spesso a sostituire la popolazione operaia, ma che entrano anche a far parte in alcuni casi della borghesia e dei ceti medi.

Complessivamente la comparsa di sempre maggiori frazioni di capitale e la consistenza numerica contenuta della popolazione appartenente alla borghesia imperialista non permettono allo Stato imperialista di superare quei caratteri di voluta arretratezza e di burocrazia che erano propri della “prima repubblica” governata dalla borghesia industriale, dal clero, dai possidenti terrireri e dai mafiosi, che costituivano la base di potere della “democrazia cristiana”, e che oggi vivono soprattutto in “Forza italia” ed altri gruppuscoli “centristi” ma anche in quote diverse, nei cosiddetti “popolari” e nei seguaci dell’enfant-prodige Rutelli.

 

MEDIOBANCA – maggiori azionisti – 2002

settore

%

Capitalia

Bancario

8,41

Unicredit

Bancario

7,83

Consortium

Assicurativo

4,99

Gruppo Ligresti

Edilizio

3,80

Gruppo Pirelli

Industriale, chimica

3,62

Gruppo Generali

Assicurativo

1,99

Gruppo RAS

Assicurativo

1,81

Gruppo FIAT

Industriale, auto

1,81

Fin.Privata

Finanziaria

1,75

Commerz Bank

Bancario

1,64

Burgo

Industriale, cartiere

1,45

Pecci

 

0,70

Cerruti

Industriale, moda

0,64

Ferrero

Industriale, dolciumi

0,41

Lucchini

Industriale, siderurgia

0,41

Candy

Industriale, elettrodomestici

0,14

Fin.Sev.

Finanziaria

0,10

Montefibre

Industriale, chimico

0,09

 

 

41,59

 

I “grandi cambiamenti” nella composizione di Mediobanca, agente politico finanziario centrale per il suo ruolo nelle scelte capitalistiche nostrane, successivi alla crisi della “prima repubblica”, si dimostrano in realtà come verifica del mutato peso negli assetti capitalistici, del capitale finanziario, che tendenzialmente nel nostro paese tende scientificamente alla distruzione della grande industria ed a convogliare il nostro paese nelle mani delle principali multinazionali anglo-americane.

La privatizzazione del collocamento al lavoro attraverso le aziende interinali costituisce un manifesto eclatante della dipendenza e precarietà delle giovani generazioni, a confermare anziché negare la questione generazionale, pur se in chiave ben diversa da come siamo abituati a leggerla sociologicamente, nei termini di una difficoltà assoluta nel mettere su casa e famiglia per i giovani proletari, a differenza di quanto accadeva negli anni sessanta e settanta, quando la casa non era un bene di lusso ed era reperibile ad ogni settore sociale, anche se in condizioni abitative assai discutibili. Oggi vi sono milioni di abitazioni vuote, tenute in questo modo per far lievitare il prezzo di mercato, o affittate con sistemi di rapina a giovani studenti ed immigrati, il che comporta un ulteriore aggravio non solo del costo sociale della vita ma anche una limitazione allo sviluppo produttivo e quindi si dà come limite al plusvalore e come fonte di generazione di capitale finanziario in eccedenza.

Questa presenza di un’economia palesemente passiva e corrosiva (che la borghesia di “sinistra” vede a volte come spiegazione della crisi ma che ne è solo una manifestazione) comporta sul piano politico delle resistenze di componenti della borghesia (sue frazioni locali, per esempio) all’integrazione europea, su cui speculano i settori più sporchi della borghesia imperialista (che posseggono la quasi totalità dei media, del mondo dello spettacolo, della speculazione edilizia, di alcuni settori industriali e fiananziari), spesso oggetto di indagini giudiziarie ma non per questo estranei al potere, nonché delle rivalse (da “ventennio”) di politica da “grande potenza”, tipiche per esempio del frutto della frustrazione leghista (per la mancata autonomizzazione del nord, solo “parzialmente” compensata in termini di maggior potere alle fazioni di borghesia imperialista nelle singole regioni, dalla devolution) in campo della giustizia, con accordi brevimano di estradizione e reciprocità giuridica con dittature e paesi antidemocratici soprattutto dell’area mediterranea (Turchia, Iran, Spagna, ecc.), e con politiche revansciste e reazionarie in materia di giustizia. In questo campo, la borghesia istituzionale non riesce più a svolgere il proprio compito senza confliggere sempre più spesso con gli interessi delle organizzazioni politiche espressione delle frazioni di borghesia.

 

Le corporazioni professionali sono molto diffuse e costituiscono il contraltare dello Stato burocratico, necessarie a mantenere le aspirazioni delle classi sfruttate dietro il bancone delle tasse e dei balzelli, delle file con il numero in mano e delle multe e sanzioni, in un sistema punitivo e premiale che privilegia i potenti ed i ricchi. Queste corporazioni, in particolare quelle che operano privatamente (avvocati, notai, commercialisti, ragionieri, architetti, ingegnieri, dentisti, oculisti, giornalisti, ecc.) si riproducono in maniera quasi feudale, per “diritto ereditario”, a causa della struttura sociale pre-scritta della divisione del lavoro. Il mantenimento di uno status-quo di privilegio gli è riconosciuto socialmente e non costituisce giammai elemento di messa in discussione da parte della “sinistra” della borghesia né tantomeno della destra. Il loro ruolo si articola esattamente al compito di riprodurre la stabilità di un’ordinamento sociale che riflette un “liberismo” a senso unico, dove l’unica libertà è quella di sfruttare e di mantenere il proprio potere. Il peso della cultura è in flessione, mentre appare crescente in maniera esponenziale il peso dei poli tecnologici creati dalle maggiori industrie e dalle componenti emergenti dei settori economici multinazionali legati alla medicina, alla tecnologia militare e scientifica, alla biologia, ecc. Tutto ciò mette in discussione l’analisi dell’Italia come Stato imperialista compiuto, al di là dei ridiciìoli sforzi (D’Alema con Clinton, Berlusconi con Bush) di significarsi come solidi alleati NATO e disposti alle più nefande avventure militari, e quindi rappresenta da un lato un elemento di forza del proletariato, dall’altra un elemento di caotica e duratura anarchia economica e politica a cui le tanto declamate modifiche istituzionali parlamentari hanno dato una mano, anziché una sistemazione. In questo, specie ora con il regime filo-fascista e reazionario del “Polo delle libertà” (di sfruttare, reprimere, rubare e proteggere gli interessi dei più forti economicamente), l’Italia appare per certi versi simile a certi regimi sudamericani dove il potere politico è strettamente legato al potere dei media televisivi; d’altronde la varietà e frammentarietà delle frazioni, specie locali, di borghesia in campo, distingue l’Italia dai paesi del terzo mondo. Non però, quanto all’indipendenza nazionale ed al rispetto dei principi pacifici e sociali della Costituzione del 1947.

 

Natura burocratica dello Stato nel nostro paese. Fondata sulla dittatura del regno Sabaudo nel meridione che non modificò gli odiosi assetti sociali e di proprietà terriere e che represse nel sangue le comunità e le loro forme di resistenza ai feudi, sul mantenimento del potere della Chiesa, sul ruolo politico del risorgimento nel centro-nord, sulla presenza di un corpo armato politico reazionario e repressivo (i carabinieri), la “Nazione” italiana ha inteso sin da subito, con le avventure coloniali e militariste, qualificare qull’identità “romana” che avrebbe dovuto stando alle affermazioni nelle intenzioni dei potenti cancellare centinaia di anni di devastazioni, centinaia di anni di miseria e feudi, centinaia di anni di dominazioni straniere. In realtà sin da subito la borghesia avvia la costruzione di uno Stato burocratico ed estraneo agli interessi più immediati del popolo, gravando l’analfabetismo e l’arretratezza delle regioni del Sud, attingendo alla Chiesa in campo educativo e di controllo sociale (Patti Lateranensi), dominando spietatamente la devianza con un sistema penale enormemente classista (ancor prima dei codici Rocco), costruendo sistemi economici di Stato fondati sul corporativismo e il contenimento dei conflitti sociali, costruendo una classe fascista di magistrati, prefetti e questurini, che sostanzialmente la nuova Repubblica antifascista non eliminò ma solo inizialmente contenne per poi riassorbire e lasciargli mano libera nella repressione sociale. Costruita per settori, dipartimenti e strutture specifiche, lo Stato italiano che ha gestito la ricostruzione economica del dopoguerra sul dominio di classe, i finanziamenti e la presenza militare americana, ha costituito una sorta di colonia politica dell’imperialismo sin dal secondo dopoguerra a causa della politica aggressiva ed anticomunista degli USA. La epica e ben nota prassi burocratica da azzeccagarbugli, dietro cui si nascondeva e cela tuttora l’intrico di favori, interessi, privilegi e “diritti ereditari” (nella medicina e nell’università, nell’esercito, nelle forze di polizia e nella magistratura), è solo in parte contrastata dal capitale multinazionale e monopolistico, che ha imparato a sfruttarne i favori e gli intrichi di interessi (tipico il connubio industrie-università-enti di ricerca scientifici). In questi settori, il fatto che si tratti di ambiti pubblici, funzionanti con capitali frutto del gettito fiscale e quindi del sudore dei lavoratori, nulla influisce a determinare una reale dipendenza dello Stato dalle necessità del popolo. Lo si è visto con la condizione, per esempio, della salute, ridotta a camera mortuaria per i deboli e a lussuosi residence per i ricchi, con le attese di mesi per semplici accertamenti, e con il malcostume di molti professionisti facili all’errore (spesso mortale), ed in cui i livelli retributivi sono astralmente lontani, tra ausiliari ed infermieri, e preziosi e ricercatissimi primari occupati ovunque e desiderosi di operare per tele-trasmissione. Lo si è visto con le condizioni della sicurezza sui posti di lavoro, e della nocività, e dei trasporti. Gli “incidenti” sul lavoro sono circa 1 milione all’anno, di cui circa 1.400 mortali, oltre la metà dei quali nel settentrione (almeno queste sono le cifre del 1996-2002). Una buona parte dei quali riguarda esplosioni ed incidenti chimici, un’altra parte operazioni azzardate di pulizia di silos e contenitori di materiali pericolosi, moltissimi riguardano il lavoro edilizio, altri, incidenti durante spostamenti merci e lavorazioni. Questa strage quotidiana (circa 6 morti al giorno) non ha alcun rilievo politico, se non in occasione delle stragi più pesanti, con il corredo di strilli sindacali e scioperi di solidarietà di ¼ d’ora, ecc. La situazione non è cambiata affatto anche se in passato vi erano più incidenti (ma anche più lavoratori industriali). A questo si aggiunga il prezzo che i lavoratori debbono pagare, con le loro famiglie ed i cittadini delle città e quartieri colpiti, della nocività diretta (da contatto con materiali letali, come l’amianto, per esempio: in Italia sono stati 9.000 i decessi tra il 1988 ed il 1997, per difetto, a causa di neoplasie da amianto; 140.000 sono le domande per il riconoscimento pensionistico a causa dell’esposizione lavorativa all’amianto, e 700.000 sono nei paesi capitalisti occidentali i morti previsti entro il 2030 per mesotelioma) e della nocività delle emissioni impreviste e delle fughe tossiche (da Manfredonia a Ravenna, da Marghera a Priolo, ecc.). In sostanza l’unico cambiamento avutosi rispetto alle stragi ed alle pesantissime situazioni sociali degli anni ’70 (Seveso su tutte) è che sono meno attivi i siti petrolchimici e di altre produzioni a rischio. Ma il costo sociale che le popolazioni debbono pagare al malgoverno del territorio ed alla speculazione edilizia si vede con gli smottamenti e tracimazioni che avvengono quasi ogni inverno, e che trovano impreparate le popolazioni. La “sicurezza” che lo Stato offre ai cittadini è, insomma, prettamente data dalla militarizzazione del territorio e non certo dalla tutela dell’ambiente. Belle parole a cui le mobilitazioni ecologiste non hanno certo obbligato i governi a ristabilire con operazioni drastiche e scientificamente rispettose dell’ecosistema, atte a difendere foreste e fiumi, paesi e vallate. Convincendoci sempre più che il problema politico nel nostro paese è assolutamente centrale e riguarda la gestione socialista dei mezzi di produzione e della vita sociale, unica alternativa alla barbarie celata dietro il benessere dell’apparenza e degli idromassaggi (che sostituiscono oggi lo status symbol del passato, il frigorifero). Le ferrovie, costruite col sudore del lavoro, così come tutti i servizi pubblici, del gas e dell’acqua, corrente elettrica e trasporti urbani, sono state parzialmente privatizzate e hanno subito l’applicazione di criteri logistici e di “redditività” assolutamente incompatibili con la qualità del servizio, anche qui biforcatosi astralmente tra alta velocità e piccoli tragitti locali. Le autostrade, con il gran clamore delle grandi costruzioni, dei nuovi trafori e di mastodontici ponti, sono passate dalla promessa fatta al popolo negli anni cinquanta di una futura gratuità, alla privatizzazione ed aumento progressivo ed esponenziale, parallelo ai carburanti, delle tariffe. Gli incidenti ferroviari sono aumentati, e i morti nelle strade si cntano a migliaia nelle strade. Questi sono frutti di una “spoliazione” della natura “sociale” dello Stato, che non fa stranamente venir meno tuttavia la sua natura burocratica. Anzi, mano a mano che lo Stato si libera dei lacci e lacciuoli della dipendenza dalla riproduzione della vita sociale, aumenta le strutture e le norme utili a giustificarne l’esistenza. Questo è tipico dello Stato burocratico dei paesi latino-americani, anche se in proporzioni certo minori del nostro paese. La micidiale produzione normativa dei vari uffici ministeriali, estranea e spesso in contraddizione con lo spirito delle leggi del Parlamento, e priva sostanzialmente di controllo da parte della “classe politica” ossia delle strutture politiche delle varie frazioni di borghesia imperialista che si sono storicamente impossessate del potere e delle competizioni elettorali (sin da prima del fascismo) che sono interne proporzionalmente agli interessi in gioco, è tale e tanta da costituire essa stessa una specificità di peso enorme nei rapporti sociali. Tipica la politica sulla casa, passata, di fronte al fiorire di interessi speculativi di costruttori e “piccoli proprietari”, dall’approccio della garanzia proporzionale al reddito ed alla qualità della vita della politica delle “case popolari” e dell’ “equo canone”, alle truffe, speculazioni, rapine ed esclusioni, legittimate dallo Stato non a caso con le nuove norme sugli sfratti sin dalla fine degli anni settanta, dopo un ciclo, che tuttora continua a causa della mancata risoluzione di questo primario bisogno sociale, di lotte sociali e di massa, sempre represso dagli apparari repressivi dello Stato (allora poveri contro poveri, ora professionisti ben pagati ed esecutori ottusi ed obbedienti contro poveri, a smentire Pasolini). In ogni ramo e settore, privilegi occulti e riconoscimenti palesi, reciprocità di riconoscimenti, occlusioni ed intralci alla vita, regole eccessive ove si esplicano pezzetti di libertà, ed assenti o inapplicate ove servirebbe rispetto. Tipico il caso degli ispettori del lavoro, che, pur operando con improvvisazione, spesso non sono inattesi, e comunque sono in genere del tutto insufficienti al rispetto ed all’applicazione delle leggi in un paese che non è mai stato nazione se non nelle avventure militariste e nel tifo calcistico. Una nazione in cui lo Stato, proprio perché è nato Sabaudo e nazionale in una non-nazione, -composito puzzle di lingue e culture diverse, per secoli dominate da diverse forze di occupazione, con regioni spesso dipendenti dal potere clericale, ed impostosi senza porre ovviamente, dati i suoi interessi, la questione contadina all’ordine del giorno, se non tardivamente e in maniera tale da privilegiare i latifondisti e non il lavoro-, mantiene tuttora dei caratteri di arretratezza ed ottusità burocratica che i numerosi passi tecnologici di riadeguamento liberista alla velocità della circolazione di merci e capitali non hanno certo eliminato né possono eliminare perché si è voluta sedimentare la concezione dello Stato come entità propria separata dagli interessi, pur classisti, dei ceti sociali e del popolo inteso come insieme. Il che in quest’ultimo caso è ovvio, ma pesa quando soltanto attraverso l’aggiramento delle norme si possono risolvere dei problemi, come dato strutturale ed intrinseco alle cose. Questo carattere burocratico e, in quanto autoprotettivo, “mafioso”, dello Stato, sta alla base della vacuità ed inutilità e ridolaggine delle “politiche” che i vari esecutivi attuano, ben coscienti del problema, allo scopo di mantenere lo status quo di un paese capitalista avanzato con una cultura ed un rispetto civile assolutamente arretrato. Questo carattere spiega anche perché l’Itaia, come altri paesi “deboli” della politica europea, operi essenzialmente per “linee teatrali” atte a rinviare le contraddizioni date dalla prospettiva istituzionale comunitaria proprio perché viceversa sarebbe troppo pesante l’attuazione dei principi continentali, pur borghesi, in un paese come il “nostro”. E questo spiega anche perché l’Italia contemporanea si sia sempre, nel fascismo come oggi, appoggiata sulle più nefaste politiche internazionali, proprie degli sciacalli e della violenza più infame. Non a caso l’avventura neo-coloniale somala, ha i suoi paralleli storici nel XX come nel XIX secolo. Ed in questo paese, ove la monarchia sabauda ed il fascismo da essa accettato hanno costruito questo Stato burocratico, i fascisti sono tornati al governo e gli eredi al trono sono tornati dall’esilio. Il tutto è oggi abbellito e addobbato dalle politiche di rappresentanza, oramai inflazionantesi le une alle altre in un caos mediatico che opera censurando progressivamente i conflitti sociali e gli atti repressivi di polizia. Il tutto dietro la difesa della “personalità dello Stato” che si vuole “dei cittadini” sulla carta e sulla bocca di tutti, ma che è realmente estraneo alla vita ed alla sopravvivenza della maggioranza dei cittadini, costituendosi esso stesso come eversore della Costituzione (dallo Stato DEI cittadini allo Stato in quanto Stato), nel privilegiare oramai strutturalmente le attività di sfruttamento sulle necessità dei suoi sudditi, il condono degli evasori sui diritti dei lavoratori che tutto producono e tutto edificano. Questo dato è talmente sedimentato nella vita sociale che per molti anche nella “sinistra” borghese, è diventato addirittura “normale”, portando ad un vuoto di partecipazione civile che, se da una parte è frutto del livello dato dal conflitto di classe, dall’altra è causato dalla reale estreneità di milioni di lavoratori dalla vita sociale e politica del paese. Effetto “scandaloso” per i politici nostrani ? Tutt’altro, oramai accettato il senso comune della deriva civile degli Stati imperialisti, questo fa anche gioco alla borghesia, che recupera in questo modo terreno per i propri soprusi interessati al profitto. In questo sfacelo, la “sinistra” della borghesia cerca di contrastare gli assalti frontali delle frazioni al potere, tutti tesi a svuotare progressivamente di quei pochi residui significati di diritto e partecipazione e rappresentanza sociale, gli organi esecutivi in particolare in campo giuridico e legislativo.

 

Il Sud, conquistato manu militari dalle truppe sabaude (Piemontesi) nella seconda metà del secolo XIX, ha costituito sempre strutturalmente una riserva di manodopera a basso costo per ogni genere di attività od affare. Meridionali erano gli operai che hanno fatto la fortuna dei padroni negli anni del “boom economico”. Meridionale è il 95% della popolazione carceraria stabile del paese di origine italiana. Meridionale è gran parte del lavoro contadino. Meridionali sono la gran parte dei latifondi, spesso rimasti inalterati da secoli. Meridionale è buona parte della borghesia nera che costuituisce una fetta specifica del capitale nel nostro paese. E nel meridione, in particolare in Sicilia, le forze reazionarie e cattoliche che hanno detenuto il potere per 45 anni prima di Tangentopoli, hanno sempre controllato l’elettorato, come è accaduto nel 2000 con “Forza Italia”. Evidente che il mantenimento del meridione in condizioni di arretratezza e, solo selettivamente, inserendovi strutture avanzate, costituisce una delle scelte strutturali e strategiche del capitalismo italiano legato alle multinazionali e vendipatria.

Tutti questi sono punti di riflessione che portano coloro che vogliono partire dalla realtà per superarla e trasformarla attraverso il movimento reale delle masse verso il socialismo ed il comunismo, a comprendere che il nostro paese costituisce ancora un esempio anomalo nel novero dei paesi imperialisti, ed in qualche maniera la futura Rivoluzione proletaria socialista in Italia non potrà che essere anche una Rivoluzione di Nuova Democrazia nel senso che occorrerà ricostruire la concezione stessa della democrazia dal basso, senza la quale il socialismo non è attuabile senza, come storicamente si è visto, riprodurre degenerazioni borghesi e privilegi che lo portano alla sconfitta tattica. Perché tattica ? Perché, se è vero che l’Umanità potrebbe sconfinare nella barbarie e nell’estinzione a causa del procedere dell’imperialismo capitalista, è anche vero che è intimo ed insito alla natura dell’Uomo, e quindi nell’oggettvità della vita e delle relazioni materiali e sociali tra gli individui, il buon auspicio verso il divenire progressivo della Storia, che a tutt’oggi è stato prefigurato con risultati parziali anche molto significativi della possibilità nella trasformazione e affermazione dei principi dell’Eguaglianza, della Fraternità e della Solidarietà tra i lavoratori, contro ogni sfruttamento e schiavizzazione dell’Uomo, dal Socialismo, punto di passaggio al Comunismo, fase matura della Umanità.

 

DELLA PROPOSTA RIVOLUZIONARIA ALLA CLASSE

Questa si esplica oggi lungo direzioni diverse, ma non opposte. Una grande frammentazione sociale ha caratterizzato gli anni della ristrutturazione padronale e della rivincita vendicativa e infame della repressione statale sulle lotte espresse dalla classe operaia e dal movimento rivoluzionario, a tutti i livelli, sino al 1982. Questo non poteva evitare di produrre miriadi di difficoltà e rinnovamenti nel corpo di classe. Ma ci ha pensato la situazione rivoluzionaria venutasi a creare con la caduta del muro di Berlino, la aggressione imperialistica americana ed occidentale al Medio Oriente ed ai popoli del Sud del mondo, il crollo del sistema di potere e corruzione democristiano e “democratico” nel nostro paese con “Tangentopoli”, frutto delle contraddizioni interne al sistema e non più comprimibili, a determinare nuovi assetti e conflitti. E in questa situazione la lotta armata per il comunismo ha ripreso a pesare nello scontro di classe agendo direttamente sui centri nevralgici della politica filo-padronale di contenimento delle legittime esigenze dei lavoratori e di loro compressione e convogliamento entro le rigide regole imposte dall’approfondimento della crisi al capitale anche nei paesi cosiddetti “avanzati”. I margini della mediazione sociale sono così saltati, e il ricompattamento periodico attorno alle “istituzioni” non offre giustamente altro di sé che una indegna parodia di cuò che fu la “solidarietà nazionale” sbirresca e forcaiola degli anni ’70. Questa situazione, come abbiamo visto analizzando il fascismo ed i caratteri specifici della Rivoluzione nel nostro paese, è in evoluzione: siamo in una situazione rivoluzionaria in sviluppo.

Mentre la resistenza del popolo Irakeno avanza formidabile ad inceppare il funzionamento stesso dell'invasione militare dell'imperialismo yankee, giungendo persino a colpire il personale spionistico e militare di gestione della diplomazia americana, attaccando con forza sia il collaborazionismo interno che la possibilità di permanere nel paese da parte delle forze imperialiste, da parte sua Turchia ed “israele” nell'area non sono certo venute meno ai propri ruoli, come abbiamo visto e vediamo ogni giorno, assassinando bambini e negando libertà ed indipendenza, terra e diritto alla sopravvivenza, alla stessa popolazione non direttamente impegnata nel conflitto, proprio perchè troppa è l'infamia che questi paesi vogliono imporre rispettivamente ai popoli del Kurdistan e della Palestina, ed ai loro militanti prigionieri e dirigenti costantemente isolati e torturati nelle caserme segrete e tecnologiche dei regimi. E vi è ancora qualcuno in Italia che parla di missioni umanitarie e di allargamento della UE, anziché, lì, di interventi tesi ad impedire ciò che è diventato oramai prassi quotidiana. L'impegno delle forze militari italiane in questo Medio Oriente, al di là delle richieste oggi di ritirare le forze, non è solo carattere del governo reazionario, è carattere della stessa posizione con cui questa classe borghese imperialista al potere si qualifica rispetto alla popolazione interna ed immigrata. Per questo non possiamo oggi parlare di lotta armata interno alla dinamica rivoluzionaria senza parlare di resistenza. Per questo la violenza che esercitano più o meno occultamente sui prigionieri, me compreso, è la stesso via Tasso. Per questo va espresso dal proletariato un costante sostegno, indirizzato al rafforzamento del campo poletario nlla fase di costruzione delle condizioni per l'avviamento vero e proprio della fase rivoluzionaria, alle iniziative (...), come azioni di resistenza al regime che si sta costruendo sulla pelle della gente e delle stesse leggi. Ancora comunque al di sotto del necessario, e non solo a causa degli incessanti colpi repressivi che l'imperialismo assesta preventivamente contro il proletariato e non certo, se non episodicamente, contro le proprie bande armate fascista e tantomeno nei confronti della frammistione totale tra regime e compagni di borghesia nera, che oramai ha invaso anche le “forze dell'ordine” stesse in un fascismo strisciante di regime, ma anche dei problemi politici tuttora irrisolti posti all'avanguardia rivoluzionaria sin dalla ritirata strategica e della lotta della classe operaia con le autoconvocazioni del 1984.

Un nemico, lo Stato borghese imperialista e ancora in parte semi-feudale, nel quale la professionalizzazione delle forze armate ha un suo ruolo ben preciso di prospettiva ed estraneità ai principi stessi Costituzionali ai quali oggi richiamarsi dal punto di vista di classe è cosa ben diversa da ciò che intende una ipocrita e fasulla magistratura che intende solo mantenere un potere particolare nello Stato di emergenza perenne, e non certo difendere i deboli e gli oppressi dalle angherie dei potenti.

La situazione di gravità assoluta in cui versa il proletariato del nostro paese e le componenti sfruttate tutte, immigrati, pensionati, donne e giovani, disoccupati e precariato, in prima fila, è tale da costituire di per sé una delle condizioni della situazioni rivoluzionaria, per dirla con Lenin. Ma questo non abbrevia le circostanze di modo che il problema primario delle costruzione del partito della rivoluzione non esista. Questo problema esiste e non può più venir posto in termini rivoluzionari al di fuori della coerente e chiarissima ripresa e riappropriazione del nostro patrimonio di classe, del marxismo-leninismo-maoismo.

La costruzione di autentici partiti comunisti in grado di dirigere lo scontro di classe portando il proletariato ed il popolo all’offensiva è, anche in Italia, posta chiaramente del marxismo-leninismo-maoismo, che saprà dimostrarsi capace di qualificarsi come arma della classe per unire le forze autenticamente rivoluzionarie e diigerne il processo [termine che in Politica, sta a significare l'evolversi, lo svilupparsi, di una realtà], senza intendere assolutamente questo come “governabile” da forze militari bensì comprensibile e riappropriabile da parte e delle masse tutte, italiane ed immigrate, che costituiscono l'esercito proletario degli in costruzione.

La parola in questo senso è al movimento comunista, ai proletari, ai rivoluzionari, alle organizzazioni comuniste combattenti, ed alle organizzazioni guerrigliere di recente costituzione, che devono trovare la forza per nuove offensive ed espressioni autentiche di chiarezza non limitate ai “canoni” di progettualità dimostrarsi inadeguate.

Come prigioniero comunista e rivoluzionario, il problema non si pone in termini di mera adesione ad una opzione politica, ma di affermazione dei principi e dei valori ed analisi entro cui dare il proprio contributo, ossia, nel mio caso, di una collocazione precisa della priorità politica al marxismo-leninismo-maoismo.