IX. DELLA SUPERIORITA’ DELLA GUERRA POPOLARE SUL MODELLO GUERRIGLIERO METROPOLITANO

La teoria della guerra di popolo (NOTA 25) è fondante e verificata in tutte queste realtà non solo nelle campagne, montagne, selve andine e jungle asiatiche, ma anche nelle metropoli e realtà urbane (come Lima e Manila, per esempio).

In tutte queste realtà l’organizzazione della vita delle masse nelle zone liberate corrisponde sia alle leggi della guerra di movimento sia alla teoria della rivoluzione di Nuova Democrazia nel corso della quale si dà corso alla costruzione del nuovo potere. Ne sono felici esempi l'affermazione e la tenuta della guerra popolare iniziata nove anni fa, e delle zone liberate in Nepal, che, raggiunto l'equilibrio strategico, con varie zone liberate, tra cui la recente fondazione della regione autonoma Magar in Nepal nel gennaio scorso, in questo paese da sempre ridotto nella miseria da un regime feudale asservito agli interessi dell’imperialismo e che nella capacità di costruire il Nuovo Stato, riscontra e struttura in permanenza grazie alle condizioni specifiche del paese, il modello delle basi di appoggio della guerra popolare in Perù iniziata ventiquattro anni fa, che resistono alle politiche genocide dei regimi filo-imperialisti che si susseguono nel paese,

 


con il persistere e l’affermarsi tra le masse della resistenza e della guerra popolare nelle Filippine, che continua anche nell'attacco alle forze militari imperialiste USA allorquando sconfinano contro la guerra popolare, e che continua a sviluppare nuovi fronti di guerriglia (dagli 80 del 1998 ai 130 di oggi), così come continua con forza la capacità rivoluzionaria delle masse di esprimere la propria opposizione all'assoggettamento del paese e maturità nel perseguire un proprio percorso che non ha nulla a che vedere con l'attività di gruppi di provocazione sedicenti islamici (Abu Sayaff). La conquista popolare rivoluzionaria dei territori del Nepal costituisce già un terreno di scontro generale con l'imperialismo dato l'appoggio anche militare imperialista yankee al regime sanguinario e difficilmente definibile legittimo, del principe Gyanendra, che ha sostituito de facto la precedente guida monarchica -forse perchè era sul punto di cedere alla pressione rivoluzionaria-, nonché dell'appoggio politico del regime capitalista imperialista indiano, che tuttora detiene prigioniero il compagno Chandra Prakash Gajurel Gaurav e che impatta quotidianamente con le masse popolari ed i movimenti rivoluzionaru maoisti nelle regioni rurali ove è in corso la guerra popolare così come nell'intero paese ove continua a difendere il regime delle caste, vigente ancora in Nepal, come quello della schiavitù per debito, dei risvolti sessisti e antifemminili assai discutibili anche per il più retrogrado e clericale dei paesi occidentali, che vi lucrano, e non solo con il turismo. Nelle zone liberate la qualità della vita e della disciplina sociale, il rispetto delle donne, la costruzione del Nuovo Stato, sono oggetto da parte dell'occidente, solo di sostegno ai bombardamenti genocidi del regime. Ma il recente assedio del settembre 2004 di Katmandou e l'inasprirsi della repressione nella capitale, dimostrano l'avvicinarsi della presa del potere. In Perù, la guerra popolare, cui l'imperialismo oppone presenza militare USA e censura internazionale, vendetta perenne sui prigionieri ed assoggettamento totale dell'economia nazionale, governi fantoccio e demagogia del genocidio (con la conta dei morti mescolandovi abilmente i dati noti e sempre resi pubblici dal Esercito Popolare di Liberazione, dei combattimenti e delle condanne popolari dei criminali genocidi ed aguzzini del popolo, con i dati oscuri dell'attività degli squadroni della morte e delle bande paramilitari), continua incessante a conquistare e tenere zone liberate (non di rado attaccate vigliaccamente anche in momenti particolari con strage di civili dalle truppe speciali “antidroga” ed “antiterrorismo”, cosa che molto più frequentemente avviene in Colombia dove la guerra è più civile che popolare), ad attaccare basi militari anche USA [-BIBL. 52-], ad operare nella metropoli, a guidare le lotte popolari, queste che nel frattempo articolano crescenti rivolte sociali ed etniche in singole zone come in tutto il paese, dopo aver causato già recentemente la caduta del dittatore (Fujimori), in maniera peraltro assai simile alle lotte che hanno abbattuto il dittatore filo-imperialista Sanchez de Lozada in Ecuador alla fine del 2003. L'oscuramento delle notizie da parte dei media internazionali per quanto attiene alle guerre popolari, che viene interrotto periodicamente da notizie da parte della guerra popolare ossia della rivoluzione proletaria mondiale (che giunge anche al Buthan) che oramai la borghesia agonizzante combatte nel laido dipanarsi della propia impotenza etica e morale, con colpi mortali eppure sempre più disperati che non possono impedire al popolo di crescere e combattere. Questi ed altri esempi che perdurano nel tempo, senza giungere a momenti di specularità con il nemico che si combatte (come in Colombia), dimostrano la superiorità della guerra popolare.

Non ha invece resistito nel Tricontinente né il modello fochista, che si riproduce oggi dopo 30 anni, solo in Colombia, né il modello guerrigliero urbano sorto con l’esperienza brasiliana di Marighella e con quella dei Tupamaros in Uruguay (NOTA 26).

L’importanza della guerra popolare oggi nel mondo intero (che secondo il mio parere può corrispondere, dotata di una formidabile linea di massa, alla guerra di classe di lunga durata nei paesi capitalisti come il nostro), non è data solo dal fatto che essa si dimostra resistente e vincente, ove diretta da partiti autenticamente comunisti, in paesi anche molto grandi e molto diversi, ai quattro angoli del pianeta, da almeno trentacinque anni (dalle rivolte di Naxalbari in India che diedero l’avvio alle guerriglie contadine in India), ma derivano soprattutto oltre che dalle esperienze storiche succitate del movimento di massa antifascista in Europa, dall’esperienza della guerra popolare prolungata in Cina, e dagli insegnamenti teorici e scientifici che ha portato alla classe operaia ed al proletariato mondiale.


In Perù, ventiquattro anni di guerra popolare hanno visto la capacità di reagire alla politica genocida dei vari governi filoimperialisti che si sono succeduti nel paese (Belaúnde, Alan García Pérez, Fujimori-Montesinos-CIA, ora questo Toledo), attraverso una strategia che il Partito Comunista del Perù (che la politica assassina americana ed ora dell’U.E. suole chiamare “Sendero Luminoso” per alimentare le diffamazioni e le menzogne mediatiche un tempo attribuitegli di fronte all’opinione pubblica monbdiale oltreché agitata dagli infami revisionisti di tutto il mondo, che per anni la stampa borghese ha sciorinato sulla sua conduzione della rivoluzione sociale proletaria e contadina peruviana mescolando crimini compiuti dagli squadroni della morte dei paramilitari nei confronti di contadini, studenti ed insegnanti, alle azioni della guerra popolare) ha studiato approfonditamente prima e durante la guerra popolare, e che nel 1995 così definiva in un documento del Comitato Centrale: “forma principale della Guerra civile; che rimane vittoriosa nonostante gli zig-zag e i rovesci transitori che sono avvenuti, dall’inizio alla fine, questa si svolge necessariamente in un processo di vittorie e di sconfitte, però queste sconfitte sono totalmente transitorie e parziali, e si comprende ciò che diceva il Presidente Mao Tse-Tung: Dal punto di vista strategico, solo il fallimento completo di una controcampagna può qualificarsi come una sconfitta, e anche in questo caso la sconfitta non è altro che parziale e temporanea, perché solo la distruzione totale dell’Esercito Rivoluzionario può essere considerata come una sconfitta della Guerra civile, però questo non è mai accaduto.”(…) (“Contro la dittatura genocida e vendipatria, persistere nella Guerra Popolare”, marzo 1995). Nella mia analisi della guerra popolare peruviana (BIBL. -42-), ho cercato di sintetizzare oltre alle varie fasi (dettate dai vari piani militari del Partito), la caratteristica principale della guerra di movimento come la strategia attuale della guerra popolare i cui caratteri essenziali sono universali.

prigioniere del PCP e dell’EGP in un carcere del regime genocida peruviano

 

La guerra di movimento che l’Esercito popolare di liberazione del Perù (all’epoca ancora Esercito guerrigliero peruviano) ha iniziato a sviluppare nella fase finale del quarto piano militare, si regge sul funzionamento congiunto delle colonne mobili e del sistema delle Basi di Appoggio. Le unità operative dell’Esercito Popolare sono le colonne mobili che combattono applicando la Linea Militare Proletaria (la conduzione proletaria della guerra risponde a principi e criteri che nulla hanno a che spartire con la logica militarista borghese), parte della Base di Unità Partitaria (ossia dell’unità teorica programmatica della rivoluzione delineata dal Partito dopo 8 anni di guerra popolare) prodotta dal I Congresso. Le colonne mobili sono esperte nella difesa attiva e si caratterizzano per la loro grande morale, onestà, produttività, per il loro autosostentamento alimentare e materiale, combattività ed efficacia nella guerra di movimento nelle campagne e nelle città (dove il “movimento” delle colonne ha una natura differente ma politicamente affine). Ogni colonna mobile può essere composta da un numero di combattenti che va da un minimo di 50-60 compagne e compagni in su, fino anche a 300-400, che combattono insieme e che sono non di rado guidati da una combattente donna. (Nella guerra popolare del Nepal, che ha imparato da quella peruviana, arrivano ad alcune migliaia di combattenti, grazie alla diversa natura territoriale). I territori liberati, pur non essendo permanenti, sono stabilizzati ed autodifesi secondo le tecniche della guerra popolare di liberazione in Vietnam, e si innestano nella guerra di movimento. Con questa strategia, fatta di attacchi alle colonne militari, di espropri delle ricchezze del potere, di occupazioni partecipate dal popolo, di interi villaggi, paesi e città, di blocchi stradali militari con propaganda alle masse e giustizia sui torturatori, di sabotaggio e di attacchi selettivi nelle città, la Rivoluzione peruviana resiste da un quarto di secolo in condizioni di inferiorità numerica e di genere di armamenti (ai 115 mila militari si sommano i 3-400 mila arruolati spesso a forza nelle truppe paramilitari dei cosiddetti “ronderos”, cui si sommano le truppe d’élite della polizia e quelle “antidroga” americane, con l’utilizzo di elicotteri e del bombardamento delle basi d’appoggio allorquando vengono identificate, ove vengono massacrati se il sistema di difesa non reagisce prontamente e con l’immediata evacuazione del territorio liberato, decine e centinaia di contadini, donne e bambini che vi vivono e lavorano), a politiche militari genocide e ad una repressione sociale pesantissima che colpisce i settori intellettuali, sindacali, studenteschi e contadini che non collaborano alle campagne di accerchiamento ed annientamento. Una resistenza che estende le zone del conflitto e della presenza rivoluzionaria guidate dalla lotta e dall’ideologia del marxismo-leninismo-maoismo, tant’è che le aree in stato di emergenza sono in crescita anziché in diminuzione. Il primato politico ed ideologico della Rivoluzione peruviana in atto è dato anche dalla pertinenza e giustezza dell’analisi antimperialista e della situazione economica ed internazionale. Inoltre, il PCP è stato il primo e forse l’unico Partito comunista del Tricontinente (che ha sancito la rottura con il neo-revisionismo a livello internazionale dopo il golpe in Cina del 1976), ad appoggiare senza esitazione alcuna i movimenti di lotta armata in occidente. Per questo, sia il revisionismo armato stile MRTA in Perù, sia quello disarmato, sia la gran parte del movimento comunista “leninista”, ha osteggiato e diffamato a livello mondiale i Comunisti peruviani ed il Presidente Gonzalo, in buona compagnia della CIA, del boia Montesinos, del genocida Fujimori e della loro montatura all’ONU nell’ottobre 1993 con il falso delle “lettere di pace” e con le successive menzogne sull’ “esaurimento” della guerra popolare.

La borghesia imperialista e compradora che si oppone con crimini di guerra crescenti alla resistenza civile dei popoli e nazioni oppresse ed alle guerre popolari vi dispiega sanguinose campagne genocide contro le masse, con migliaia di vittime civili attraverso l’uso della guerra sporca e delle bande paramilitari in alcune di queste realtà nazionali, ed anche altrove come in Colombia dove la guerra popolare non è ancora iniziata ma sono presenti robuste guerriglie fochiste e revisioniste (di liberazione nazionale), in cui l’attività di sterminio selettivo dei sindacalisti è portata avanti sistematicamente anche (e non a caso) nelle aree ove l’imperialismo yankee è presente con i propri sicari per “proteggere” le strutture delle proprie multinazionali petrolifere (come è il caso della regione di Arauca), e non solo grazie all’avallo del governo fantoccio filo-yankee di turno.

La attuale politica di censura e disinformazione dei media peruviani si è evoluta negli ultimi 2-3 anni, sempre in linea con la politica counter-insurgency contro la avanguardia rivoluzionaria del proletariato mondiale, il PCP e il Presidente Gonzalo, attuata sin dall’autunno 1993 nell’ambito dello spostamento di rapporti di forza nei paesi del nord del mondo a favore dell’imperialismo USA (caduta della “Casa Bianca” occupata, ottobre 1993 a Mosca). Le azioni minori vengono dipinte come “isolate”, quando invece sono la espressione di una mutata tattica nelle zone secondarie, da parte del PCP, che negli ultimi anni ha saputo imprimere determinate svolte soprattutto fautrici di una estesissima rivolta popolare più matura e capace addirittura di assaltare il potere a Lima stessa (2000-2001) ed abbattere Fujimori. L’insieme politico di azioni massive e di azioni secondarie e di direzione politica del PCP si esprime oggi “nel gestire le diverse forme della guerra e quindi implica la mobilitazione di una immensa massa affinchè percepisca la forza del Nuovo Stato (Repubblica Popolare del Perù) e la questione della negazione del vecchio Stato”. Questo si esprime del resto anche nella “politica” reazionaria, con alcuni attacchi a basi individuate della guerra popolare ove in determinati momenti vi sono solo persone indifese, e conseguente stragi di donne e bimbi, che sono continuate nonostante la “Commissione verità”. Allo stesso scopo la reazione continua con le montature (2000-2004 preparatoria del passaggio di Feliciano alle tesi del nemico, crediamo grazie a un totale lavaggio del cervello), ecco le “divergenze tra Feliciano e Gonzalo”. Evitando la ripresa del processo al Presidente Gonzalo e ad altri 17 militanti e dirigenti del PCP (vedi sotto), lo stato fantoccio Usa di Toledo dimostra ancora una volta la sua debolezza. Cambiano i partiti e le facce dell’oppressione, ma la sostanza rimane la stessa: Balaunde, Garcia Perez, Fujimori, Toledo.) Sul piano del “contrasto” alle azioni militari vere e proprie invece del EPL,  essendo insufficienti le campagne di accerchiamento ed annientamento, a contenere la guerra di movimento del EPL, avvengono attacchi contestuali repressivi alle lotte di massa. Lo si è visto, quando l’EPL ha  affrontato da diversi punti del rio Ene una pattuglia di 5 elicotteri Huey, equipaggiati in maniera speciale e con gli ultimi ritrovati tecnologici dall’imperialismo yankee (28-5-2005).   (2005-2006: La presentazione in pubblico del Presidente Gonzalo sotto processo nonostante l’impedimento a parlare, ha dimostrato quale sia il suo atteggiamento; solo ed esclusivamente il pugno chiuso rispetto al nemico di classe servo dell’imperialismo; la tenuta ed esetensione del nuovo potere è stata dimostrata dai dati relativi alle operazioni militari controrivoluzionarie generalmente fallimentari quando non riuscite come operazioni stragiste, di attacco alle Basi di Appoggio; nel contempo avvocati falsamente rappresentativi del Presidente e del Partito, magari con la pena derubricata, si sono prestati alle operazioni di una “amnistia generale” in stile di recupero del sistema, nel mentre è tornato al potere il genocida Alan Garcia. La condanna di questa operazione espressa dal Comitato Centrale del PCP nello scorso agosto 2006, e la tenuta della guerra popolare, nella similitudine controrivoluzionaria delle operazioni di regime rispetto al nostro paese, dimostra anche in questo caso la superiorità del maoismo rispetto alle teorie militariste ispirate alle esperienze degli anni fine 60-inizio 70 in America Latina).

 

Truppe paramilitari che come in Perù sono il frutto spesso di arruolamento forzato di contadini di poveri villaggi, e che sono schierate al fianco di truppe d’élite anti-guerriglia anche americane (con la mascheratura dell’antidroga operano molti agenti CIA ed addestratori militari). Presenza USA tutt’altro che mirata, in sé, alla lotta al narcotraffico, bensì diretta strategicamente a contenere e controllare il conflitto onde intervenire in forze “in caso di necessità”, mantenedo al contempo il paese sotto il cappio di una dipendenza totale economica e politica che certo non dà fastidio ai narcotrafficanti. Presenza americana da cui traspare la volontà di “presidiare” ogni area strategica del mondo, come con la pretesa di controllare l’area idrica più importante del mondo in Paraguay. Altrove la scusa, come nelle Filippine, è nella presenza della guerriglia islamica,ma il concetto non cambia.

Come i movimenti dei diritti umani verso le vittime della repressione anticomunista ed antipopolare nel mondo ben sanno, ma come molti “comunisti” occidentali dimenticano scientemente, il livello di scontro tra Rivoluzione e controrivoluzione in questi paesi è così alto da qualificare da solo il grado di maturità raggiunto da quei processi rivoluzionari.

In tutti questi paesi le carceri sono dei luoghi danteschi di tortura, e non solo nel caso del carcere militare sotterraneo della base navale del Callao ove il Presidente Gonzalo, il Compagno Feliciano ed altri dirigenti della guerra popolare (Compagna Miriam (Elena Iparaguirre), Zénon Vargas Càrdenas, Martha Huatay, Carlos Incháustegui, Laura Zambrano, Elvia Zanabria, Nancy Ruiz, Roberto Pizzarro, Carmen Carhuapoma e Maritza Garrido Lecca) sono sepolti vivi anche da 12 anni senza poter essere visti nemmeno dalle commissioni mediche e dei diritti umani internazionali (così come nelle carceri dei loro alleati, come l’India che si erge a “tutrice” del regime nepalese, che tiene rinchiuso il compagno Gaurav senza alcun motivo legale, o come ora nel caso dei compagni turchi del DHKP/C arrestati come “terroristi” dalle forze controrivoluzionarie di alcuni paesi europei come anche dell’Italia, in sostegno al regime miltare e falsamente democratico della Turchia, e degli interessi dell’industria delle armi italiana che fornisce a questo paese), ed in genere i regimi che vi “governano” o che vi hanno “governato”, vengono prima o poi riconosciuti oltre che dalla Storia, anche dalla stessa opinione pubblica internazionale come dei regimi dittatoriali e sanguinari. In questi paesi, così come nella Turchia che ha assogettato sin dagli anni ’20 il Kurdistan, reagendo alla guerra di liberazione avviata dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan nel 1984 con lo sterminio e distruggendone i loro villaggi a migliaia, come nella Palestina occupata dal 1948 dallo Stato di “israele” ove vengono rase al suolo le abitazioni civili, obbligati milioni di uomini e donne all’esilio ed ai campi profughi, uccisi bambini ed esponenti politici dalle armi tecnologicamente avanzate dei sionisti, (che studiano anche armi biologiche mirate a specifiche etnie e popolazioni), ove nelle carceri, anche segrete e clandestine del Mossad, vengono detenute in condizioni bestiali finanche le bambine, la “logica” dei diritti umani non è rilevata dagli USA per “interventi umanitari”. Tuttavia l’infamia degli USA, della NATO e delle potenze imperialiste non è un elemento di forza: la loro necessità di una “scusante umanitaria” fa trasparire all’orizzonte il declino di ogni possibile legittimità nell’ambito del genere umano per qualsivoglia intervento militare di conquista militare e di controllo politico ed economico di qualsiasi paese.

Vi sono anche delle considerazioni da fare, a trentacinque anni dall'inizio della guerriglia in Europa e a quaranta dalle prime esperienze in USA: sotto il protilo della memoria delle masse, che le masse hanno delle esperienze, il modello della guerriglia metropolitana è stato, anche nel Tricontinente, a parte forse i n Uruguay dove i guerriglieri presiedono le camere parlamentari, del tutto sconfitto dai media della borghesia imperialista, verso i quali voleva competere con la logica della “sfida” (i sequestri, l'implicito ma negato politicamente, “bisogno di un riconoscimento” dall'infame stato borghese), in quanto, inserendosi preliminarmente nelle sue logiche, ne è rimasto impigliato e sconfitto poi sul piano dei rapporti di forza. Di qui alle “star”, dei libri revisionisti di ex-guerriglieri metropolitani, alle “interviste” con voce pacata e riflessiva, rivisitante il passato, incutente timore reverenziale di resa ai giovani, il passo è stato, per la gran parte dei dirigenti della guerriglia metropolitana (Italia, Germania, Francia), molto breve, pressocchè automatico. Ne è un esempio il giovane Persichetti, che dall'alto della sua breve esperienza, dà degli “epigoni” ai compagni più recentemente arrestati. La logica della differenziazione carceraria ha vinto su questo modello, perchè ha saputo imporre i suoi tempi e le sue “leggi” a gran parte del corpo militante prigioniero. La lotta contro questa repressione e sistema carcerario si è così piegata, da collettiva ed esemplare (Asinara, 1978, Trani, 1981), ad individuale e spesso inquinata da tentativi di gestione del potere. Ciò nonostante, anzi proprio per l'esperienza di ciò che è stato, la solidarietà nell'affermarsi, apre all'orizzonte anche nei paesi capitalistici “avanzati”, della guerra popolare quale sistema di distruzione/costruzione rivoluzionaria del tutto maturo e diversamente basato, sulle masse e non sulla sola soggettività.