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di questa copertina nessuno è autorizzato a farne uso, e in vita questa è l’unica copertina prevista

 

Paolo Dorigo

Militante comunista prigioniero marxista-leninista-maoista principalmente maoista

IL LIBRETTO ROSSO DELLA NUOVA RIVOLUZIONE PROLETARIA ITALIANA

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Visto il sabotaggio psichico dei torturatori del controllo mentale a questo lavoro, ne viene pubblicata qui per la prima volta questa 1° edizione parziale, anche per il rischio di vita che la tortura che sto subendo comporta; è vietata la diffusione commerciale – La diffusione commerciale sarà molto probabilmente curata a lavoro concluso dai maoisti italiani.

Paolo Dorigo, 8 febbraio 2006, 21° anniversario della prima delle operazioni controrivoluzionarie dei boie dei ROS deviati e della Procura Inquisitoriale veneziana contro il Centro di Documentazione marxista-leninista di Marghera, il Coordinamento Veneto-Friuli contro la repressione, il Bollettino del Coordinamento dei Comitati contro la repressione, e due familiari di prigionieri rivoluzionari, operazioni e montatura crollate con la sentenza del 2 ottobre 1991 della Corte d’Assise di Venezia.

 

IN CORSO DI STESURA
CAPITOLI 1-10 COMPLETI

CAPITOLO 11 IN CORSO aggiornato al 17-9-2006

CAPITOLI 12-33 IN PROGRAMMA TORTURA CONTROLLO MENTALE PERMETTENDO

 

Di eventuali estremizzazioni, esagerazioni di cui qualcuno, parte del conflitto di classe dalla parte sbagliata dovesse averne a male, od errori lessicali, sono responsabili unicamente i torturatori essendo stato scritto questo testo durante la tortura permanente del controllo mentale sin dal 2003 nel carcere di Spoleto. Infatti sono benissimo in grado di esprimere le mie idee senza queste suddette forme, tuttavia causa tortura del controllo mentale non sono in grado di correggere le bozze di questo lavoro.

Paolo Dorigo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PREMESSA

Questo lavoro è stato il più sabotato ed il principale obiettivo della controrivoluzione con il sequestro del 25 gennaio 2005, organizzato minuziosamente nei particolari sin dall’arrivo di un sedicente “antimperialista” nel lager spoletino. Il capitolo 8 è stato riscritto in seguito a questo sequestro, e qui, dopo averlo recuperato, ne proponiamo le due versioni. Precedentemente sono stati salvati i primi 7 capitoli al 8 ottobre 2004. E’ tra gli elementi in valutazione dei rivoluzionari di questo paese se gli agenti DIA e ROS-ROC che operarono quel sequestro lo abbiano compiuto solo per mansioni di servizio o anche per far piacere a componenti neorevisioniste interne alle istituzioni, che al pari dei fascisti e dei democristiani, anziché dare più democrazia alle masse, dal 1998 hanno inmfiltrato i servizi deviati carcerari attraverso il partitino del prode diliberto.

NOTA EDITORIALE

Le citazioni sono state riferite alla più recente ed ampia raccolta italiana di Opere di Mao Tse-Tung (disponibile anche su cd-rom) per puro riferimento a semplificare la lettura e a stimolarla, ai giovani compagni, dato che ci è nota la poca propensione alla paziente ricerca di un brano in testi non sempre brevi né facilmente reperibili, indipendentemente dalla qualità più o meno fedele delle traduzioni di questa raccolta ed alle scelte politiche sottese dai responsabili di questa raccolta (come quella di definire compagno il criminale revisionista hua kuo-feng), non sempre discusse con i collaboratori alla stessa, all’epoca del lavoro di cura e redazione dei testi. Infatti invece i testi sono quasi sempre letteralmente copiati dall’edizione in lingua italiana del Libretto rosso e non dalla traduzione in italiano delle Opere edite suddette.

I termini cinesi usati sono riferiti alla traslitterazione del sistema in corso alcuni decenni fa. Socialimperialisti (Cina) e imperialisti (Germania) di oggi, concorrono a corpose modificazioni linguistiche allo scopo di cancellare i principali periodi di potere della classe operaia nei rispettivi paesi, come per altri versi i principali imperialisti (SS.UU.A.).

Infine, a proposito delle interpretazioni e diverse posizioni nel movimento maoista, diciamo chiaramente che consideriamo guida generale nell'esperienza del m.c.i. l'esperienza della guerra popolare in Perù, che non consideriamo deviazionista a causa delle fenomenologie resaiole e di LOD interne ai prigionieri, in quanto non maggioritarie e comunque ininfluenti nello scontro di classe interno, a differenza di quanto avvenuto purtroppo a causa del soggettivismo militarista, in Italia. Che consideriamo l'interpretazione destrosa ed opportunista del Co.Mri nociva e distruttiva della maggiore esperienza sviluppatasi in seno al MRI dal 1980 (prima della sua fondazione, voluta dal PCP), su questa esperienza, e che consideriamo l'esperienza della guerra popolare in Perù fondamentale per la nostra F.E.S. in quanto la più vicina (basti pensare alla metropoli Lima) a quella dell'occidente capitalista. Questo senza nulla togliere all'ondata rivoluzionaria in corso nell'Asia meridionale ed ai successi della g.p. in Nepal.

L’autore

 

INDICE

1.     Il Partito comunista

2.     Le classi e la lotta di classe

3.     Il socialismo e  il comunismo

4.     La giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo

5.     La guerra e la pace

6. L’imperialismo e tutti i reazionari sono tigri di carta

 7. Avere il coraggio di lottare, avere il coraggio di vincere (fino a qui scritto nel 2004)

8. La guerra popolare (prima stesura) e (rifacimento dell’agosto-ottobre 2005)

9.     L’esercito popolare (commenti del novembre 2004)

10. Il ruolo dirigente dei comitati di Partito (commenti del novembre 2004)

11.La linea di massa (in corso)

SUGLI STESSI ED ALTRI ARGOMENTI: PER IL MARXISMO-LENINISMO-MAOISMO (Tribunali di Livorno e Biella, allegati agli atti, 2004)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Il Partito comunista

 

Il nucleo dirigente della nostra causa è il Partito comunista.

Il fondamento teorico in base al quale si orienta il nostro pensiero è il marxismo – leninismo – maoismo.

La storia degli oppressi e dei proletari è diffamata e mistificata a più non posso dai borghesi e dai novelli cantori delle più diverse ed insignificanti opposizioni piccolo-borghesi. Noi riaffermiamo:

marxismo

·         perché corrisponde all’analisi della società capitalista, alla centralità della classe operaia e del Partito comunista quale suo dirigente storico nelle varie formazioni economico – sociali e tempi storici che portano ineluttabilmente il capitalismo a creare le condizioni stesse della transizione al comunismo attraverso l’instaurazione, paese per paese, delle società socialiste, ove ad ognuno corrisponde sulla base del proprio lavoro e non della propria condizione sociale precedente, ed ove la proprietà dei mezzi di produzione è collettiva e statalizzata;

·         perché ci ha insegnato l’internazionalismo quale principio di identità dei comunisti ovunque nel mondo.

leninismo:

·         perché corrisponde all’esperienza rivoluzionaria del Partito comunista e popolare dei Soviet (assemblee e consigli del popolo) e dell’Unione Sovietica  (socialista dal 1917 al 1955) quale guida della necessaria fase della dittatura del proletariato, nella trasformazione della società e nel miglioramento delle condizioni di vita delle masse, nella loro emancipazione collettiva, culturale, individuale e di ogni sua parte al di fuori dei vincoli e dei limiti imposti dalla società borghese;

·         perché ci ha insegnato con la guerra patriottica del popolo sovietico contro il nazifascismo, che l’unità del popolo è invincibile anche di fronte alla più terribile aggressione militare;

·         perché ci ha insegnato l’imperialismo nel suo caratterizzarsi come ultima e putrescente fase di espansione del sistema capitalista mondiale.

maoismo

·         perché corrisponde alla centralità nell’ultima fase della società mondiale capitalista imperialista, delle masse popolari, lavoratrici e contadine dei popoli oppressi, che costituiscono la maggioranza dell’umanità sfruttata ed oppressa da una esigua minoranza di alcuni milioni di individui asserragliati nelle proprie cittadelle corrispondenti alla borghesia imperialista;

·         perché ha tradotto in teoria ed esperienza la guerra popolare delle masse oppresse

·         perché ha saputo portare sino alle estreme conseguenze la lotta di classe anche all’interno il Partito comunista al potere con la gloriosa Rivoluzione Culturale Proletaria, riconoscendo il rischio che la borghesia si affermi anche al suo interno –come è avvenuto peraltro in maniera pressoché indolore in tutti i paesi occidentali-.

Qualsiasi altro partito si qualifichi di essere comunista al di fuori di questa base ideologica è falso e venduto alla borghesia ed al suo sistema sociale di contenimento delle istanze popolari e della classe operaia, nella migliore delle ipotesi è un partito anchilosato sulla venerazione dogmatica del solo leninismo. Non possono esistere in una stessa formazione sociale in uno stesso momento storico due più partiti autenticamente comunisti. O uno di questi, o entrambi, o tutti, deviano, qualora non trovino la via dell’unità rivoluzionaria della maggioranza del popolo, diretta dalla classe lavoratrice. Il Partito che non devia è quello che costruisce la prospettiva rivoluzionaria e di liberazione del popolo e della classe operaia quale suo nucleo di avanguardia.

 

 

Per fare la rivoluzione, occorre un Partito rivoluzionario. Senza un partito rivoluzionario, senza un partito fondato sulla teoria rivoluzionaria marxista – leninista – maoista e sullo stile rivoluzionario marxista – leninista – maoista, è impossibile guidare la classe operaia e le grandi masse popolari ala vittoria nella loro lotta contro l’imperialismo ed il sistema sociale e di interessi tra loro interconnessi che ne è concausa.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse anche il 24 aprile 1945:

“… senza gli sforzi del Partito comunista della Cina, senza i comunisti cinesi, spina dorsale del popolo cinese, sarebbe stato impossibile realizzare l’indipendenza e la liberazione della Cina, come sarebbe stato impossibile realizzare l’indipendenza e la liberazione della Cina, come sarebbe stato impossibile realizzare l’industrializzazione in Cina e la riorganizzazione dell’agricoltura su basi nuove.”

(“Sul governo di coalizione”, Opere di Mao Tse-Tung,

ed.Rapporti sociali, vol. 9, 117-174 )

 

L’autentico Partito comunista, una volta costituitosi nel fuoco della lotta di classe, costituisce per sua stessa natura e genesi il nucleo dirigente dell’intero popolo italiano. Senza un simile nucleo, che nasce sulla base dell’esperienza della classe operaia e del suo patrimonio storico, la causa del comunismo non potrà mai trionfare.

 

Ci ha scritto il 30 giugno 1949 il Presidente Mao:

“Un partito disciplinato, armato della teoria marxista-leninista-maoista, solito a praticare l’autocritica e legato alle masse popolari; un esercito diretto da un simile partito; un fronte unito di tutte le classi sfruttate ossia della maggioranza assoluta della popolazione, guidato dalle classi rivoluzionarie del popolo e sostenuto da tutti i gruppi rivoluzionari sotto la direzione di un simile partito; ecco i tre strumenti fondamentali per portare a compimento la tappa rivoluzionaria della rivoluzione socialista nel nostro paese.”

( “Sulla dittatura democratica popolare”,

 Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.11, pag.123-136)

 

La causa del comunismo come scopo finale dell’emancipazione e dell’eguaglianza tra tutti gli uomini e le donne senza distinzione di sesso, nazionalità, lingua, credenze e superstizioni, età e origini sociali della vecchia società, potrà essere raggiunta solo su base mondiale attraverso una serie di rivoluzioni nazionali o regionali che porteranno alla costituzione di stati socialisti o comunistici e attraverso continui processi di transizione comunistica frutto della lotta di classe.

Se il carattere comune di questi stati e  di questi processi di transizione è quello che dirige verso il miglioramento delle condizioni sociali di tutto il popolo senza discriminazione alcuna sul piano sociale e lavorativo espropriando le classi possidenti di ogni loro terra, proprietà industriale e finanziaria, (in quanto frutto di espropriazione, furto, rapina, saccheggio e violenza ai danni della maggioranza dei popoli sfruttati dell’umanità sin dai tempi più antichi), ciò che distingue uno stato socialista da un processo di transizione in atto verso il comunismo non è solo la dimensione mondiale del processo (e quindi la sconfitta dell’imperialismo e la dissoluzione del capitalismo  sul piano internazionale) ma è anche il carattere statale della proprietà dei mezzi di produzione, con i problemi storicamente già evidenziati nella pianificazione e nel controllo in relazione al rispetto dei principi di eguaglianza sociale, carattere che deve essere però sempre soggetto all’esercizio della critica e del potere dal basso verso l’alto con la Sovietizzazione dell’intera macchina statale, ossia uno stato diretto dai Consigli – Assemblee – Comuni popolari a tutti i livelli ed in ogni campo. In questo senso il Partito comunista è l’espressione più matura di questa Sovietizzazione e non è più –dopo l’instaurazione dello stato socialista- una autorità separata nella gestione del potere, ed è suo compito quindi reprimere le insorgenze della burocrazia e della borghesia e non favorirne il ritorno, come è stato in URSS dopo la morte di Stalin ed in Cina dopo la morte del Presidente Mao Tse-Tung.

Il comunismo realizzato su scala mondiale sarà una sorta di anarchia pacifica dove al lavoro ed alla riproduzione sarà affiancata parimenti  per tutta l’umanità la libera espressione artistica, culturale e umana senza alcuna limitazione.  Per questo ci diciamo comunisti, perché consideriamo raggiungibile il comunismo attraversi questi passaggi, perché ci poniamo il problema di “come” ed attraverso quali passaggi  poter raggiungere la pace la serenità l’eguaglianza e la prosperità su scala mondiale.

 

Proprio perché la situazione di arretramento odierna è ben  più grave di quella che certi dogmatici vogliono intendere e sottovalutare per campare politicamente sull’onda delle parole, occorre che facciamo capire ai rivoluzionari non comunisti che consideriamo il patrimonio storico dei paesi socialisti come una importante base di esperienza per i futuri paesi socialisti ma non come un vincolo od una corda al collo del nostro domani, avendo così la capacità di superare gli errori e di evitare certi deviazionismi e revisionismi di destra che si sono succeduti nei paesi socialisti. Parimenti dobbiamo spiegargli che certe credenze (la guerra di Spagna a Barcellona, i “crimini” di Stalin e Pol Pot, la “follia” della rivoluzione culturale cinese) sono falsità e stravolgimenti che la borghesia usa, ha usato ed enfatizzato, proprio sull’onda dei numerosissimi drammi vissuti all’ interno del movimento comunista e rivoluzionario.

 

L’unità che oggi ci avvicina a diversi rivoluzionari di diverse esperienze nell’affrontare la società repressiva imperialista, deve essere un patrimonio da tutelare nei secoli, proprio perché non abbiano a ripetersi logiche fratricide, carrieriste, dirigiste, di cannibalismo politico, che in talune situazioni hanno disastrato la direzione del movimento rivoluzionario portando nel popolo sconforto e sfiducia.

 

Bisogna avere fiducia nelle masse; se non si ha fiducia nelle masse, è impossibile costruire il Partito di avanguardia della classe operaia e del popolo.

 

Il Partito comunista, armato della teoria marxista-leninista-maoista, non dimentica né l’esperienza della guerra partigiana anti-fascista e della partecipazione internazionalista alle Brigate Internazionali nella guerra civile in Spagna, né tantomeno l’esperienza storica delle Brigate Rosse che, nel periodo storico delle loro più mature offensive, hanno sedimentato nel popolo italiano una nuova coscienza di classe e che hanno saputo dar vita ad un nuovo stile di lavoro, i cui tratti fondamentali sono l’unione della teoria con la pratica, uno stretto legame con le masse, lo sviluppo dell’autocritica e la parità tra l’uomo e la donna. Mentre ricorda con il senno del poi e con la ricchezza dell’esperienza, i numerosi errori pratici, le divisioni fratricide nelle carceri, ed anche gli errori di linea politico-militare che ne hanno contraddistinto la seconda fase negli anni ‘80 del secolo scorso.

 

Un Partito non può guidare fino alla vittoria un grande, diffuso e articolato movimento rivoluzionario, prodotto della inarrestabile coscienza politica e storica della classe operaia nel maturare della crisi capitalista, della guerra imperialista e dell’aberrazione del suo potere, se non comprende il movimento nella sua realtà effettiva, se non fa inchiesta di classe, se non basa il suo programma politico sulla effettiva formazione economico-sociale del paese e delle varie regioni e realtà di cui è composto.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse anche il 12 marzo 1957:

“La rettifica è, come dicevamo, un “movimento generale per l’educazione marxista”. È infatti lo studio, in tutto il Partito, del marxismo per mezzo della critica e dell’autocritica. Nel corso di questo movimento, noi approfondiremo certamente la nostra conoscenza del marxismo.”

(…)

“È un arduo compito quello di garantire un degno livello di vita a tutto il popolo italiano e a tutti i lavoratori, gli esuli, i perseguitati sociali e politici dall’imperialismo, ed ai loro familiari, qualsiasi sia la loro provenienza geografica e la loro religione ?   Finché non sapremo far superare al popolo italiano la sua atavica arretratezza culturale, le sue superstizioni, vigliaccherie e subalternità al potere (e potremo farlo solo riconoscendo e combattendo il persistere di caratteri semi-feudali nella gestione del potere a tutti i livelli) non potremo portare la classe operaia fuori dal pantano della lotta per la sopravvivenza cui le catene dell’imperialismo la costringono con la maggioranza del popolo.  Ed è per meglio affrontare questo compito e per meglio lavorare insieme con tutte le donne e gli uomini di buona volontà che stanno al di fuori del Partito ma che sono solidali alla causa di liberazione dal lavoro salariato e schiavistico, che noi, decisi a realizzare fino in fondo le trasformazioni, ora come in avvenire, dobbiamo mettere in atto movimenti di rettifica e correggere senza tregua ciò che di erroneo è in noi”.

(“Intervento alla Conferenza nazionale del Partito comunista della Cina sul lavoro di propaganda”, Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, vol.14, pag.197-210)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse anche il 27 febbraio 1948:

La politica è il punto di partenza di qualsiasi azione pratica di un partito rivoluzionario e si manifesta nello sviluppo e nelle conclusioni delle azioni di questo partito. Ogni azione di un partito rivoluzionario è l’applicazione della sua politica. Se esso non applica una politica giusta, applica una politica errata; se non applica una politica consapevolmente, la applica ciecamente. Ciò che noi chiamiamo esperienza, è il processo di applicazione di una politica e la conclusione di questo processo. Soltanto attraverso la verifica della pratica del popolo e della soggettività nel popolo, cioè attraverso l’esperienza, noi possiamo verificare se una politica è giusta o errata, e stabilire in quale misura è giusta e in quale misura è errata. Ma la pratica degli uomini, e specialmente la pratica di un partito rivoluzionario e delle masse rivoluzionarie, va necessariamente connessa a una politica o a un’altra. Di conseguenza, prima di intraprendere una azione, dobbiamo spiegare con chiarezza ai membri del Partito e alle masse la politica che noi abbiamo formulato alla luce delle circostanze. In caso contrario, i membri del Partito e le masse si scosteranno dalla direzione politica decisa dal nostro Partito, agiranno alla cieca e applicheranno una politica errata.

“ A proposito della politica  riguardante l’industria e il commercio”,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.10, pag. )

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse sullo stesso argomento anche questo, il 1 aprile 1948, nel fuoco dell’ultima lotta per la conquista popolare del potere:

“Il nostro Partito sta attraversando un lungo periodo di costruzione nella lotta, tuttavia molto spesso ci si dimentica la linea generale rivoluzionaria e si rimane incagliati nei particolarismi delle realtà locali e delle situazioni sociali che si vivono; inoltre la controrivoluzione continua incessante a reprimere ed a costruire provocazioni e demonizzazioni nella peggiore delle tradizioni clericali e fasciste delle congreghe di potere del nostro paese, secondo la linea controrivoluzionaria dettata dai 36 boie di regime nel 1984, tendente a destabilizzare il campo rivoluzionario con ogni mezzo politico, mediatico, miltare, giuridico e scientifico. Dimenticarsi di questo aspetto, o comunque esserne speculari, rischia di far deviare dal raggiungimento dell’obiettivo di tappa, la costruzione del Partito comunista, che a sua volta rischia di divenire un mito perfetto verso cui tendere, anziché essere la pratica stessa dell’agire unitario e coeso dei sinceri comunisti. Per questo non dobbiamo cadere nell’errore di trasformare in dogma il nostro insieme di conoscenza e scienza politica della critica del sistema capitalista e della concezione materialista dialettica e storica, della nostra ideologia marxista-leninista-maoista. Facendo questo errore, o costruendo dei mostri nelle nostre menti, o elevando noi stessi ai ranghi dei nostri nemici, mitizzando e mitizzandoci, oppure rinchiudendoci nei nostri particolarismi locali fatti di odi e mezzucci, di miserie e di incapacità di superare le sconfitte, noi non rrenderemmo un buon servizio alla nostra causa. Se ci dimentichiamo effettivamente della natura solidale e progressista della nostra causa, ci trasformiamo in esseri incapaci di condurre il Partito per cui diamo la nostra esistenza, quale volano e attore principale della trasformazione rivoluzionaria cosciente dell’umanità.

“ Discorso pronunciato a una conferenza dei quadri della regione liberata dello Shansi-Suiyuan”, Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, vol.10, cit., pag.167-178  )

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse il 20 marzo 1948:

La politica e la tattica sono la vita stessa del Partito; i compagni dirigenti a tutti i livelli devono prestar loro la massima attenzione e non devono mai mostrarsi negligenti a questo proposito.

(“Circolare sulla situazione”,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol. 10, pag.159-166)

 

 

Mentre leggo, scrivo, correggo e rivedo questo testo, ossia la copiatura ed il commento delle “Citazioni”, sotto la tortura del controllo mentale, penso alle banalità dei controrivoluzionari ed al loro voler indossare con me le vesti degli inquisitori contro l’eretico di turno. Non mi sono mai considerato un eretico, ma un comunista conseguente. Il che tuttavia, in periodi di controrivoluzione galoppante, è eresia anche per quei rivoluzionari e per quelle organizzazioni per cui il mantenimento della propria linea “politica” ha più importanza della correttezza della stessa, con tutta la gamma di conseguenze del caso. In questo senso vi è un gioco sottile dei controrivoluzionari di diffamare i rivoluzionari ottusi, che pare a volte collidere con la realtà tanto è il potere che il controllo mentale dà loro.

Ma con il marxismo-leninismo-maoismo questo non gli è concesso, se non drogando e somministrando psicofarmaci mescolati in maniera micidiale ai combattenti torturati, al che non avrebbero sotto mano un marxista-leninista-maoista nell’esercizio delle sue capacità e qualità politiche ed umane ma un uomo privato di senso critico e di sé, come hanno fatto con me nel maggio-giugno 2002, gli infami fascisti o sedicenti carabinieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2.                   Le classi e la lotta di classe

 

Nella società “post-moderna”, formula usata dagli intellettuali al servizio del potere finanziario dei grandi capitalisti e del sistema politico culturale ed ideologico che ne sottende il controllo dell’opinione pubblica e delle masse, dicono questi numerosi e ben pagati cantori dei fasti della ricchezza e dell’inevitabilità e civiltà della società capitalistica, che le classi sociali sono una categoria superata ed obsoleta.

Lo dicono con la prosopopea di chi “in passato ci ha creduto, e si è accorto poi” dell’inutilità ed erroneità di concetti come conflitto, classe, ideologia.

Parlano così solo ed esclusivamente perché sono del tutto integrati nel sistema di sfruttamento e morte dettato dagli interessi che si sono sedimentati via via nei secoli attraverso una classe emergente, la borghesia,  formatasi nello sviluppo sociale da e contro la classe nobiliare, ossia la classe dei predoni che sullo sfacelo della civiltà antica costruirono il potere feudale.

Parlano così solo perché sono ben pagati per i loro servigi che fanno in ogni campo ai membri della classe della borghesia imperialista, quale che sia il ruolo, spesso apparentemente di oppositori e critici (come l’ex operaista e filosofo lagunare Massimo Cacciari approdato recentemente ai misteri dell’anima quale definitivo abbandono di ogni pretesa e speranza di un reale cambiamento), che gli è riconosciuto da altri giullari e cantori dell’infame sfruttamento, i giornalisti impegnati al servizio dei grandi magnati dell’editoria, spesso e volentieri impegnati pure in altri settori industriali, finanziari, e di potere.

Il fatto che monopolizzino la gran parte dei notiziari, delle rassegne stampa, delle trasmissioni televisive, della cultura ufficiale (quella cultura di rappresentanza commerciale per cui ogni libro di un giornalista già leccacelo della DC negli anni settanta è per forza di cose un’ “opera” e come tale va presentata giocoforza su 7-8 canali televisivi e su un centinaio di quotidiani), non significa non solo che le loro idee a tal proposito abbiano il benché minimo valore, ma nemmeno che le loro analisi reggano alla più semplice delle disamine, quella dei fatti concreti.

Riprendendo il metodo marxista e leninista di Marx, Engels e Lenin, Mao Tse-Tung, prima di addentrarsi nella tremenda e durissima esperienza della guerra popolare di liberazione del popolo Cinese, che gli costò beninteso innumerevoli lutti anche familiari (anche da qui il valore eccelso delle sue idee e delle sue parole), si dedicò a studiare a fondo la struttura sociale della società cinese.

Studiare a fondo significa non solo enumerare statisticamente (con gran fatica traendo numeri significanti dai dati manipolati e difettosi forniti all’opinione pubblica dagli istituti statistici della borghesia imperialista) le componenti della società, ma conoscere a fondo i processi produttivi, le realtà sociali, le difficoltà i problemi i dolori ed i lutti vissuti dal popolo e dalla sua classe più significativa, la classe operaia, nella quotidiana lotta per la sua sopravvivenza.

In Italia non vi sono molti lavoratori agricoli oggigiorno, per cui l’Italia di oggi non è certo la Cina semifeudale del 1927. Ma in Italia vi sono moltissime ipocrisie e false realtà che celano una realtà durissima e sanguinosa di sfruttamento e disperazione su cui i ricchi e potenti capitalisti fanno leva per sfruttare alla massima potenza le classi subalterne, che costituiscono insieme ai loro familiari quasi 50 milioni di cittadini ed un numero imprecisato di proletari immigrati e loro familiari.

Analisi di classe non significa solo conoscenza del territorio sociale e della realtà, ma anche analisi politica. A partire dalla lotta di classe, che è, a dispetto dei cantori della post-modernità, il dato fondamentale di ogni società  nella storia.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse anche il 14 agosto 1949:

“Lotta di classe –certe classi sono vittoriose, altre vengono eliminate. Questa è la storia, la storia delle civiltà, da millenni. Interpretare la storia da questo punto di vista è quel che si dice materialismo storico; porsi all’opposto di questo punto di vista è idealismo storico.”

(“Respingete le vostre illusioni e preparatevi alla lotta”-, Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.11, pag.137-144)

 

La prosopopea anticomunista vorrebbe far credere alle masse che la classe operaia è una classe in estinzione, che l’automazione e la tecnologia tendono ad eliminarla. Confondono così il loro desiderio di giungere un giorno a nuove forme di schiavismo –di animali addestrati, di robot, di “razze” inferiori– con la realtà.

Noi sappiamo invece che, così come in tutto il mondo il ciclo della rivoluzione industriale non si è concluso ed è ancora in espansione, come nel Tricontinente (termine quanto mai attuale ed appropriato che indica i continenti dell’America latina, dell’Africa e dell’Asia, dal nome della Tricontinental sorta sull’onda dell’internazionalismo guevarista), così a determinare l’identità della classe operaia non è l’utilizzo del martello e dello scalpello, bensì la collocazione di classe del lavoratore salariato nell’ambito del ciclo di riproduzione del capitale. Così, possiamo tranquillamente affermare che oggi nel mondo gli operai sono un quinto dell’intera popolazione, e che negli stessi paesi capitalisti la classe operaia è composta da molti più lavoratori di quanto le stupide statistiche borghesi (divisione in settore primario, ergo agricolo, secondario, ossia industriale, e terziario, ossia dei “servizi”) non indichino, sia per un dato oggettivo (molti operai sono nell’agricoltura, data la natura capitalista di numerose aziende agricole, moltissimi lavoratori dei servizi sono nella classe operaia per lo stesso tipo di lavoro che fanno), sia per un dato analitico (la produzione di plusvalore è l’attività centrale della maggior parte delle aziende capitalistiche dei servizi).

L’analisi di classe, la conoscenza profonda che noi comunisti dobbiamo avere del nostro territorio, della struttura economica e sociale delle nostre regioni, comportano una visione d’insieme che condurrà chiunque la conduca con serietà, ad un risultato estremamente contraddittorio con quello che ci spacciano le statistiche borghesi degli istituti preposti come l’Istat o della divisione del “mercato del lavoro”.

A questo si aggiunga che il lavoro extralegale, nero, precario e sommerso, è molto più significativo di quanto si riconosca, perché la borghesia al potere costringe i lavoratori dipendenti a decurtazioni fiscali e previdenziali dei salari che ben superiori in proporzione e spesso in assoluto a quelle adottate con il trattamento fiscale dei lavoratori statali delle forze dell’ordine alle quali sono concessi stipendi ben superiori alla media degli altri lavoratori, ai lavoratori indipendenti, autonomi, e dei capitalisti.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung scrisse nel luglio 1937:

“In una società divisa in classi, ogni uomo vive in una determinata situazione di classe, e ogni ideologia porta un marchio di classe.”

(Mao Tse-Tung, “Sulla pratica – Sul rapporto fra la conoscenza e la pratica, fra il sapere e il fare”, 

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.5, pag.169-182)

 

Contrariamente a quanto vogliono farci credere i borghesi, i loro insegnanti e filosofi, i loro giornali e mezzi di comunicazione, secondo i quali il progresso è il frutto di trasformazioni sempre necessarie frutto del loro denaro e della loro ricerca scientifica, e per cui il progresso umano e le trasformazioni della società dovrebbero essere esclusivamente il frutto delle modificazioni qualitative e strutturali indotte dalla tecnologia,  le trasformazioni della società sono generate in gran parte dallo sviluppo delle contraddizioni esistenti all’interno della società e del suo modo di produzione.

Per cui, oltre  generare risposte dirette, esecutive (gerarchizzazione dei poteri, esclusione delle masse dalla vita politica), legislative (modificazioni strutturali, perdita di garanzie sociali e lavorative, sostegno ai capitalisti) e di potere (repressive e militari), la borghesia sostiene e sospinge la ricerca scientifica secondo criteri ben precisi voluti da ristrette cerchie di interesse che si rifanno ad importanti gruppi economici.

Ma questi criteri sono anch’essi determinati dalla natura del conflitto di classe tra le classi dominanti ed in particolare la borghesia imperialista., e le classi subalterne principalmente il proletariato.

Dominanti permangono quindi le contraddizioni tra le forze produttive ed i rapporti capitalistici di produzione, le contraddizioni tra le classi, le contraddizioni tra ciò che di nuovo esprime il popolo ed il proletariato e ciò che di vecchio permane, dietro ogni ammantato modernismo tecnologico, nella società,   (DA QUI RICOSTRUZIONE DEL TESTO SABOTATO DAI MIEI TORTURATORI DICEMBRE 2003)

nelle strutture e nei sancta-sanctorum connaturati al dominio borghese della società. Alla generazione infatti degli intellettuali rivoluzionari al servizio delle classi oppresse e della loro emancipazione, persone che sapevano lavorare tre volte tanto gli altri, e che non cercavano, come Marx, il profitto e la fama, ma solo di dare, dare e dare, si è oggi nei marci e putridi, infami e laidi paesi occidentali capitalisti, sovrapposta una classe di intellettuali narcisisti, quasi pedofili, gente che ogni anno deve pubblicare un testo per Natale, gente che se non ha una intervista con foto su un quotidiano nazionale ogni mese, sta male, gente che fa ricerca scientifica segretamente e al servizio degli eserciti e della morte, e che al contempo in calzini di seta e fifì, riempie le sale delle prime teatrali, gente che depriva la classe degli sfruttati, che tutto produce, del sapere e della conoscenza, offrendogli pattume e rimasticamenti della storia ad uso e consumo dei potenti che gli comprano lautamente critiche, citazionismi, saggi e lavori vari, gente che occupa le cattedre universitarie e coltiva sciami di ricercatori e borsisti, che pedissequamente devono conoscere non questo o quel grande, ma la loro stessa opera omnia, gente che in vita vuole, senza nulla pagare, tutto avere, ma solo per sé.

Nel campo scientifico, i gruppi di ricercatori che utilizzano grandissimi e planetari “poli tecnologici”, oscuri e vietatissimi spazi defiscalizzati e statali, quindi creati per il bene del popolo, per scopi occulti e segreti, e che tirano fuori tutte le scuse per nascondere i come e perché del loro operato, costituiscono oggi la stessa controrivoluzione.Essi infatti non hanno etica, cercano solo la “scoperta” come merce, non ne curano l’etica della finalità.

Lasciano la definizione dell’etica ai loro datori di lavoro, alle multinazionali che ne governano lo spirito, e che stanno spiando quanto sto scrivendo.

I loro codici di regolamentazione etici, che non sono discussi dal popolo né dai parlamenti, sono eticamente pari alle regole che i tagliagole si danno per scannare meglio e più gente possibile per poi guardare dall’alto al basso i parenti delle vittime. La follia del potere nel capitalismo tecnologico è tale è talmente sviluppata da produrre un nuovo medioevo, quella “new age” da tanti bastardissimi reazionari, cani schifosi maledetti assassini attaccati al denaro ed ai propri lussi sfrenati, da rendere vieppù attualissima la lettura e l’attento studio della rivoluzione cinese, del superamento operato con grande successo ed in pochissimo tempo dopo grande ritardo storico dato dall’oppressione millenaria, del feudalesimo, dal popolo cinese e dai comunisti che lo hanno diretto.

Oggi, con una classe intellettuale e scientifica del genere, asservita alle branche più reazionarie della ricerca scientifica, mentalmente diretta all’uso delle cavie o a sfruttare il cervello dei più giovani per continuare ad apparire grandi, con della gente del genere, la rottura sociale è diventata maggiore, ed i pochi intellettuali rivoluzionari pratici passano tempi amari, come il “negro” che se ne fuggiva per l’Europa continuando instancabile il suo lavoro, la sua scelta. 

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto nel 1937:

(…) “le trasformazioni della società sono generate soprattutto dallo sviluppo delle contraddizioni esistenti all’interno di questa, cioè delle contraddizioni tra le forze produttive e i rapporti di produzione, delle contraddizioni tra le classi, delle contraddizioni tra il vecchio e il nuovo. Lo sviluppo di queste contraddizioni spinge la società in avanti, conduce alla sostituzione della vecchia società con una nuova.”

(FINO A QUI RICOSTRUZIONE TESTO)

(“Sulla contraddizione”, agosto 1937,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.5, pag.183-230)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto nel dicembre 1939:

“Lo spietato sfruttamento economico e l’oppressione politica esercitata sui contadini da parte dei proprietari fondiari costrinsero a più riprese i contadini a ribellarsi contro il loro dominio …   Queste lotte di classe dei contadini  -sollevazioni contadine e guerre contadine- costituirono appunto la forza motrice reale dello sviluppo storico nella società feudale cinese.”

(“La rivoluzione cinese e il Partito comunista cinese”,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.6, pag.55-182)

 

 

Nella società capitalistica mondiale attuale, definita “globalizzata” da alcuni, da altri dipendente dal superamento di ogni “distanza”, la classe contadina mondiale è ancora maggioritaria, ma tendenzialmente è il proletariato che sta diventando la classe principale anche numericamente in termini assoluti nella popolazione attiva mondiale. Questo comporta che la povertà dei contadini del mondo intero dipende, non più solo relativamente alle colonie e semicolonie, ma direttamente, dalla divisione del lavoro su scala mondiale e dalla proprietà capitalista dei mezzi di produzione. Le lotte di classe dei contadini –sollevazioni, rivolte e guerriglie-  in particolare nel Tricontinente (America latina, Africa, Asia), sono allora ancora oggi la forza motrice che porta alla trasformazione dei residui feudali nella società mondiale verso la società dei lavoratori, il socialismo.

I contenuti egualitari e di necessità, le forme ed i metodi di lotta utilizzati nel Tricontinente dai movimenti contadini sono espressione infatti degli ideali fatti propri dai Comunisti sin dalla rivoluzione francese e dai successivi movimenti operai che portarono in Europa alla definizione del partito comunista e del suo programma.

Le guerre popolari condotte dai partiti comunisti nel Tricontinente assieme alla classe operaia unita alla classe contadina, sono l’avanguardia della lotta mondiale di liberazione del proletariato perché rappresentano nei contenuti, nelle forme, nella attuazione del programma comunista tra le masse nelle zone liberate, gli stessi ideali del movimento rivoluzionario cresciuto nella società capitalista negli ultimi due secoli di storia dell’umanità.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto l’  8 agosto 1963:

“La lotta nazionale è in ultima analisi una lotta di classe. Negli Stati Uniti, i soli ambienti dirigenti reazionari della razza bianca opprimono i negri. Essi non potrebbero in alcun modo rappresentare gli operai, i contadini, gli intellettuali rivoluzionari e le personalità illuminate che costituiscono la schiacciante maggioranza della razza bianca.”

(“La questione razziale è una questione di classe -Dichiarazione per sostenere i negri americani nella loro giusta lotta  contro la discriminazione razziale praticata dall’imperialismo americano”,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.20, pag.123-124)

 

Lo è in molti paesi del mondo, anche nel mondo occidentale, come in Irlanda, Corsica, Euskadi, Sardegna , così come in Palestina, Kurdistan, Iraq, Afghanistan, nel Caucaso, in Sri Lanka, Timor. Anche le guerre popolari e contadine del Tricontinente sono pure lotte nazionali, perché la dipendenza economica dai complessi economici multinazionali e dai loro Stati imperialisti è talmente grande da negare a questi paesi lo sviluppo di una propria politica, di una propria struttura economica, e spesso anche di una propria cultura, per non parlare della propria difesa nazionale, sempre più influenzata e determinata da quella voluta dagli Stati imperialisti, principalmente gli USA.

Quindi si può affermare che l’identità nazionale non è ancora un dato acquisito e riconosciuto dall’attuale sistema mondiale rappresentato dai lacci stretti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ove certi paesi hanno diritto di veto ed altri, principalmente gli USA, agiscono con o senza il rispetto di tale organismo, spesso contro le istanze giuridiche internazionalmente riconosciute.

Il fatto che l’identità nazionale non sia un dato di fatto riconosciuto mondialmente, né nelle singole nazioni vi sia il rispetto delle minoranze etniche e delle nazionalità oppresse (come in Amazzonia o tra gli Indios andini o in Birmania, per esempio), e che tali mancanze di rispetto che si traducono in una repressiva e sanguinosa oppressione, non siano affrontate dalla comunità internazionale se non in chiave di dominio e di controllo sulle ricchezze di questi paesi o di intere regioni di questi paesi,  costituisce la cartina di tornasole per comprendere molte contraddizioni di classe, che si rifanno sostanzialmente a quelle tra multinazionali e borghesia compradora (gamonales, latifondisti) e classe contadina e comunità indigene.

Il fatto che anche nei paesi cosiddetti “democratici” non vi sia in realtà il rispetto delle nazionalità la dice lunga sull’estensione di ulteriori conflitti di classe tra le classi dominanti dei paesi imperialisti e le nazioni ad esse subalterne ancora prive di un proprio Stato: gli Stati Uniti d’America sono nati per definizione sull’espropriazione dei territori dei nativi, ed hanno proseguito su questa strada da oltre 120 anni, mantenendo ancora subalterno per esempio il Portorico; la Russia dopo lo scioglimento dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche -che era una volontaria associazione di stati rivoluzionari ove non esistevano conflitti nazionalistici- ha concesso l’indipendenza ad alcuni paesi come l’Armenia, ma continua ad influenzarne altri con ogni mezzo come la Georgia, e a mantenerne schiavi altri ancora come la Cecenia; l’Italia è una federazione politica imposta con la forza dal Regno Sabaudo ai popoli del meridione, e successivamente al Sud Tirolo e a parte della Slovenia così poi ereditata dalla Repubblica postfascista; la Francia è una entità nazionale di ben più lunga data impostasi grazie ai balzelli delle monarchie su Nizza e la Corsica, in precedenza rientranti nell’insieme degli stati e staterelli italici ed inoltre mantiene il controllo su vari territori nel Tricontinente; mentre l’Inghilterra mantiene numerosi possedimenti d’oltremare per i quali ha anche fatto recentemente una guerra con l’Argentina, e mantiene soggiogata e divisa l’isola Irlandese in virtù di antiche imposizioni e conquiste; ancora, la Spagna continua a considerarsi legittimata come monarchia a proseguire la dominazione di altri antichi Stati come le Asturie, Euskadi, la Galizia, la Catalogna; la Turchia continua a negare al popolo Kurdo la sua parte di territorio e spesso anche il diritto alla propria lingua, e continua a mantenere occupata una parte dell’isola di Cipro, il tutto con il placet delle potenze imperialiste occidentali; Israele è nato come Stato religioso voluto dall’Inghilterra e dalle potenze occidentali in seguito al genocidio nazifascista perpetrato in Europa grazie alla negligenza dell’ Inghilterra e delle altre potenze occidentali, a spese della nazione Palestinese araba, e via dicendo.

In India la divisione tra le caste, come negli Stati Uniti d’America il colore della pelle bianco della stragrande maggioranza della borghesia imperialista, rappresentano ancora oggi, nonostante tutto il “progresso tecnologico” avvenuto, la più evidente dimostrazione delle divisioni di classe e dei privilegi sociali esistenti, tra una classe a cui tutto è permesso, ed una maggioranza della popolazione oltre a numerose minoranze (come in India gli “intoccabili” e negli Stati Uniti d’America i negri ed i “latinos”) a cui non è possibile sopravvivere senza incorrere nelle maglie della repressione.

 

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 30 dicembre 1948:

“Il nemico non perirà spontaneamente. Né i reazionari cinesi, né le forze aggressive dell’imperialismo americano in Cina si ritireranno spontaneamente dalla scena della storia.”

(“Condurre la rivoluzione fino in fondo”,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.10, pag.231 e segg.)

 

I reazionari americani sono fuggiti dall’Asia alla vittoria Sovietica in Cina nel 1949; successivamente sono ritornati, in Indovina ed altrove, e sono ancora fuggiti; ancora dopo anni, si sono dovuti ritirare anche dalle Filippine; ora stanno ritornando ancora; questo andirivieni di truppe militari imperialiste americane continuerà per decenni, forse per centinaia di anni, finché i popoli del mondo non si sbarazzeranno di ogni esercito imperialista, di ogni potere imperialista, di ogni vincolo capitalista, di ogni sfruttatore.

La grande verità che ci viene esemplificata qui sopra da Mao,  subito dopo la vittoria sul nazifascismo, [mentre l’URSS è presa dalla ricostruzione e dalla sua posizione “per la pace” che riflette la situazione volutamente mediatoria assunta ad Yalta con le potenze imperialiste a danno delle rivoluzioni greca ed italiana condotte nell’ambito della guerra partigiana dalle forze combattenti comuniste -principalmente le Brigate Garibaldi e i Gruppi di Azione Patriottica in Italia, l’Esercito Popolare di Liberazione Nazionale e il Fronte di Liberazione Nazionale in Grecia-], riflette la corretta comprensione internazionalista ed antimperialista di Mao che, indipendentemente dall’essere la Cina di allora una realtà ancora influenzata dal semi-feudalesimo delle campagne, con la sua Guerra Popolare si pone sin da allora alla testa del movimento comunista internazionale per la sua corretta comprensione dell’epoca imperialista e del ruolo delle forze in campo sullo scenario mondiale.

Oggi, oltre cinquant’anni dopo, non possiamo che riconoscere che è la guerra mondiale antimperialista dei popoli e delle nazioni oppresse dall’imperialismo a rappresentarsi quale contraddizione principale quantomeno per il livello di scontro cui si pone, assieme alla contraddizione classe operaia – capitale multinazionale, che però non ha sbocco politico alcuno fuori da essa contraddizione.

Anche la individuazione dell’imperialismo americano è corretta.

La ripresa del potere da parte del revisionismo traditore in Cina con il colpo di stato dell’ottobre 1976 e la farsa del processo alla “banda dei Quattro” (i principali dirigenti rivoluzionari cinesi della classe operaia, dei soldati e degli studenti di allora) NON smentisce il ruolo americano in Cina e nel mondo; in questo senso l’ingresso dei capitali occidentali in Cina rappresenta solo una minuscola controtendenza rispetto allo svolgersi della contraddizione principale tra le forze dei popoli e le forze del capitale.

Infatti, oggi che in Cina, sono arrivati anche gli americani dopo cinquant’anni, con i loro finanziamenti, le loro Coca-Cola, le loro fabbriche, lo sfruttamento del lavoro salariato è diventato in Cina predominante, come lo era prima il lavoro dei contadini sotto il potere feudale. Con loro, è ritornata con forza la lotta di classe e la repressione. La borghesia, che si è rimpossessata del Partito comunista dopo esserne stata espulsa con la Rivoluzione Culturale Proletaria, dirige questo processo di “liberalizzazione”, in realtà di restaurazione del proprio potere. Potrà durare in eterno tutto questo ?  No, certo.  Attualmente, già ora, almeno alcune centinaia di operai ribelli e di comunisti sono in carcere in Cina, e la costruzione di un nuovo Partito comunista è questione affrontata da gruppi rivoluzionari già da anni, dopo l’attacco del governo alle Comuni. E del resto in Piazza Tien-An-Men nel 1989 gran parte del sangue versato non era quello di studenti piccolo-borghesi ma di operai  rivoluzionari.

Le immagini di Mao stanno ritornando, ed ecco i sinologhi di turno dire che è una moda, che non c’entra la politica. Devono rassicurare i circoli finanziari ed industriali che già ora banchettano sul sangue della classe operaia cinese e sulla povertà conseguente alla perdita di milioni di posti di lavoro nelle campagne e nelle fabbriche.  In realtà, le immagini di Mao tornano in Cina come in Italia i partigiani portavano la effige di Garibaldi. 

Anche in Italia stiamo vivendo una restaurazione, peraltro sadica perché ci sentiamo dire che l’Italia è messa come è messa per colpa dei comunisti che sono stati al governo per cinquant’anni ! Qui la mistificazione è più importante che in Cina, perché la gente partecipa meno alla politica che in Cina, e quindi è più facile ottenere dei risultati politici con la mistificazione, di quanto non sia in Cina.  Ma anche in Italia abbiamo lo stesso problema, sappiamo che ci sfruttano a sangue e ci ammazzano e ci fanno crepare di lavoro senza alcuna garanzia sociale né di salute né di previdenza né di condizioni economiche. Per questo pur non negando, anzi dicendo pane al pane e vino al vino ciò che occorre a proposito del governo di centro-sinistra che ha governato per 5 anni come i governi borghesi di sempre, occorre ricordare al popolo, che a volte si fa ottenebrare la mente dalle facili congetture, dai dietrologismi e dai revisionismi storici di comodo, che cosa sono stati 45 anni di governi democristiani, costellati di ruberie, stragi, complotti reazionari, traffici segreti con gli imperialisti americani e con i fascisti, che cosa è stato il tradimento del Partito socialista, che cosa è stata la deviazione dalla stessa difesa dei diritti del popolo, da parte dei dirigenti del Partito “comunista” italiano scioltosi nel decennio scorso.

L’immaginario del popolo è importante, la Rivoluzione si nutre anche di questo, se ne alimenta e lo riproduce.

La Rivoluzione, e spesso anche oggi la sola ribellione, come quelle degli operai cinesi, è un po’ come sognare. Per questo l’immaginario è importante.  Senza la fantasia creatrice dell’umanità, alla morte seguirà la morte, e non la vita.

Questo ci insegna l’attuale situazione in Cina.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ha scritto nel marzo 1927, affrontando la situazione della divisione di classe nella società dello Hunan:

(…) “la rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo; non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazie e cortesia. La rivoluzione è un atto di violenza, è l’azione implacabile di una classe che abbatte il potere di un’altra classe.”

(“Rapporto d’inchiesta sul movimento

 contadini nello  Hunan”, in

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.2, pag.91-122)

 

Perché in Italia si parlò di “rivoluzione” quando dodici anni fa un investigatore di Stato avviò un’inchiesta che portò allo smembramento dei principali partiti politici della borghesia e del principale partito politico della classe operaia ? In realtà si trattò di un’inevitabile passaggio nella ridefinizione degli equilibri di potere tra i capitalisti del nostro paese. La Confindustria era attaccata da forze economiche meno influenti ma più diffuse, che non si ritrovavano più garantite dal quadro di compatibilità definito da Craxi, dalla Cisl e dalla Confindustria nel decennio precedente. Contemporaneamente a livello internazionale, con l’avvio del nuovo ciclo di guerre imperialiste di aggressione e conquista in Iraq da parte degli USA e delle forze NATO nel 1991, l’Italia non era più in grado di garantire quella stabilità sociale ed economica che doveva corrispondere al proprio ruolo politico: il debito pubblico superava il prodotto interno lordo di un’intero anno, le industrie risentivano dei colpi della recessione che aveva scosso a più riprese i mercati finanziari a partire dalle crisi che avevano per epicentro gli USA negli anni ottanta; a livello politico, il proporzionale non garantiva più alla borghesia il completo controllo del potere legislativo; il potere giudiziario aveva perso potere con le nuove regole processuali. Occorreva catalizzare attorno ad una “liberalizzazione” economica e politica un nuovo insieme di forze; ma queste forze nuove non esistevano, quindi occorreva rimescolare la situazione creando nuove alleanze ed integrazioni economico-politiche. Di qui l’attacco al quadro politico del “pentapartito” e del centro sinistra a maggioranza democristiana che era servito ad impedire alla classe operaia l’affermazione dei suoi diritti lungo gli anni della vendetta padronale (dal 1980 in poi). Questo attacco doveva presupporre una autorità che se ne facesse carico. Occorreva prevenire un’insorgenza popolare che era all’ordine del giorno a causa della nuova situazione creatasi a partire dal crollo del blocco dei paesi già socialisti. Questa, infatti, non avrebbe portato, questo lo sapevano gli analisti, a un nuovo progresso economico, ma al massimo a nuove speculazioni.

La reazione a questa situazione si catalizzò nell’entrata in politica, come già in altri momenti della storia del nostro paese, delle consorterie mafiose con gli attentati alla magistratura del 1992, stranamente contemporanei all’attacco giudiziario al complesso politico economico delle partecipazioni statali e del sistema degli appalti e delle tangenti.

Questo obbligò il sistema politico ad una nuova “solidarietà nazionale” quindi veicolando la mobilitazioni di massa contro il terrorismo mafioso inibendo quelle contro il sistema borghese di latrocinio e sfruttamento, “solidarietà nazionale” che si tradusse nella concertazione sindacale fallimentare e assassina del luglio 1993, di completa svendita del residuo potere contrattuale della classe operaia portando il governo ad essere parte in causa e non più sede di sola mediazione tra le parti sociali. Concertazione che significò nuova stasi e incapacità di intervento politico della sinistra legalitaria e borghese, e che creò le premesse per un nuovo arrogante ingresso in politica del potere economico, come già con Bonomi in un altro momento delicatissimo della nazione.

Questo il significato quindi di “Tangentopoli”, un “liberalismo” prodotto che significò di fatto l’abbandono da parte della nuova forza politica capitalista di governo dei presupposti costituzionali che in qualche modo DC e PSI garantivano al quadro politico e legislativo.

Un potere in perfetto stile latinoamericano, con il “personaggio” al governo, ove gli unici che ci guadagnano sono i padroni.

La reazione popolare all’inesperienza di questa nuova compagine di delinquenti in doppiopetto –in questo assolutamente coerenti a Forlani e Craxi, ma più arroganti e disinvolti– portò presto ad una prosecuzione dei governi di solidarietà nazionale e quindi all’effimero successo del centro-sinistra nel ’96, i cui frutti marci si poterono apprezzare sia in campo sindacale che politico con la partecipazione militare all’assalto armato dei bombardieri contro la Repubblica Federativa Socialista Jugoslava e con la progressiva militarizzazione della società e del sistema della “giustizia”.

In definitiva, nel 1992 ci fu l’inizio di una una “rivoluzione” all’interno delle classi dominanti in Italia, allo scopo di impedire una Rivoluzione popolare.

Oggi i politici sono in parte cambiati, c’è chi dice in peggio, ma gli operai sono sempre pochissimi tra i parlamentari, mentre numerosissimi sono i giudici, gli avvocati, i militari, gli industriali ed i “professionisti”.

Le loro leggi lo dimostrano abbondantemente.

In qualche modo il sistema industriale editoriale e televisivo è del tutto sotto il controllo di poche mani, solo apparentemente conflittuali (chi accusa a “destra”, chi a “sinistra”, ma in sostanza del tutto conformemente e parallelamente), che rispondono agli interessi di riferimento del capitale multinazionale. Quindi l’opinione pubblica è del tutto nelle mani della borghesia, tanto che il principale partito oggi all’opposizione è ridotto ad un quotidiano marginalizzato rispetto alla funzione che svolgeva dieci anni fa e ad alcune emittenti private.

La dittatura della borghesia che oggi imperversa nel nostro paese dietro ogni “incidente” nei posti di lavoro, dietro ogni suicidio e ogni ricovero in clinica psichiatrica, dietro ogni crisi familiare e ogni tragedia, si ammanta del sostegno non disinteressato del complesso giuridico-repressivo, autentica polizia mercenaria della borghesia, oggi del tutto traditore dei principi costituzionali di eguaglianza e rispetto dei più deboli che erano stati delineati dopo la guerra partigiana di liberazione dal nefasto nazifascismo.

Tuttavia si giova anche della nostra latitanza politica, dall’assenza di un autentico Partito comunista, mentre si maschera dietro la colpevolizzazione degli ex democristiani e degli ex revisionisti di ieri (Prodi e D’Alema), gridando, è il colmo, al comunista !

Evidentemente il livore antioperaio ed il veleno sanguinolento degli stragisti di ieri, governanti di oggi, è assolutamente in linea con il progetto politico espresso dalla loggia Propaganda 2 tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Cui partecipavano, beninteso, importanti uomini dell’apparato repressivo, che non avevano più potuto appoggiarsi come in precedenza ai sogni golpisti di stampo fascista aleggianti nei servizi segreti militari e nell’arma dei Carabinieri.

Se non temessimo di cadere nella farsa della storia, si potrebbe dire che la rimasticatura della dittatura della borghesia in chiave “liberal” avvenuta negli ultimi dodici anni, assomiglia alle povere concessioni che lo Zar di Russia fece ai democratici dopo la repressione dell’insurrezione di Pietroburgo, mentre scatenava la più sanguinosa repressione ed i pogrom antiebraici, che oggi somigliano molto alla “caccia all’extracomunitario” ossia al “clandestino” coniato da Schengen in poi dai regimi capitalistici europei.

Dovremmo allora noi Comunisti essere all’altezza dei compiti di ricostruzione ed organizzazione rivoluzionaria che i bolscevichi seppero porre al proletariato russo in quel momento storico.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 13 agosto 1945”

“Siamo noi che dobbiamo organizzare il popolo. Siamo noi che dobbiamo organizzarlo per abbattere la reazione in Cina. Tutto ciò che è reazionario si somiglia: fintanto che non lo si colpisce, è impossibile abbatterlo. E come quando si pulisce un pavimento: dove la scopa non arriva, la polvere da sola non se ne va.”

(“La situazione e la nostra politica dopo la vittoria

 nella guerra di  resistenza contro il Giappone”,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.9, pag.195-208)

 

Il Partito comunista deve condurre a vittorie qualitative sempre più significative il movimento di lotta della classe operaia. Viceversa, abbarbicandosi su obiettivi parziali e di mera resistenza, il Partito comunista perde la propria identità, assecondando così oggettivamente, causa l’assenza della propria presenza politica nel paese, le peggiori politiche padronali e reazionarie. Nel nostro paese, come in molti altri paesi, la degenerazione del revisionismo, pur evidenziata in maniera eclatante dall’abbandono degli stessi ideali e nome comunista da parte di questi partiti cosiddetti comunisti, ma in realtà borghesi e dipendenti dalla cultura, dalla storiografia, dai sotterfugi della borghesia, non è bastata a portare alla costituzione di un autentico partito della classe operaia e proletaria in grado di porsi alla testa delle lotte delle masse popolari. L’esistenza di un paio di partiti sedicenti comunisti nel campo parlamentare del nostro paese, corrisponde oggi a circa un quarto dell’elettorato comunista di vent’anni fa, senza che a sinistra sia sorta una nuova ideologia. Dove sono andate disperse le energie e le risorse del partito revisionista ? Si sono congelate, disperse nella società, articolate in forme nuove ma fuori dal campo propriamente politico. Questo è un bene, non è un male. Meglio un vuoto da colmare che una quercia marcia al suo interno. Questo vuoto da colmare si chiama riconquista al comunismo delle masse popolari e del proletariato italiano. Per condurre questa riconquista al successo, occorre saper vincere quante più battaglie anche piccole sia possibile, ma anche saper riconoscere in ogni singola battaglia parziale l’obiettivo generale di fase della ricostruzione del Partito comunista.

Ricostruzione non significa nomi nuovi e facce vecchie, significa partecipazione dell’avanguardia del popolo e del proletariato alla politica rivoluzionaria quale unica politica praticabile in dignità e nel rispetto delle esigenze di progresso e civiltà del popolo e del proletariato, e costruzione in questo contesto.

Ricostruzione non significa nuova affermazione elettorale. Si può condurre una importante Rivoluzione, come oggi in Nepal e un secolo fa in Russia, anche con pochi voti e seggi in parlamento. Però certamente ricostruzione significa dire pane al pane e vino al vino in ogni campo su ogni cosa ed aspetto della politica e della vita sociale.

Quindi il Partito comunista deve saper andare ben oltre la Resistenza, deve sapersi affermare e saper dirigere. Viceversa non è Partito, e spesso non è nemmeno Comunista.

Questo significa che nella società imperialista odierna, non è il Comunismo ad essere morto, bensì sono i Comunisti ad avere ancora delle rilevanti incapacità di intervento nella realtà.

Ridurre l’intervento nella realtà da parte dei Comunisti, alla lotta armata ed alla guerriglia contro lo Stato imperialista delle multinazionali e le consorterie al potere  di ogni singolo paese, così come ridurre la politica dei Comunisti alle interrogazioni parlamentari, alle raccolte firme, agli scioperi della fame ed ai presidi di solidarietà, alle denunce ed ai processi, significa nel primo caso non rendersi conto della sommità dei problemi che i Comunisti devono contribuire a risolvere con le masse popolari prima durante e dopo l’avvio della guerra popolare, e nel secondo caso significa ridurre il ruolo dei Comunisti a quello di meri testimoni di Geova dell’eguaglianza. In un caso e nell’altro, sottrarsi alla propria responsabilità storica di affrontare TUTTI i compiti della Rivoluzione.

Nessuna Rivoluzione può sorgere al di fuori delle necessità e degli interessi, frutto della coscienza di sé e della propria esistenza, che ha il proletariato avanguardia del popolo.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto ancora  il 13.8.1945:

“Ciang Kai-shek [il capo del partito e dell’esercito nazionalista che successivamente fonderà la “repubblica” di Formosa] cerca costantemente di strappare al popolo anche la minima frazione di potere, il minimo vantaggio acquistato. E noi ? La nostra politica consiste nel rispondergli colpo su colpo e nel batterci per ogni zolla di terra. Noi agiamo come lui. Ciang Kai-shek cerca costantemente di imporre al popolo la guerra, con una spada nella mano sinistra e un’altra spada nella destra. Seguendo il suo esempio, anche noi ricorriamo alle spade … E poiché Ciang Kai-shek ora sta affilando le sue spade, noi dobbiamo affilare le nostre.”

(“La situazione e la nostra politica dopo la vittoria

 nella guerra di  resistenza contro il Giappone”,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.9, pag.195-208)

 

A leggere queste parole, pare di assistere ad una commedia tragicomica se si pensa a dove si è arrivati con Berlusconi dopo la politica miserabile ed assassina della DC dal dopoguerra al ‘68 (morti nelle piazze e nelle campagne) e dal ’69 al ’93 (stragismo di reazione per dare spazio operativo e legittimità politica alla controrivoluzione ed alla repressione sociale).  La violenza operaia si è esplicata dal dopoguerra ad oggi lungo quattro linee direttrici:

·         la giustizia proletaria sui fascisti impuniti

·         l’insurrezione del luglio 1948 e la situazione prerivoluzionaria del marzo 1977

·         le rivolte e la violenza di strada

·         la lotta armata.

In tutti i casi si è trattato di una reazione storicamente legittimata e giustificata alle forme di violenza dello stato borghese:

·         la repressione dei movimenti di lotta sociali come a Reggio Emilia nel ’60, ad Avola e Battipaglia nel ’68, in varie città nell’aprile 1975, a Genova nel 2001, con uccisioni in piazza (oltre 300), pestaggi, arresti, tortura nei commissariati e nelle carceri

·         le stragi come a Portella della Ginestra e gli assassinii selettivi di sindacalisti e compagni nel meridione come in misura minore in tutto il paese

·         le stragi di persone innocenti come a Piazza Fontana e in Calabria nel 1969, a Brescia, Savona e sul treno Italicus nel 1974, a Bologna nel 1980, sul treno 704 nel 1984, in varie città italiane nel 1993

·         gli “incidenti” mortali ai danni di compagni, di familiari di prigionieri, di persone scomode

·         i tentativi di colpo di stato con gli allarmi e le simulazioni come nel 1970-1974, l’utilizzo dell’esercito contro le lotte sociali dei lavoratori come nel caso dei “servizi essenziali”

·         le morti sul lavoro considerate dalla “giustizia” come incidenti, lo svilimento del lavoro dei magistrati democratici nel campo del diritto del lavoro, degli incidenti sul lavoro, della “nocività” (CVM, amianto, diossina), dei “disastri” creati dall’incuria e dall’interesse al profitto in ogni campo senza alcun rispetto della volontà popolare (Vajont, Stava, ecc.)

·         il disinteresse della “giustizia” agli interessi delle classi più indifese della società, delle donne e dei bambini(dalle violenze sessuali, per es.), degli anziani (dalle morti facili negli ospedali, per es.)

Tutto ciò ed altro ancora è sempre e solo il prodotto del dominio del capitalismo sulla politica e sugli interessi popolari sicché i diritti Costituzionalmente riconosciuti restano tali solo sulla carta ed anzi la borghesia imperialista si permette di cercare continuamente di modificarla per “adattarla” al livello di dominio di classe raggiunto dalla borghesia con la controrivoluzione a partire dal 1979-1980 (licenziamenti politici e di massa alla FIAT, legge sui “pentiti”).

Senza una linea politica sull’uso della violenza, nessun partito comunista sedicente tale riuscirà mai ad articolare una strategia vincente con il popolo, nel popolo e per il potere del popolo.

La borghesia è un cane che affoga solo quando è attaccata e le sue colpe e responsabilità storiche appaiono chiaramente a tutti; nelle altre fasi, di stasi della situazione rivoluzionaria, è una belva spietata che minaccia, perquisisce, licenzia e demonizza chi dissente (come i militanti comunisti espulsi dalla CGIL perché portatori di idee non conformi a quelle dell’estabilishment), arresta e violenta (come i giovani scesi in piazza a Genova), tortura e uccide (come i prigionieri politici vittime della sistematica violenza organizzata del sistema carcerario). Le belve che hanno il potere e che si servono di mercenari per difenderlo, vanno denunciate, minacciate, colpite e affrontate per ucciderle, non esiste altra possibilità di liberazione dell’umanità. Ciò non significa che la nostra violenza debba avere una valenza solo simbolica o di sfida al peggiore dei poteri e delle tendenze reazionarie in atto; ridurre la violenza del proletariato rivoluzionario all’eliminazione di pochi avversari importanti significa permettere la criminalizzazione e l’isolamento della pratica della violenza del proletariato rivoluzionario.

Inoltre ogni atto di violenza del proletariato rivoluzionario deve essere calibrato alla situazione storica e specifica, nonché giusto ed  intelleggibile dalle masse sfruttate, e quindi non deve essere cieca violenza che colpisce a caso né atto di perfezione e distanza dalle masse, perché è ad esse, alla loro coscienza e mobilitazione rivoluzionaria, che è rivolto, e non ad altri.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung scrisse nel marzo 1926:

“Quali sono i nostri amici e quali i nostri nemici ? Ecco un problema che nella rivoluzione ha un’importanza capitale. Se nel passato tutte le lotte rivoluzionarie in Cina hanno avuto scarso successo, ciò si deve soprattutto all’incapacità dei rivoluzionari di raccogliere attorno a sé i veri amici per poter colpire i veri nemici. Un partito rivoluzionario è un dirigente di masse, e non si è mai dato il caso in cui una rivoluzione, incanalata da un partito rivoluzionario su una via sbagliata, sia stata coronata da successo. Per essere certi di non incanalare la rivoluzione su una via sbagliata e di raggiungere sicuramente il successo, dobbiamo preoccuparci di raggruppare intorno a noi i veri amici per poter colpire i nostri veri nemici. Per distinguere i veri amici dai veri nemici, occorre analizzare, nei suoi tratti generali, la situazione economica delle classi che compongono la società cinese e l’atteggiamento di ognuna di esse nei riguardi della rivoluzione.”

(“Analisi delle classi nella società cinese”, marzo 1926,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.2, pag.47-56)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci scrisse ancora nel marzo 1926:

“… tutti i signori della guerra, i burocrati, i compradores e i grandi proprietari ferrieri in collusione con gli imperialisti, così come la parte reazionaria degli intellettuali ad essi asservita, sono i nostri nemici. Il proletariato industriale è la forza dirigente della nostra rivoluzione. Tutto il semiproletariato e la piccola borghesia sono i nostri amici migliori. Quanto alla media borghesia, sempre esistente, può esserci amica l’ala sinistra,  e la destra nemica; dobbiamo però stare sempre in guardia e non permettere alla media borghesia di disorganizzare il nostro fronte.”

(“Analisi delle classi nella società cinese”, marzo 1926,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.2, pag.47-56)

 

 

A chi corrispondono, oggi in Italia, i compradores nella Cina semifeudale ed i gamonales in Perù, o i ricchissimi possidenti texani o i nobili del Nepal ?

Oggi in Italia questi corrispondono a quella composita e variegata schiera di elementi ricchi coesi bene o male con gli interessi della borghesia imperialista, che, pur marginali rispetto alle scelte politiche centrali dell’esecutivo, vi aderiscono di fatto; costoro appartengono al jet-set, al mondo della televisione e dello spettacolo,  alla grande malavita organizzata del traffico internazionale di droghe pesanti in particolare della cocaina, dello sfruttamento della prostituzione delle donne immigrate; a questi settori più collegati alla borghesia imperialista si aggiungono quelli dello sfruttamento del lavoro minorile, al mondo dell’edilizia e del lavoro nero su chiamata, dell’agricoltura semischiavistica nello sfruttamento degli immigrati e nel caporalato, dei signorotti locali e dei “capi-bastone” che nelle piccole località governano di fatto anche la politica e l’amministrazione locale, congiungendo di fatto piccoli interessi e grandi poteri nel controllo del proletariato e del sottoproletariato.

Ad esempio in Sicilia ci furono campagne omicidarie nei confronti di appartenenti alla malavita detta “Stidda” che compivano rapine senza chiedere prima l’autorizzazione ai “capi-mandamento”. Questo perché nel controllo del territorio di fatto la mafia, legata alla borghesia imperialista da rapporti occulti, era più potente dello Stato borghese stesso.

A Milano, è documentato l’intreccio tra fascisti, settori di imprenditoria e grande malavita organizzata attorno ai prolungamenti delle organizzazioni mafiose nell’intreccio di interessi che si è venuto a creare a partire dalla fase del “rinascimento goliardico” craxiano degli anni ’80 e che ancora oggi è presente nonostante la repressione subita con Tangentopoli e la politica “antimafia” di settori speciali dello Stato.

O ancora, in Veneto ci fu la cosiddetta “mafia del Brenta”, collegata agli interessi del potere locale in alcuni suoi aspetti di corruzione più che di controllo del territorio, di per sé molto decentrato ed incontrollabile, che agì di concerto a settori dei corpi repressivi dello Stato (uomini dei carabinieri e dei servizi) per assicurarsi il controllo del mercato della cocaina e dell’eroina, lasciando a questo scopo dietro di sé una lunga scia di sangue, salvo poi “pentirsi” i loro principali esponenti ottenendo così grandi vantaggi e liberalità in cambio della loro “riconversione” ad agenti dello Stato borghese.

Nelle Puglie, il controllo sociale del territorio e del mercato del lavoro fu coeso strettamente all’intreccio tra classe politica locale ex-democristiana e “Nuova corona unita”, ma alla repressione dello Stato non è seguita una politica sociale di superamento del caporalato e dello sfruttamento selvaggio della manodopera agricola, specie femminile, spesso controllata da mascalzoni armati al servizio dei latifondi, anzi, il PDS stesso ha permesso il ritorno del caporalato.

Nel caso dell’immigrazione clandestina, l’enorme serbatoio di manodopera costituito dalle popolazioni approdate alle coste della Puglia, della Calabria e della Sicilia (quando non muoiono affogati in mare) costituisce una forma di legittimazione alla militarizzazione crescente di parti di territorio. Dalla padella del controllo territoriale di una singola cosca alla brace della militarizzazione statale di un territorio, questo il cambiamento più evidente.

Sotto il profilo sociale invece ciò che è più evidente è la possibilità per le forze armate statali, di polizia ed esercito, di essere sempre più presenti nel controllo dei deboli e dei diseredati, e non di chi i “reati” li pianifica e dirige.

I “Centri temporanei” per gli immigrati sono poi dei veri e propri luoghi di repressione e tortura che, istituiti dalla politica della “fortezza Europa” allo scopo di “governare” il territorio e il mercato del lavoro, costituiscono l’unica risposta possibile della borghesia imperialista alle conseguenze della propria politica criminale di sfruttamento dei paesi del Tricontinente e delle loro risorse.

La “mobilitazione” permanente che si viene così a creare –a parte le varie “emergenze” che di volta in volta muovono i vari ministeri degli interni e della difesa- rappresenta la “normalità” che si vuole imporre alle masse, ossia una condizione di coercizione della “forza-lavoro” permanente e costante.

Tutte queste forze, lungi dal costituire il perno fondamentale della borghesia imperialista che è coeso ancora oggi –e non potrebbe essere diversamente- attorno ai maggiori gruppi industriali e finanziari (spesso in conflitto tra loro, con conseguenze disastrose, come la gestione HDP della Fila per esempio), costituiscono un importante freno alla rivoluzione e un significativo motore controrivoluzionario che agisce nei modi più subdoli ed infami contro il proletariato, gli immigrati, i giovani, le donne, i bambini e gli anziani, contribuendo a far arretrare la condizione sociale raggiunta dalle classi sfruttate nel nostro paese, ad un livello certamente peggiore di quello raggiunto con le lotte degli anni sessanta e settanta.

Per esempio, riguardo al diritto alla casa, la politica di speculazione dei grandi gruppi industriali e finanziari (comprese le assicurazioni, le grandi immobiliari ed i costruttori edili) è strettamente congiunta al riciclaggio del denaro sporco da parte di questa “borghesia NERA” di cui più sopra abbiamo cercato di dare uno spaccato.

Come in Cina nella Rivoluzione, i cui nemici non erano solo i giapponesi, ed i nazionalisti, ma gli stessi interessi legati ai signori feudali ed alla gestione sociale del loro potere, come in Perù dove al potere della grande borghesia connessa alle multinazionali si somma quello dei grandi proprietari terrieri e dei loro scagnozzi (gamonales), come in India e Nepal dove al potere della borghesia imperialista multinazionale delle grandi metropoli si somma la feudalità e la struttura delle caste, in Italia al potere della borghesia imperialista si affianca quello dei settori più oscuri dell’economia, della malavita e della politica, che sono strettamente connessi a decine e centinaia di parlamentari delle più diverse forze politiche ed alla massoneria stessa che ne è uno dei luoghi di incontro e congiunzione.

In tutte queste realtà, la Rivoluzione Socialista è insieme di classe e di Nuova Democrazia, quindi questo è il carattere che anche in Italia deve assumere la Rivoluzione Proletaria verso la transizione al Comunismo attraverso la dittatura del Proletariato con i suoi organi di governo e rappresentanza della stragrande maggioranza del popolo.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse il 23 giugno 1950:

“Colui che si allinea al fianco del popolo rivoluzionario è un rivoluzionario, mentre colui che si allinea al fianco dell’imperialismo, del feudalesimo e del capitalismo burocratico è un controrivoluzionario. Colui che si allinea al fianco del popolo rivoluzionario, ma soltanto a parole, e agisce altrimenti è un rivoluzionario a parole; è un perfetto rivoluzionario colui che si allinea al fianco del popolo rivoluzionario non soltanto a parole ma anche coi suoi atti.”

(Discorso di chiusura alla II sessione del I Comitato nazionale della Conferenza consultiva del Popolo cinese,

“Essere dei veri rivoluzionari”, in

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.9, pag..211-214)

 

Nella sinistra italiana, negli anni settanta e fino ai primi anni ottanta, c’era un proliferare di parole, di libri, di convegni. Speso c’era dietro di essi una realtà economicamente sufficiente a sovvenzionare le iniziative.

Questo aspetto è stato strumentalizzato dalla destra reazionaria all’epoca di Tangentopoli, volendo criminalizzare il P”c”i e la “sinistra” non per i loro contenuti ma perché spesso sostenuti da Mosca speculando su “casi indiziari” come Greganti, Cossutta ecc. Da parte nostra la critica è del tutto opposta a QUESTA “sinistra”: le loro parole erano progressiste solo apparentemente, dato che alla prova delle prime difficoltà della congiuntura politica ed economica degli anni ’80, e quindi della svolta data dal crollo del revisionismo al potere nei paesi socialisti dell’est europeo degli anni ’89-’93, si sono trasformate in tesi ben più “realiste” e contenute nei toni, nella qualità e nella quantità di impegno ad esse profuso. Tutto questo perché la divisione tra sinistra e destra è solo parzialmente indicativa delle divisioni di classe, esistendo una “sinistra” (maggioritaria nella classe sfruttata nei paesi imperialisti, ma ancora per poco) che è di fatto compatibilizzata alla concezione borghese dello Stato, del diritto, della società, del lavoro e della trasformazione sociale.

A costoro non interessano i risultati disastrosi in termini di vite umane sacrificate dal capitale, né di scempio del territorio e della vita, dati dalla loro accondiscenda alle regole della “politica” borghese, dati dal loro cedimento e dalle loro mediazioni che hanno reso possibile il progressivo peggioramento delle condizioni sociali e di vita delle masse.

A costoro interessa riprodursi come “ceto politico”, e a tal scopo coniarono la concezione dell’”alternanza” come metodo “democratico” di gestione della vita politica e delle legislature.

 In realtà noi sappiamo che l’unica democrazia è quella che parte dal basso, la Repubblica dei Soviet (Assemblee), dei Consigli, il potere popolare nella gestione di tutte le cose, e sappiamo anche che sia il sistema di rappresentanza parlamentare costituzionale sia quello anticostituzionale coniato a partire dall’istituzione del maggioritario (“a clamor di popolo” grazie alla demagogia della “sinistra” che ne accettò la concezione! )  sono entrambi al servizio della classe che domina in campo economico. Però sappiamo anche che il sistema costituzionale è stato violato dalla borghesia imperialista al potere in alcuni dei suoi principi fondamentali, e sappiamo che molti di questi principi di eguaglianza e di rispetto del lavoro umano (e non dello sfruttamento) come motore di tutte le cose sono principi che possiamo rivendicare apertamente come appartenenti al nostro patrimonio. Questa apparente contraddizione fa parte della nostra tattica, e della nostra proposta Rivoluzionaria di un sistema sociale nuovo e popolare di Nuova Democrazia. Noi Comunisti non abbiamo il problema di sentirci ribelli nell’esistenzialismo bensì quello di condurre la classe operaia ed il proletariato al potere attraverso una Rivoluzione che la faccia finita con la dittatura della borghesia imperialista.

La valorizzazione del sacrificio dei partigiani antifascisti  caduti e traditi dal revisionismo togliattiano e dal falso unanimismo democratico,  così, è una componente della nostra Rivoluzione, perché portando con noi i valori per i quali centinaia di migliaia di uomini e donne hanno combattuto il nazifascismo e facendo nostri alcuni dei principi fondamentali della costituzione borghese che ne è seguita, rappresentiamo il nostro primato politico e la nostra legittimità storica di proletari contro la illegittimità palese fatta di milioni di carte bollate a difesa della proprietà privata dei mezzi di produzione (sfruttamento), delle terre e degli immobili, asse costitutivo ideologico del potere attuale della borghesia imperialista e delle congreghe reazionarie e mafiose ad esso connesse nel nostro paese.

In Italia e nell’intero occidente capitalista, la borghesia imperialista, che nel nostro paese è costituita da alcuni milioni di persone che sguazzano in tutti i campi del potere, della cultura e dell’informazione, lasciando alle masse la lotta quotidiana per la sopravvivenza, stretti dall’incudine della realtà di classe ed economica e dal martello delle tasse e dei balzelli istituiti dal regime progressivamente e senza tregua per piegare le classi proletaria e della piccola borghesia alla volontà infame di chi considera un diritto ereditario il potere della vita altrui.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ha scritto il 26 maggio 1939:

“Per tutto quanto ci concerne, che si tratti di un individuo, di un partito, di un esercito o di una scuola, ritengo che la mancanza di attacchi contro di noi sia un male, perché ciò significa necessariamente che noi stiamo facendo causa comune col nemico.  Se veniamo attaccati dal nemico, è un bene, poiché ciò dimostra che abbiamo tracciato una linea di demarcazione molto precisa tra noi e il nemico. E se quest’ultimo ci attacca con violenza, dipingendoci a fosche tinte e denigrando tutto ciò che noi facciamo, è meglio ancora, poiché ciò dimostra non soltanto che noi abbiamo tracciato una linea di demarcazione molto precisa tra noi e il nemico, ma anche che abbiamo conseguito un notevole successo nel nostro lavoro.

(“Essere attaccati dal nemico è un bene, non un male” ,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol. 7, pag.87-88)

 

Le classi subalterne spesso intromettano i valori e i principi delle classi dominanti. Nella nostra società, questo processo di assimilazione e di dominio delle coscienze, che solo la lotta partecipata della classe operaia e delle classi sfruttate può, per brevi periodi, spezzare, passa attraverso la cultura,  l’informazione, le attività ludiche, sportive, ecc. Perché invece, nella attività lavorativa dove lo sfruttatore spreme fino all’ultima goccia di sudore fisico o di energia psichica il lavoratore sfruttato, i termini per una assimilazione complessiva dell’uomo ai valori dominanti non vi sono. Se non altro, non vi sono per la maggioranza dei lavoratori, e di conseguenza per i loro figli e familiari che vivono del loro lavoro.

Engels diceva che in una società divisa in classi sociali diverse le idee delle classi dominanti sono sempre dominanti. Questa situazione viene spezzata appunto solo nelle situazioni rivoluzionarie, che per loro natura, al di là del carattere prolungato dello scontro tra classe operaia e borghesia oggigiorno, sono estremamente brevi, rapide e volatili, per cui si è giustamente esaltata la genialità leninista di saper cogliere in una data situazione la possibilità di mobilitare le masse attorno ad un programma rivoluzionario non costruito a tavolino, come nella “congiura degli Eguali”, ma nato nello sviluppo stesso del processo di scontro con le forze borghesi che caratterizzavano l’”altra” soluzione alla crisi rivoluzionaria.

Per cui si può sostenere tranquillamente che compito dei Comunisti nelle fasi controrivoluzionarie, non rivoluzionarie e pre-rivoluzionarie è quello di mantenere ben saldi i principi attorno ai quali ruota il proprio programma politico – proposta alla classe operaia – . Privarsi di questa saldezza di principi significa di fatto scivolare verso il pantano della mediazione e della compatibilità. Questo è giusto.

Essere attaccati è appunto un bene, essere torturati, uccisi e combattuti con tutti i sistemi dalla borghesia è anche questo un bene, purchè, se sopravviviamo, riusciamo a mantenere noi stessi con lo stesso sapere e senso critico di prima; oggi con le droghe e i controlli mentali, con gli scanner cerebrali ed il SCC-succinile coline colide, con le droghe e gli acidi, i nazisti capitalisti addetti alle torture hanno strumenti più duraturi di tortura, possono uccidere Abu Abbas in un anno anziché in poche settimane, per esempio. Ma comunque, se noi sappiamo combattere in ogni circostanza legati ai nostri principi rivoluzionari di solidarietà di classe, sempre distinguendo tra ciò che ci distingue dal nemico e tra ciò che ci unisce, rimaniamo imbattibili, prima di tutto politicamente, sia nel bene che nel male.

Il popolo e la classe, se la battaglia è persa nel breve e medio periodo, sapranno comunque riconoscere nella nostra resistenza quel valore e quel significato di profonda trasformazione che hanno appunto il nostro sacrificio come il sacrificio quotidiano di sangue degli oppressi e degli sfruttati.

Vi è tuttavia un’altra serie di fattori e di errori che possono portare un quadro politico di avanguardia a divenire obsoleto o incapace di riprodurre maturità e chiarezza nella classe operaia. Tra questi vi è la necessità di essere “riconosciuti” dal proprio nemico.

Sembra paradossale, ma questo concetto è stato usato apertamente dalla borghesia imperialista negli anni del tentativo rivoluzionario di fine anni ’70, allorquando i media della borghesia e dei traditori revisionisti affermavano che lo Stato non doveva “mediare” e “riconoscere” così valenza e dignità politica al proprio nemico interno. In realtà questo è un falso storico, perché l’avanguardia rivoluzionaria combattente in Italia in quel periodo storico non era affatto interessata al “riconoscimento” dello Stato bensì solo ed esclusivamente a scatenare un processo rivoluzionario capace di coinvolgere il proletariato e di rovesciare la dittatura borghese traditrice tra l’altro dei valori e dei principi su cui si è fondata la Costituzione borghese del 1947.

Questo concetto è riapparso spesso, come diceva Marx (la storia si ripete due volte, la prima nell’esplicarsi di una tragedia, la seconda traducendosi in una farsa), negli ultimi anni nel nostro paese. Questo ha generato una situazione per cui la politica è divenuta una farsa e le masse sono rimaste sempre più disilluse nelle possibilità di un rivoluzionamento delle cose. Per cui la borghesia ha avuto buon gioco nel portare avanti nel nostro paese, ancor più che in altri paesi capitalistici avanzati in cui è in corso una restaurazione sociale senza precedenti negli ultimi 200 anni, una riduzione della politica alle mere funzioni di dittatura sociale di un’esecutivo. Che senso ha allora porsi il problema di essere “riconosciuti” dallo Stato se non quello di essersi privati di una propria autonoma capacità di iniziativa a tutti i livelli, veicolando così il processo rivoluzionario come puro spauracchio politico e sociale e non più come progetto in armi in atto ?

Solo il senso di ammalarsi progressivamente di sé stessi, privandosi di quello spirito rivoluzionario senza il quale nessun gesto e nessuna azione hanno valore di trasformazione sociale e quindi non possono essere colti dalle masse sfruttate per la loro giusta e corretta valenza.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ha dichiarato in una intervista il 16 settembre 1939:“Noi dobbiamo sostenere tutto ciò contro cui il nemico combatte, e combattere contro tutto ciò che il nemico sostiene.”

(“Intervista ai tre corrispondenti dell’Agenzia centrale d’informazione e dei giornali Saotangbao e Sinminbao”, Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.7, pag.111-116)

 

Ciò che non sempre si è voluto capire nel movimento rivoluzionario del nostro paese, le cui radici e concezioni a volte si innestano con quelle del revisionismo moderno togliattiano,  è che la posizione politica e la proposta politica del movimento rivoluzionario NON POSSONO essere altra cosa da quella dell’avanguardia in costruzione, e di conseguenza se questo non avviene, significa che l’avanguardia in costruzione non è tale perché non sa cogliere quanto di meglio –compatibilmente alla congiuntura- la classe operaia ed i movimenti sociali producono.

La situazione attuale tuttavia non è la situazione ottimale, per cui si ha un regresso allorquando i movimenti di classe non riescono a produrre un’unità di fondo con l’avanguardia rivoluzionaria.

La soluzione allora non può risiedere solo nella decisione politica e nella linearità temporale che ci si prefissa, bensì solo nella costruzione dell’unità delle avanguardie espresse dal conflitto di classe all’interno del partito rivoluzionario.

Si obietterà che la classe operaia ed i movimenti di lotta non esprimono sempre i valori della rivoluzione e che quindi all’avanguardia rivoluzionaria consolidata nel ciclo precedente spetta di preservare questi dallo sfacelo. Questa è una posizione conservatrice e in definitiva controrivoluzionaria perché tende a cristallizzare attorno al “vecchio” ed al logoro bagaglio politico di un’ avanguardia data quello che è invece il necessario spazio politico che essa va offrendo e raccogliendo insieme al movimento rivoluzionario. Tra l’altro si  noterà facilmente, ad un’attenta disamina dello svolgersi di quest’ultimo quarto di secolo, che se da una parte la borghesia ha sempre attenzionato l’avanguardia rivoluzionaria esaltandola in negativo a tutti i livelli, d’altra parte non ha represso solo questa, riservandogli anzi in qualche modo la garanzia della visibilità, mentre ha operato strenuamente per distruggere ogni sedimentazione di organizzazione classista nelle fabbriche e nel territorio.

Si comprende dunque che esistono Tre soggetti dunque per uno stesso nemico. Così come il maoismo ha stabilito e dimostrato scientificamente che sono Tre gli strumenti necessari alla rivoluzione (il partito comunista che guida il processo e raccoglie le istanze e i contenuti più maturi della rivoluzione; l’esercito popolare che conduce lo scontro sul terreno militare; il fronte unito delle masse che organizza la lotta sul terreno sociale e delle rivendicazioni atte a garantire alle masse il proprio diritto alla vita, alla dignità, alla salute, rappresentando così a piè sospinto la necessità del cambiamento politico complessivo).

Nella nostra situazione, viziata da un quarto di secolo di repressione, arretramenti e tradimenti, il partito, la cui costruzione è continuamente rimandata e delegata all’ “agire da”  oppure, per una diversa concezione, al momento politico in cui sarà possibile costruirlo, rappresenta alfine un freno quando l’avanguardia rivoluzionaria è nelle mani di un soggetto politico superato.

Il movimento rivoluzionario, che è l’espressione di  una avanguardia non organica ma in via di maturazione, è in questa situazione l’unico vero ambito della società in evoluzione, e, anziché detenere il ruolo di testamentario del futuro, ha il compito di impadronirsi degli strumenti necessari alla costruzione di una nuova avanguardia.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto nel maggio 1942: “Noi siamo sulle posizioni del proletariato e delle masse popolari. Per un comunista questo significa che egli deve essere sulle posizioni del Partito, deve sentire lo spirito di partito ed essere fedele alla politica del Partito.”

(“Interventi alle conversazioni sulle questioni

della letteratura  e dell’arte a Yenan”,

 in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.167-192)

 

In Italia è successo quasi sempre l’opposto; è il Partito che ha ripiegato, che ha fallito, che non è stato all’altezza dei compiti e delle parole d’ordine che aveva promosso. Come dopo la svolta di Salerno quando i comunisti “all’antica” sinceri e coerenti al programma rivoluzionario vennero cacciati ed espulsi dalla nuova direzione di Togliatti e di tutti quei compagni che non ebbero il coraggio di opporvisi., o come negli anni settanta quando il P”c”i di Berlinguer si erse a partito poliziesco contro il movimento rivoluzionario, pattugliando i principali snodi urbani e organizzando la delazione contro i rivoluzionari. Queste cose hanno generato una perdita di prestigio dei Comunisti e dell’avanguardia rivoluzionaria che ha pochi precedenti storici.

Questi fatti hanno delle radici storiche principalmente nella mentalità cattolica propria di gran parte della popolazione, e soprattutto del ceto rivoluzionario.

Si è confusa in gran parte della “sinistra” la rivendicazione dei miglioramenti salariali e sociali (istruzione, sanità previdenza, diritto alla casa) e la resistenza ai peggioramenti imposti dalla borghesia, per l’essenza stessa del ruolo dei comunisti. Mentre il ruolo dei comunisti nelle lotte sociali è quello di dirigerle come fattore di educazione politica per l’emancipazione della classe operaia e proletaria e il suo assurgersi al ruolo di classe dirigente.

Mentre in altri paesi è una connotazione nazionale a generare i primi impulsi rivoluzionari, nel nostro paese è l’impegno verso gli altri, la condizione dei deboli, a generare le prime forme di solidarietà tra gli individui e quel senso dell’impegno che caratterizza da sempre le giovani generazioni. Non è dunque vero che quella generazionale sia una falsa contraddizione; affermarlo significa non cogliere negli aspetti della dittatura borghese quelle caratteristiche di governo delle conflittualità che strutturalmente ed inevitabilmente sorgono, significa essere schematici ed incapaci proprio di cogliere gli aspetti della trasformazione rivoluzionaria nella vita stessa di ogni giorno.

Nel nostro paese sono da sempre le giovani generazioni il volano rivoluzionario, e sono sempre le generazioni più vecchie a detenere i ruoli di comando; questo è stato valido anche nel movimento comunista sino al crollo del revisionismo. Da allora, tutto è in movimento, e quindi la costruzione del Partito della rivoluzione è di nuovo all’ordine del giorno. Ma forze antiche, sia nel proletariato che nella borghesia, ostacolano con rabbia feroce ogni progresso della giovane avanguardia. Anche questo è sempre successo, senonché oggi ai giovani viene fatta pagare la loro condizione in seguito alla crisi strutturale in cui è avvinghiato l’insieme dei paesi capitalistici cosiddetti “avanzati”. I giovani quindi non sono più le forze più vive ed attive, ma quelli che “devono imparare”.

Ma le giovani generazioni hanno sempre e solo imparato da quelle molto più vecchie, e quasi mai dalla precedente. Anche in questo senso l’avere alle spalle da poco un processo rivoluzionario (definito dalla borghesia il “sessantotto”) è negativo per la generazione rivoluzionaria in formazione perché ne rallenta e spesso impedisce lo sviluppo anziché favorirlo.

Dietro a tutto, una serie di concezioni borghesi dominano il mondo culturale e formativo, mentre su tutto si staglia lo Stato controrivoluzionario che, dietro concetti apparentemente morali di rispetto dell’ordine costituito, cercano con gli strumenti di cui oggigiorno il potere dispone, di impedire la formazione del processo rivoluzionario.

Per cui il processo involutivo delle lotte sociali e rivoluzionarie dato dalla controrivoluzione genera la necessità per il quadro rivoluzionario di organizzare attorno al Partito una linea politica capace di unire ed organizzare le masse.

Senonché l’inflazione anche culturale di concetti e linee politiche unitamente al sistema repressivo impedisce la formazione all’interno dei paesi capitalistici di un quadro politico rivoluzionario, se non nella clandestinità.

Anche questa non è una legge storica nuova, ma in questa epoca storica si rappresenta come di più difficile attuazione nei paesi cosiddetti “avanzati” a causa proprio della valvola di sfogo politica economica e militare rappresentata dai paesi e dai popoli oppressi.

Prendiamo la popolazione extracomunitaria che vive in un paese imperialista. Soggetta a controlli repressivi e sociali molto maggiori, in possesso di diritti civili ridotti, rappresenta un incremento della militarizzazione e del controllo sociale sul territorio. Significativamente innestata nella classe operaia e nei lavori più umili, rappresenta una frazione di classe più esposta alla violenza sociale ed ai ricatti della borghesia e  del potere. Le due tendenze che si producono da questa situazione sono da una parte una maggiore “internazionalizzazione” non solo del capitale ma anche delle classi sfruttate, avvicinando l’era della rivoluzione proletaria mondiale anche a livello strutturale, e dall’altra un indebolimento dei metodi classici della lotta politica e sociale a vantaggio della necessità sempre maggiore di una socializzazione dal basso che è continuamente repressa e limitata dalle stesse condizioni di vita e di organizzazione lavorativa oltre che dalla repressione. Tuttavia questo non fa che avvicinare l’attualità della formazione del fronte unito delle masse come superamento dei vincoli del potere e del revisionismo all’espressione dell’autonomia di classe. Il che non fa che rendere più maturo il movimento rivoluzionario e l’avanguardia rivoluzionaria stessa, verso il Partito, con la sua ideologia marxista – leninista – maoista e la sua internità e rappresentatività politica in seno alle masse popolari.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung, poco dopo la presa del potere rivoluzionaria in Cina, il 5 marzo 1949, ci disse: “Dopo l’annientamento dei nemici armati, rimarranno ancora i nemici disarmati; questi ultimi non si asterranno dal condurre contro di noi una lotta mortale; non dobbiamo mai sottovalutarli. Se noi non poniamo e non comprendiamo fin d’ora il problema in questi termini,  commettiamo un gravissimo errore.

(“”Rapporto alla seconda sessione plenaria del Comitato Centrale uscito dal VII Congresso del Partito

 comunista della Cina”, 5 marzo 1949, )

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse il 21 settembre 1949:

“Gli imperialisti e i reazionari del nostro paese non si rassegneranno mai alla loro sconfitta; essi si dibatteranno fino alla fine. Anche quando la pace e l’ordine saranno stati ristabiliti in tutto il paese, essi continueranno in tutti i modi a praticare il sabotaggio e a suscitare torbidi, e in ogni momento cercheranno di ripristinare il loro dominio sulla Cina. Questo è certo e indubitabile; noi, dunque, non dobbiamo assolutamente attenuare la nostra vigilanza.”

(“”Rapporto alla seconda sessione plenaria del VII Comitato Centrale del Partito comunista della Cina”, 5 marzo 1949,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.11, pag.79-90)

 

In URSS ed in Cina, cioè nei primi paesi socialisti, così come nella gran parte dei Partiti comunisti del XX secolo, si è assistito spesso alla corruzione ideologica e politca borghese come espressione di fondo del tentativo perenne della borghesia di strappare spazio e potere alle masse.

In fin dei conti la storia contemporanea è data dal tentativo delle classi dominanti di negare alle forze produttive ed alle trasformazioni sociali determinatesi di operare delle trasformazioni politiche di maggiore potere del popolo e delle classi sfruttate, per meglio sfruttarle e per acquisire potere crescente. Questa lotta in Cina la borghesia non poteva certo cessarla dopo la rivoluzione e doveva condurla nell’unico spazio politico esistente, il Partito comunista.

Mao Tse-Tung cercò di correggere il deviazionismo di destra e l’opportunismo dei dirigenti (così caratteristico anche nei paesi occidentali da apparire oramai un dato strutturale del politico di professione nelle situazioni non rivoluzionarie) attraverso la lotta di classe nella società, nello Stato e nel Partito, sospingendone cioè le forze più sane e le posizioni più corrette, ed attaccando senza tregua le posizioni opportuniste, delineando una costante lotta tra due linee.

Stalin in URSS adottò la repressione delle posizioni diverse oltre che di quelle controrivoluzionarie, come principale metodo, e dovette accorgersi che qualcosa era andato storto, perché riconobbe “eccessi” ed errori nella conduzione di quella lotta; Mao Tse-Tung seppe e poté far tesoro dell’esperienza sovietica, ma adottò la mobilitazione delle masse per correggere le storture i privilegi le deviazioni gli opportunismi ed i veri e propri tradimenti. Aveva ben presente che la borghesia sa agire in segreto per rovesciare la società socialista, aveva ben presente quali fossero le posizioni ed i dirigenti più pericolosi. Tuttavia non poté evitare che alla sua morte, nonostante si fosse costituito nel Partito un centro dirigente rivoluzionario attorno alla mobilitazione delle masse nella Grande Rivoluzione Proletaria Culturale, alcuni dirigenti tra cui Hua Kuo-Feng potessero “prendere le armi” guidando una parte dell’esercito popolare di liberazione in un colpo di stato contro la sinistra. Fatto storico che non a caso la borghesia occidentale salutò con favore e che dopo un periodo di lotte di classe molto dure contro la restaurazione che la cricca revisionista aveva imposto, ha permesso alle multinazionali di innestarsi in molte aree economiche cinesi.

In qualche modo dunque Mao Tse-Tung sottovalutò la borghesia ? No, il problema non è affatto questo, visto che Mao Tse-Tung fino all’ultimo indicò alle masse i pericoli del deviazionismo di destra. Il problema è che la fase della sperimentazione socialista nel mondo sarà molto lunga e controversa prima di potersi imporre sul modo di produzione capitalista proprio perché questo disponde dei principi negativi del potere e della violenza mentre il socialismo articola il proprio sviluppo sull’armonia, la libertà e l’eguaglianza, che sono ostacolati e lo saranno sempre sino a quando in tutto il mondo la maturazione della formazione economica e sociale non sarà giunta al suo massimo grado.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung scrisse il 27 febbraio 1957:

“In Cina, la trasformazione socialista è, per quanto riguarda la proprietà, praticamente conclusa; le vaste e tempestose lotte di classe condotte dalle masse nei periodi rivoluzionari sono, per l’essenza, terminate. Sussistono tuttavia residui delle classi rovesciate, quelle dei proprietari fondiari e dei compradores, la borghesia esiste ancora, e la trasformazione della piccola borghesia comincia appena.

La lotta delle classi non è ancora giunta alla sua conclusione. La lotta di classe tra il proletariato e la borghesia, tra le diverse forze politiche e tra le ideologie, proletaria e borghese, sarà ancora lunga e soggetta a vicissitudini, e in certi momenti potrà persino diventare molto aspra. Il proletariato cerca di trasformare il mondo sulla base della propria concezione del mondo, e la borghesia sulla base della sua. A questo proposito, il problema di sapere chi avrà la meglio, il socialismo o il capitalismo, non è ancora veramente risolto.”

“Occorrerà ancora un periodo di tempo abbastanza lungo per decidere il risultato della lotta ideologica tra il socialismo e il capitalismo nel nostro paese. La ragione di ciò sta nel fatto che l’influenza della borghesia e degli intellettuali che provengono dalla vecchia società continuerà ancora a lungo nel nostro paese, così come la loro ideologia di classe. Se non si afferra bene questo punto, e, a maggior ragione, se non lo si comprende affatto, si commetteranno errori gravissimi e non si riconoscerà la necessità della lotta sul piano ideologico.”

(“Della giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”, 27 febbraio 1957,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pag.95-198)

 

Sullo stesso argomento il Presidente Mao Tse-Tung ci disse il 12 febbraio 1957:

“Nel nostro paese, l’ideologia borghese  e piccolo-borghese, le idee antimarxiste sussisteranno ancora a lungo. Nel complesso, da noi, il sistema socialista è stato instaurato. Per l’essenziale, noi abbiamo concluso la trasformazione della proprietà dei mezzi di produzione, ma sul fronte politico e sul fronte ideologico la vittoria non è ancora completa. Sul piano ideologico, il problema di sapere chi avrà la meglio, il proletariato o la borghesia, non è ancora veramente risolto. Noi dovremo condurre una lunga lotta contro l’ideologia borghese e piccolo-borghese. Sarebbe un errore non comprendere questo punto, rinunciare alla lotta ideologica. Ogni idea errata, ogni erba velenosa, ogni genio malefico devono venir sottoposti alla critica: non bisogna mai lasciar loro libero campo. Ma questa critica dev’essere fondata completamente sull’argomentazione, deve essere analitica e convincente, non deve essere brutale, burocratica, metafisica o dogmatica.”

“Il dogmatismo e il revisionismo si contrappongono entrambi al marxismo. Il marxismo deve necessariamente andare avanti, svilupparsi in ragione dello sviluppo della pratica, non può segnare il tempo.Se si facesse stagnante e stereotipato, non avrebbe più vita. Tuttavia, non si possono infrangere i principi fondamentali del marxismo senza cadere nell’errore. Considerare il marxismo da un punto di vista metafisico, come qualcosa di rigido, è puro e semplice dogmatismo. Negare i principi fondamentali e la verità universale del marxismo è revisionismo, è cioè, una forma di ideologia borghese. I revisionisti cancellano la differenza tra il socialismo e il comunismo, tra la dittatura del proletariato e quella della borghesia. Ciò che essi auspicano è, di fatto, non la linea socialista, bensì la linea capitalista. Nelle presenti circostanze, il revisionismo è ancora più nocivo del dogmatismo. Sul fronte ideologico ci incombe un compito importante: quello di criticare il revisionismo.”

(“Intervento alla Conferenza nazionale del Partito comunista

della Cina sul lavoro di propaganda”, 12 marzo 1957,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pag.197-200)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ha scritto il 27 febbraio 1957:

“Il revisionismo o opportunismo di destra è una corrente ideologica borghese; esso è ancora più pericoloso del dogmatismo. I revisionisti od opportunisti di destra approvano il marxismo a parole e attaccano a loro volta il “dogmatismo”. Ma di fatto, i loro attacchi mirano alla sostanza stessa del marxismo. Essi combattono e snaturano il materialismo e la dialettica, combattono o tentano di indebolire la dittatura democratica popolare e il ruolo dirigente del Partito comunista, oltre che le trasformazioni e le edificazioni socialiste. Nel preciso momento in cui la rivoluzione socialista ha praticamente conseguito una vittoria nel nostro paese, esiste ancora un certo numero di persone che sognano di instaurare il regime capitalista; esse conducono una lotta contro la classe operaia e su tutti i fronti, compreso il fronte dell’ideologia. In questa lotta, i revisionisti sono i loro migliori gregari.”

(“Della giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”, 27 febbraio 1957,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pag.95-198)

 

 

La lotta contro il revisionismo ha segnato gli ultimi 50anni del movimento comunista in maniera idelebile, almeno sinché non ci saremo liberati completamente di questa “cultura” della mediazione sociale e del tradimento che ha continuato ad ammorbare le idee della classe operaia e delle masse popolari nonostante tutto ciò che è stato fatto in questo senso per liberarsene. La borghesia infatti lavora instancabilmente per favorire queste idee nefaste per le masse popolari, e contemporaneamente arriva anche, nel fascismo come oggi, a cercare di liberarsi dei “libri scomodi” in tutti i mezzi, come ha fatto Berlusconi con la Einaudi, e D’Alema con gli Editori riuniti, tanto per fare due tra i principali esempi, i cui listini è stato ridotto all’osso da anni di censura. Questa lotta ha un aspetto positivo anche nelle fasi più difficili come oggi, e cioè che si ridetermina una necessità culturale nella classe, cui si va a sopperire con forze nuove.

Questa lotta ha trovato, come è noto, la sua massima espressione nella messa sotto critica del revisionismo e dell’opportunismo in tutte le sue varianti sia in Cina durante la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976), sia in America latina dalla guerriglia (e anche dall’internazionalismo espresso nella teoria e nella pratica da Che Guevara con la Tricontinental e con l’esperienza fochista boliviana), soprattutto dal Partito Comunista del Perù guidato dal Pensiero Ponzalo (lotta ideologica iniziata nel 1965, guerra popolare iniziata nel 1980),  sia nei paesi occidentali e in particolare in Europa dalla contestazione politica sociale ed ideologica che ha determinato una rottura insanabile tra il campo comunista e il campo revisionista e “filo-sovietico” (termine improprio perché i Soviet negli anni 60 non erano più nulla per i dirigenti del PCUS). Questa rottura ha costituito parte fondamentale della situazione che ha generato la lotta antimperialista degli studenti e degli afroamericani in USA, la formazione dei movimenti guerriglieri nel Tricontinente, la nascita di un nuovo movimento operaio in Europa.

Tuttavia con molti dirigenti del Partito comunista della Cina si è usata la mano morbida, tant’è che i controrivoluzionari che hanno compiuto il golpe dell’ottobre 1976 e che hanno incarcerato la “banda dei Quattro”, ovvero il quadro dirigente rivoluzionario della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, erano dirigenti che avevano passato il periodo della rieducazione e che erano poi stati riabilitati.

Questo ci insegna che comunque un dirigente che fallisca il suo compito deve ritornare a lavorare da qualche gradino più in basso, e non deve poter più avere accesso a certe cariche dirigenti.

Ci insegna anche che i comunisti sono molto più magnanimi dei porci traditori revisionisti, e che quindi con costoro non si può più trattare come con “compagni che sbagliano”.

Nel nostro paese, quello che ha compiuto il quadro dirigente del Partito “comunista” italiano dal ’43 in poi (tradimento ideologico e politico della svolta di Salerno, espulsione dei compagni fedeli alla linea rivoluzionaria), nel ’48 (rinunzia all’insurrezione proletaria che era sorta dai sentimenti più autentici del popolo), nel ’62 (definizione degli operai ribelli torinesi come “provocatori”), nel ’68 (atteggiamento di provocazione nei confronti dei gruppi “estremisti”), nel ’69 (accettazione per due anni e più del teorema stragista democristiano contro Valpreda e Pinelli), nel ’72 (provocatorie accuse a “Lotta continua” ed altri gruppi della nuova sinistra circa “chi” li pagasse, farsesche accuse alle Brigate Rosse di essere “fascisti”), nel ’75 (accettazione passiva della “Legge Reale” ossia licenza di sparare alla schiena alle forze di polizia), al ’77 (scontro frontale con il movimento degli studenti a Roma, Bologna, Padova e molte altre città italiane, organizzazione della delazione nei confronti degli operai che sostenevano la lotta armata, salvo poi abbandonare a se stesso uno di questi campioni della delazione, responsabile della morte in carcere di un operaio sostenitore delle Brigate Rosse, Cesare Berardi, per poi chiamare a raccolta il “movimento” sindacale contro il “terrorismo”), al ’78 (imposizione allo Stato di una politica di preclusione ad ogni “cedimento” verso la guerriglia delle Brigate Rosse che teneva prigioniero il Presidente della associazione a delinquere denominata Democrazia Cristiana e sostegno allo Stato di emergenza), al ’79 (costruzione a tavolino della montatura del 7 aprile contro l’Autonomia operaia tesa a destabilizzare il quadro del movimento comunista con l’assurda accusa rivolta ad un suo dirigente opportunista –che non a caso fonderà il “movimento” della “dissociazione” nell’ottobre di tre anni dopo e che ora è ancora una volta un “ideologo” di moda– di essere (!) il capo delle Brigate Rosse, ossia dell’unica organizzazione che ha sempre avuto una direzione colleggiale e nessun “capo”), al 1980 (alla pianificazione con la Fiat della falsa affermazione del “movimento dei quadri” nel 1980 utile a ridefinire i limiti del conflitto di classe entro una cornice blindata dalla “solidarietà nazionale”), all’accettazione di tutta la fase delle carceri speciali (dal 1977) e della tortura dell’articolo 90 e fisica nelle caserme (1979-1982), dello scempio del diritto (legge Cossiga sul “pentitismo”), fino al 1984 con la condotta scelta volutamente perdente di portare il conflitto sulla scala mobile sul piano referendario anziché di non opporsi al movimento operaio che era rinato su questo problema, quindi con la sistematica limitazione del diritto degli operai alla propria rappresentanza dal basso (passaggio dai Consigli di Fabbrica alle “Rappresentanze Sindacali Unitarie”), per finire con la deriva coincidente con il crollo dei paesi revisionisti e socialimperialisti dell’Est Europa,  è talmente grave da spiegare da solo la situazione di disperazione delle masse e la debolezza tattica attuale del movimento di classe  e rivoluzionario nel nostro paese, che non può farci sottovalutare il pericolo consistito dalla feccia borghese infame e borghese fino al buco del culo che costituisce l’attuale “sinistra” parlamentare italiana.

Oggigiorno che il quadro è delineato, è chiaro che non vi deve essere da parte del popolo e delle sue avanguardie rivoluzionarie alcuna differenza di trattamento per il peggior assassino nazi-fascista come per l’imperialismo assassino come per il dirigente post-revisionista che si renda responsabile di crimini contro l’umanità come nel caso dell’assalto guerrafondaio imperialista alla Jugoslavia del 1999.

Costoro sono nemici della stragrande maggioranza dell’Umanità e non solo della classe lavoratrice, sono assassini e cinici programmatori del grado necessario di violenza sociale da esercitare sul popolo per mantenere gli assetti reali del potere nelle mani delle classi dominanti, la borghesia imperialista in primo luogo. Costoro non sono filosofi, docenti, uomini di cultura, illuminati strateghi o moderati generali, ma persone che hanno perso il lume della ragione e che ne fanno un vanto, se mai hanno conosciuto il significato di questo termine, e che stanno lavorando al fianco o comunque legittimando, come già i Bernstein ed i Kautsky quasi un secolo fa, coloro (principalmente i grandi capitalisti ed i dirigenti dei paesi imperialisti) che stanno sprofondando la Terra nel caos, nell’anarchia e nella guerra imperialista. Basti pensare alla attuale politica USA che, dopo aver sostenuto ed essersi serviti direttamente tramite la CIA e finanziamenti statali il terrorismo “islamico” per numerosi anni in Medio Oriente, Algeria, Afghanistan e Pakistan, ora ne hanno ritrovato un nemico di comodo con cui cercare di “legittimare” la loro “conquista” del pianeta e scatenare così la Terza guerra mondiale imperialista che in realtà è già iniziata nel gennaio 1991 con l’assalto all’Iraq a difesa dei pozzi petroliferi degli sceicchi del Kuwait.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3. Il socialismo e  il comunismo

 

 

Nella “sinistra” e nella “destra” del nostro paese va molto di moda confondere le esperienze dei primi paesi socialisti del mondo con il “comunismo” realizzato, quando tutti possono sapere con brevi e succinte letture del tutto alla portata di ogni tasca che il comunismo può essere solo una società mondiale dell’umanità liberata da ogni dominio di classe,  e non una serie di stati socialisti accerchiati dalla violenza del capitalismo, tantopiù se divisi dal tradimento revisionista e dallo scioglimento dell’Internazionale Comunista, (la ricostituzione della quale è questione all’ordine del giorno per i sinceri comunisti che riconoscono il maoismo quale terza tappa dell’ideologia proletaria), come è accaduto con l’URSS e la Cina durante gli anni sessanta e settanta del secolo XX.

Per quanto ci riguarda, nella situazione del nostro paese e dei paesi imperialisti, la borghesia erge ad eroi spesso individui che non solo non hanno fatto nulla di eroico, stando almeno a quanto dicono i vocabolari, ma che si sono distinti in un lavoro specificamente e propriamente dannoso  (non cioè come attività in quanto tale ma per quello che è stato fatto in quella attività) ed estremamente nocivo per le masse popolari, e che si sono posti al servizio dei padroni (le classi sempre più ricche della borghesia imperialista che spadroneggiano e rubano a man bassa truffando ogni regola scritta della società ed ogni regola non scritta del vivere) in campo intellettuale o scientifico e che sono finiti nel mirino della contraddizione di classe. Questo ci dimostra che per la borghesia certe teste d’uovo e certi uomini di potere e bonzi sindacali  (ossia persone che si avvalgono del loro ruolo di rappresentanti dei lavoratori per truffarli basandosi su propri convincimenti del tutto personali ed interessati circa ciò che è bene e ciò che non è bene nella lotta di classe, ed operando di conseguenza come polizia politica di regime nei confronti della classe sfruttata), miliarmente disarmati (fatte salve le loro scorte) ma politicamente assassini delle masse popolari, contano immensamente di più di migliaia di combattenti (che infatti mandano al macello senza molto riguardo per la loro giovane età salvo poi sfruttarli per commemorazioni pubbliche, offrire un obolo alle loro famiglie, e tacere le notizie delle proteste dei loro familiari nella Basilica di San Pietro). Ed è questa differenza di valori (ben mascherata dall’apparato del controllo e consenso sociale cui lavorano decine e decine di migliaia di professionisti ed esperti controrivoluzionari, servi sciocchi della borghesia) che traspare in tutta la sua nefandezza storica a chiunque abbia un minimo di capacità di guardare dietro il paravento del dominio dei mezzi di “informazione” e comunicazione.

In realtà, la società socialista è stata finora quella che l’Umanità ha espresso al suo livello più maturo, determinando una distribuzione il più equa possibile di qualsiasi altra realtà, imponendo regole di rispetto delle leggi collettive, imponendo la proprietà collettiva (Statale) dei mezzi di produzione, garantendo abitazioni, salute, cultura, casa ed attività ludiche e sportive a tutta la popolazione indifferentemente dalla provenienza sociale, sviluppando tecniche e tecnologie, sapere e ricerca ed applicazioni scientifiche e mediche senza vincolarle alle ottuse ed infide leggi del profitto capitalistico.

Nei paesi in cui l’Umanità ha potuto giovarsi sinora, anche se per periodi di tempo limitati (36 anni ininterrotti di società rivoluzionaria in Russia e Unione Sovietica, 27 anni ininterrotti di società rivoluzionaria in Cina, oltre ad esperienze importanti come la perdurante Cuba, i paesi socialisti dell’Europa orientale, i paesi socialisti asiatici, la breve esperienza di Unidad popular in Cina, le società postcoloniali africane in particolar modo Angola, Mozambico, Zimbabwe, ecc.), dei pregi dell’organizzazione socialista della società, del diritto e dello Stato, non sono mancate situazioni che la borghesia dei paesi capitalisti ha sfruttato per diffamare la nostra ideologia proletaria.

Come abbiamo visto nel secondo capitolo riguardante la lotta di classe anche nella società dopo l’instaurazione del sistema socialista in Cina, la borghesia, la vigliaccheria, il tradimento e l’interesse personale aleggiano nella società anche quando a comandare è il Popolo attraverso la sua rappresentanza DAL BASSO VERSO L’ALTO. Se è accaduto però che la borghesia abbia reinstaurato il capitalismo in Russia e in Cina però ciò è avvenuto essenzialmente per due ordini di motivi, da una parte perché il sistema di potere non era più o sempre principalmente diretto DAL BASSO VERSO L’ALTO, a causa della identificazione troppo spinta tra il Partito comunista e lo Stato; d’altra parte la società socialista non deve mai porsi in competizione con il capitalismo essendo diversi gli obiettivi che si propone di attuare: il socialismo vuole costruire l’eguaglianza e la ricchezza è subordinata a questo valore universale, mentre il capitalismo costruisce strumentalmente ricchezza senza badare certo alla sua origine e proprietà, oggettivizzando la vita delle persone e riducendola ad una affermazione individualistica di potere che se c’è permette il benessere e se manca crea la disperazione con tutto ciò che ne consegue; di conseguenza la “competizione” per come si è data principalmente con  l’imperialismo americano in URSS nel secondo dopoguerra ha generato una serie di squilibri interni politici e strutturali nella natura del processo di costruzione del socialismo nella transizione al comunismo, che non sempre era così lontana progettualmente nello sviluppo della società sovietica. Quindi il socialismo in Russia e in Cina non è fallito perché il socialismo sia irrealizzabile, MA è stato tradito dai dirigenti post-rivoluzionari dei Partiti comunisti al potere, specificatamente dalla cricca di Kruscev in URSS dopo la morte di Stalin e dalla cricca di Hua Kuo-Feng e Deng Tsiao-Ping dopo la morte di Mao, perché le masse popolari e la classe operaia non avevano il sufficiente controllo politico sulla loro condotta. Essendo una giovane esperienza, questo non è un fallimento. Lo sarebbe se ad ogni futura società socialista si ripetessero errori già fatti, ed è appunto per questo che la classe operaia ed il movimento comunista non devono camminare demonizzando se stessi ma neppure nascondendosi i limiti prodottisi.

Spesso sapienti compagni si dilungano in concettualizzazioni molto composite ed articolare, citando cifre e numeri in quantità, per giustificare o spiegare il declino di queste prime realtà socialiste. In realtà nel processo storico di liberazione dell’Umanità, le idee ed i valori delle masse sfruttate non devono mai essere poste in secondo luogo, e nella gran parte dei casi è da esse che si determinano i passaggi storici; pertanto l’analisi e il bilancio dei paesi socialisti non dovrebbe mai dimenticare questo tipo di problemi, che Mao Tse-Tung teneva in primaria considerazione.

Su queste cose, ma lette al contrario, con la lente deformata delle battutine di spirito sull’ansia dei cittadini russi di fronte alle penne Bic (che poi erano francesi e neppure americane) o alle calze avvolgenti che i numerosi furbacchioni si portavano in valigia quando andavano oltrecortina per motivi di lavoro (infatti i paesi occidentali non disdegnavano sempre e comunque –come nel caso dei prodotti elettronici americani- di mantenere rapporti e di collaborare ad insediamenti economici commerciali ed industriali nei paesi socialisti), per decenni abbiamo assistito sugli “organi di informazione” occidentali ad accanite calunnie e diffamazioni.

Ciò non significa nulla, se guardiamo le mani grondanti di sangue di chi pagava coloro che scrivevano a fiumi queste parole di spregio del socialismo sin dall’immediato periodo post seconda guerra mondiale.

Le stesse operazioni medianiche e commerciali della borghesia imperialista contro le realtà storiche del socialismo non sono di fatto riuscite a scalfirne il valore che esso porta nel cuore della stragrande maggioranza delle classi sfruttate dell’Umanità.

La lotta decisiva, semmai, si svolge proprio all’interno del campo operaio e proletario, ed è per questo che l’impostazione teorica della questione della società socialista in ogni specifica realtà nazionale e della società comunista come punto d’approdo dell’Umanità alla Libertà effettiva e reale di vivere la vita per come merita ad ogni essere, Donna o Uomo, Anziano o Bimbo che sia, così come la esperienza sin qui realizzata, è nostro argomento di studio e discussione molto più di quanto non siano le pur importanti questioni di contingenza sociale.

Bisogna con il nostro lavoro ridare fiducia alle classi sfruttate, dimostrando loro che il nostro impegno non è, come vogliono far credere i cani pennivendoli della borghesia, idealismo o inutile demagogia, ma bensì spinta propulsiva ed interna al motore della storia, il lavoro, la solidarietà sociale, l’eguaglianza, la libertà, tendenti all’assoluta liberazione di ogni energia verso il benessere universale.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto nel gennaio 1940, mentre la Repubblica Popolare Cinese già viveva nella realtà di alcune zone liberate ove si sperimentavano le regole sociali ed  il vivere collettivo della società cinese dopo la vittoria della Rivoluzione avvenuta nel 1949:

“Il comunismo è ad un tempo il sistema ideologico completo del proletariato e un nuovo sistema sociale. Diverso da ogni altra ideologia e da ogni altro sistema sociale, il comunismo è il più perfetto , il più progredito, il più rivoluzionario e il più razionale sistema di tuta la storia dell’uomo. L’ideologia e il sistema sociale del feudalesimo trovano ormai posto solo nel museo della storia. Anche l’ideologia e il sistema sociale del capitalismo sono oramai diventati in una parte del mondo (nell’Unione Sovietica) pezzi da museo, mentre negli altri paesi essi assomigliano “a un moribondo che declina rapidamente come il sole che cala a occidente dietro le montagne”, e anch’essi saranno presto riposti nel museo della storia. D’altra parte l’ideologia e il sistema sociale comunista si stanno diffondendo nel mondo con l’impeto di una valanga e la potenza di un fulmine; essi faranno fiorire una meravigliosa primavera.”

(“Sulla nuova democrazia”, gennaio 1940,

 Opere di Mao Tse-Tung, vol.7, pag.187-228)

 

Infatti la fase che va dal 1945 al 1990 non è certo stata da meno a quella che alcuni compagni datano tra il 1910 e il 1950 come Prima Grande Ondata della Rivoluzione Proletaria. Volendo analizzare questa datazione, dovremmo inserire i nuovi movimenti della classe operaia e proletaria nei paesi del centro imperialista che iniziarono negli anni sessanta, i movimenti di liberazione dal colonialismo ed i movimenti di liberazione nazionale delle etnie e nazioni oppresse, le guerriglie contadine ed operaie nel Tricontinente, la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina, la Rivoluzione a Cuba, il movimento Pan-Arabo, la Rivoluzione Palestinese, le Guerre Popolari sorte in India dal 1967, nelle Filippine dal 1971, in Perù dal 1980, e via dicendo, come una seconda Grande Ondata della Rivoluzione Proletaria, mentre è più giusto storicamente considerarle parte della Prima per alcuni motivi.

Innanzitutto l’appoggio storicamente dato dall’Unione Sovietica e poi dalla Cina Popolare ai movimenti di liberazione di ogni angolo del mondo, è stato politicamente significativo e legato storicamente alle esperienze rivoluzionarie di questi due paesi (dalla Internazionale Comunista alla prima diffusione del marxismo-leninismo-Mao Tse-Tung pensiero nel mondo, negli anni sessanta).

Quindi il dato di fatto della seconda guerra mondiale e delle speranze e dei valori che la liberazione dal nazifascismo aveva prodotto nell’intera Umanità, aveva un peso ed un rilievo capace di generare contraddizioni significative in campo internazionale.

Per nulla secondario il fatto che fosse ancora determinante l’assetto economico che aveva generato le prime due guerre imperialiste mondiali, per cui ai conflitti che opponevano popoli oppressi e paesi imperialisti si aggiungevano significative contraddizioni interimperialistiche tra paesi capitalisti di peso se non uguale quantomeno confrontabile.

La sopravvivenza del colonialismo esplicito, ossia non mascherato da regimi fantoccio, fino alla metà degli anni settanta in quasi tutti i continenti, contribuiva a determinare una legittimità molto forte dei movimenti di liberazione del Tricontinente nei diversi ed opponenti stessi paesi ancora colonialisti.

Mao Tse-Tung era fondamentalmente positivo, vedeva come principale l’aspetto positivo nello sviluppo storico, e questo non poteva mancare neppure in un periodo terrificante della vita del suo Popolo, sotto l’aggressione giapponese, e del mondo intero, obbligato a confrontarsi con la macchina militare nazista che invadeva un paese dopo l’altro e sterminava etnie ed oppositori politici in forma massiva.

Nel 1940 Mao Tse-Tung aveva centrato quale sarebbe stato lo sviluppo storico degli anni 50, 60 e 70. Solo non poteva nel 1940 pensare che l’orrore cui il mondo stava assistendo sarebbe stato ben poca cosa di fronte ai successivi crimini dell’imperialismo, tesi a distruggere i paesi socialisti e ad impedire autonomi processi di sviluppo e formazione politica istituzionale nei paesi dipendenti.

Negli ultimi anni della sua morte prefigurò che la contraddizione tra popoli e nazioni oppresse ed imperialismo sarebbe divenuta principale sopra la stessa contraddizione tra classe operaia e capitale. In effetti la raggiunta internazionalizzazione completa del sistema capitalista, scientificamente prevista da Marx, e la formazione della classe operaia in ogni paese del mondo, ha portato ad un livello più alto la crisi generale capitalista sin dagli anni settanta (inizio della Seconda crisi generale capitalista, analizzata anche come Seconda crisi generale da sovrapproduzione assoluta di capitale, che seguiva quella del 1915-1945 dopo le crisi cicliche analizzate da Marx ed Engels della seconda metà dell’ottocento), ma ha contribuito anche, dopo il crollo dei regimi revisionisti affermatisi sul socialismo in URSS e in altri paesi dopo la morte di Stalin e in Cina dopo la morte di Mao, a sviluppare una esigenza di accumulazione gigantesca –assai simile a quella che ha prodotto il nazismo in Germania– che poteva essere soddisfatta solo con una nuova guerra mondiale di distruzione di risorse e  di conquista di mercati nel frattempo perduti al controllo coloniale.

Il passaggio dal colonialismo di Churchill al neolocolonialismo dei Bush rappresenta bene la feroce reazione dei grandi capitalisti alle esigenze di liberazione e benessere del mondo intero, per quanto si spacci per “necessaria serie” di “interventi” atti a garantire “diritti umani” la cui assenza e vilipendio è principalmente il prodotto di scelte politiche economiche e militari proprio delle potenze aggredenti stesse.

La dimensione e la elasticità assunta dai mercati capitalistici oggi, la estrema debolezza del sistema capitalistico, e la sua gigantesca forza militare e tecnologica, hanno fatto perdere,ancora una volta come in passato, la bussola del “uon senso”ai migliori “pensatori” occidentali, così che siamo sprofondati in una guerra mondiale imperialista per tappe che è la risposta principalmente angloamericana al pericolo che già in un congresso della NATO nel 1999 si definiva come “il XXI secolo, secolo delle insurrezioni”. Serviva quindi un pretesto, trovato singolarmente in forze reazionarie “islamiche” che erano precedentemente state usate dall’imperialismo americano per combattere la Rivoluzione Palestinese e la Resistenza Libanese (prima dell’invasione “israeliana”del Libano), così come l’Unione Sovietica e il legittimo governo a guida progressista in Afghanistan, così come lo sfociare in situazione rivoluzionaria delle contraddizioni di classe e religiose in Pakistan. Dietro a queste operazioni vi era sempre stata ovviamente la CIA.

La previsione di Mao Tse-Tung secondo cui nel giro di 50 o 100 anni nel mondo si sarebbe assistito ad una nuova Grande Ondata della Rivoluzione Proletaria Mondiale, confermata dallo svilupparsi velocissimo degli eventi e della maturazione di un grande movimento mondiale antimperialista che coincide con l’Umanità in lotta in ogni dove, ci garantisce della bontà della nostra asserzione secondo cui la Prima Grande Ondata della Rivoluzione Proletaria si è sviluppata sino ai primi anni ottanta del precedente secolo. Questo non significa negare che moltissimi movimenti rivoluzionari abbiano potuto svilupparsi, continuare la lotta e crescere a cavallo delle due Ondate che speriamo tutti saranno sufficienti a garantire all’Umanità Libertà e Benessere, mentre d’altronde ben spiega perché gli assassini imperialisti yankee abbiano voluto inserire nella loro “Lista Nera” sia dei paesi legittimamente indipendenti ed ostili all’imperialismo occidentale, sia i movimenti rivoluzionari e comunisti più significativi del mondo, accanto ad organizzazioni religiose del mondo islamico che combattono una propria “Jihad”.

D’altronde, proprio il fallimento interno dato dalla corruzione e dalle divisioni interne ai paesi di religione islamica oltre che il fallimento strutturale del mondo capitalistico, ben rappresentano il conflitto in corso come dato da contraddizioni interimperialiste che cercano un proprio sfogo nella ricolonizzazione, pilotata dalla maggiore potenza imperialista gli USA.

Come 90 anni fa, come sempre nell’epoca imperialista del capitalismo, come ci ha insegnato il grande Lenin, il bivio che l’Umanità si trova a dover affrontare è quello tra la guerra imperialista e la guerra alla guerra imperialista. La polarizzazione politica e la follia reazionaria sono quindi di nuovo all’ordine del giorno, se le masse popolari non interverranno con decisione.

Ed è appunto al controllo di esse che il revisionismo e i partiti borghesi tendono, nella falsa e sciovinista illusione di poter evitare di essere essi stessi travolti dall’orrore delle future imprese belliche imperialiste, cosa che un po’ alla volta stanno iniziando a mettere nel conto, fatto salvo il mantenimento delle opportune differenze di classe nella scelta della carne da cannone.

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 6 novembre 1957:

“In ultima istanza, il regime socialista si sostituirà al regime capitalista; si tratta di una legge oggettiva, indipendente dalla realtà umana. Qualunque sforzo i reazionari impieghino per frenare la ruota della storia nel suo movimento in avanti perché presto o tardi la rivoluzione scoppierà e sarà necessariamente vittoriosa.”

(“Intervento ad una riunione in URSS  per la celebrazione del 40° anniversario della grande Rivoluzione socialista di Ottobre”,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol. 15, pag.151-156)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 24 aprile 1945:

“NOI COMUNISTI NON ABBIAMO MAI CELATO LE NOSTRE ASPIRAZIONI POLITICHE. Il nostro programma futuro, o programma massimo, ha come scopo di portare la Cina ad uno stadio superire, allo stadio dei socialismo e del comunismo. Ciò è assolutamente chiaro e non vi può essere alcun dubbio in merito. Il nome stesso del nostro Partito e la nostra concezione marxista indicano chiaramente questo ideale magnifico, incomparabilmente luminoso, che noi attueremo in avvenire.”

(Sul governo di coalizione, 24 aprile 1945,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol. 15, pag.117-174)

 

La burocrazia, la corruzione ideologica, la brama di potere individuale, le cricche, le linee nere, l’infamia che la borghesia annida segretamente all’interno del movimento comunista per corromperlo ai suoi livelli superiori, ci porta ad un deduttivo insegnamento storico. La volontà rivoluzionaria da sola non è sufficiente, e necessita sempre di un articolato sistema di verifica e di controllo popolare DAL BASSO onde impedire che ai piccoli soprusi, così pesantemente combattuti durante la Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina, si aggiungano i sistematici travisamenti della linea e delle direttrici Ideali del Socialismo in costruzione verso il Comunismo. Giustamente Noi Comunisti  nella storia del movimento operaio, proletario e comunista internazionale, non abbiamo mai nascosto le nostre intenzioni. Ma al nostro interno si sono coltivate aspirazioni diverse, spesso inconsapevoli, dettate da meccanicismi infimi ed arbitrari, altrove sono cresciuti interessi di classe borghesi e privilegianti l’individuo anziché il collettivo, così come queste deviazioni hanno fatto leva spesso sulla demonizzazione di altri compagni, e le cose innestate insieme hanno condotto la prima esperienza storica del Socialismo sovietico in URSS e in Cina alla deriva del revisionismo e della compatibilizzazione con il sistema capitalistico. Alla equa distribuzione dei beni e ad una eguaglianza sostanziale si è andata sostituendo una sistematica opera di meritocrazia e di privilegi, altrove di arbitri di chi nel Partito aveva un ruolo di direzione.

L’insegnamento storico negativo NON annulla il valore testamentario per il futuro dell’Umanità del Comunismo come Disciplina Ideale del popolo, del proletariato e del comunisti. I comunisti sorgono principalmente dal proletariato, e sono al servizio del popolo. In quanto tali sono comunisti. Rovesciando i fattori non sono più comunisti con o senza delle cariche di responsabilità, ma uomini di potere che si arrogano diritti spesso non propri.

La Sovietizzazione significa in pratica esplicazione al massimo grado del potere popolare attraverso le Assemblee, i Consigli, di fabbrica, quartiere, scuola, luogo di lavoro, città, zona e provincia. In tali sedi politiche che sono le uniche che devono e possono avere sede decisionale nella società Socialista e nella futura società Comunista, i comunisti hanno un ruolo decisivo SOLO in quanto espressione della lotta di classe, del lavoro, della trasformazione in atti.

Il Comunismo come società ha da venire, ma come attore della storia è da sempre, e così venne definito da Marx, il Movimento reale che trasforma e supera lo stato di cose esistente, ed in quanto tale non è né può darsi staticamente. Il Partito Comunista deve cercare sempre di dirigere il processo rivoluzionario ma non di negare il valore decisivo e  supremo del Movimento di trasformazione.

Il Movimento di trasformazione non è solo l’insieme o l’articolazione dei movimenti di classe, è anche il suo divenire ed il suo patrimonio.

In URSS dopo il 1955 ed in Cina dal 1976, cricche dirigenti del Partito Comunista si sono assunte la gravissima e definitiva responsabilità di avviare un processo di affossamento delle realtà socialiste collettive, dei sistemi socialisti di produzione e di distribuzione e gestione, hanno avviato dei sistemi militari incompatibili con l’interesse popolare al primato della pace con l’argomentazione di eguagliare il primato imperialista in campo nucleare, hanno avviato politiche di integrazione economica tra lo Stato ed il mercato tali per cui anziché ampliare il carattere socialista e collettivo dell’apparato produttivo e sociale, ne hanno privilegiato il carattere propriamente caratteristico di burocrazia autonoma, di Apparato, di Potere.

Se, come dice Mao in alcuni suoi appunti, il Comunismo realizzato corrisponde in un certo modo all’anarchia, perché è una società in cui non vi è più necessità di sfruttamento né di particolari doveri da parte delle masse che possono così esplicare liberamente ogni proprio interesse e capacità nelle più diverse attività nel corso della vita e non solo dedicarsi ad un particolare lavoro fino alla morte, allora il carattere Socialista dello Stato deve diventare (via via che la dittatura proletaria non ha più bisogno di violenza per dominare la borghesia, attraverso il controllo e la decisionalità DAL BASSO dei Soviet),  il carattere sempre più collettivo ed insieme libero del lavoro e di ogni altra attività.

Invece di seguire questa linea, i dirigenti che in URSS nella seconda metà degli anni ’50 ed in Cina subito dopo la morte di Mao, hanno regolato vecchi conti personali e di cricca, e si sono impossessati del potere conducendo questi grandi paesi e queste grandi esperienze storiche ad uno stadio inferiore della lotta di classe, al ritorno dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, all’abbandono di molti dei principi che ne avevano regolato lo sviluppo costruttivo, di uscita dai residui feudali e di autonomia e soddisfazione delle primarie necessità per centinaia di milioni di contadini e servi della gleba guidati dalla classe operaia, questi dirigenti hanno dato una grande dimostrazione del fatto che nessun Partito Comunista privo di una solida Linea di Massa frutto di un’articolata presenza nella società e non di una continua sostituzione di ruoli con la classe operaia, può condurre le masse al successo e la classe lavoratrice all’emancipazione, cose che sono le uniche principali aspirazioni di ogni comunista e di ogni Rivoluzione fatta nel nome del Comunismo.

Per questo motivo, e solo per questo motivo, all’ottimismo degli anni ’50 il compagno Presidente Mao Tse-Tung sostituì il rilancio di una potente lotta di classe interna al paese con la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. Lo fece dopo che l’URSS aveva dato la peggiore dimostrazione di sé con la politica socialimperialista di Kruscev e con la sostanza della “destalinizzazione” [falso argomento con cui la cricca revisionista voleva sbarazzarsi degli istituti di potere della classe operaia Sovietica]: non certo, come l’occidente acclamò, “denunciare” i “crimini” del compagno Stalin, bensì liquidare gli istituti di potere della classe operaia, prendere possesso della polizia politica e degli apparati di potere, rivolgerli al proprio interesse personale e di cricca, ingannare le masse giustificandosi dietro la guerra fredda all’imperialismo americano. In realtà i popoli del mondo in quel periodo storico erano mobilitati ovunque contro l’imperialismo e il miglior uso delle risorse militari dell’URSS al fianco di questi popoli era quello di moltiplicare l’aiuto che comunque l’URSS continuava a dare ai partiti comunisti ed operai del mondo, e non quello di misurarsi sul terreno nucleare. La linea rivoluzionaria doveva essere quella di scatenare l’offensiva nei paesi capitalisti per fiancheggiare le rivolte dei popoli del Sud del mondo, e non di mantenere una doppia politica, umile e gentile verso i paesi europei colonialisti ed assassini, ed internazionalista verso i popoli del mondo. Questa ed altre deviazioni furono proprio il frutto di una politica sbagliata che aveva avuto inizio con Yalta, con l’abbandono dei comunisti greci al loro destino, con la sconfitta voluta dall’imperialismo occidentale del popolo spagnolo, insomma con la demarcazione della cortina di ferro tra Europa occidentale ed orientale. Con lo scioglimento dell’Internazionale Comunista, sinora il punto più alto raggiunto dal movimento comunista nella storia.  Ma il tradimento revisionista di Kruscev, Breznev e compagnia bella non può trovare questa giustificazione, e si esplicò nella divisione del Movimento Comunista Internazionale contro la linea della rivoluzione e dell’antimperialismo su scala mondiale, lanciata da Mao Tse-Tung e dai comunisti cinesi con la rottura anti-revisionista e con la denuncia delle posizioni revisioniste che andavano ammorbando il movimento comunista, come nel caso delle posizioni di Togliatti in Italia.

Se questo spiega in parole povere la deriva dell’Unione Sovietica, occorre spiegare come sia possibile che ancora oggi le idee di Mao Tse-Tung e di Stalin siano la base dei rispettivi movimenti di opinione e di lotta interni alla classe operaia e contadina, ai giovani e agli anziani di questi due paesi, contro il revisionismo al potere ?  No, la cosa si spiega da sola, questi grandi dirigenti, al di là dei limiti, e delle sconfitte subite dopo la loro morte e degli errori e limiti espressi dal compagno Stalin, incarnarono le esigenze delle masse nella affermazione e nel processo di trasformazione del socialismo, e combatterono sempre il burocratismo e l’opportunismo, non solo di destra, che si esprimeva nel Partito.

La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria fu l’affermazione della lotta di classe sulle cricche, sugli egoismi, sui privilegi, sui dirigenti che si arrogavano dei diritti che non avevano (in particolare su questi). Non vennero risparmiati i dirigenti, locali e nazionali, del Partito Comunista, perché erano le masse ad avere la parola, e non le spie.

Invece in qualche maniera la lotta per la difesa del socialismo in URSS condotta da Stalin e dal PC(b) dell’URSS dopo l’assassinio di Rykov del dicembre 1934, comunemente definita “le purghe di Stalin”, se pure non ebbero quel carattere che in occidente si cerca di far passare per verità storica di massacri e carneficine, fu una lotta anche fratricida e condotta con metodi non conformi ai principi del comunismo e della lotta della classe operaia. In qualche modo questo fu riconosciuto da Stalin stesso nel Congresso del 1939 allorquando riconobbe “limiti ed errori”, e de resto non occorre essere esperti per ricordare che il principale responsabile di gran parte delle inchieste che portarono sotto processo militanti e dirigenti del Partito, fu egli stesso arrestato, condannato e giustiziato per gli stessi reati.

Il sistema della giustizia è da sempre un indicatore decisivo della vita di un paese. E la classe operaia ha il diritto ed il dovere di esplicare la propria giustizia prima, durante e dopo l’affermazione rivoluzionaria. Ma non deve essere questo un argomento privato ed interno del Partito Comunista, altrimenti gli  “eccessi” diventano la norma. Infatti l’uomo è egli stesso fallace e capace di qualsiasi nefandezza se le condizioni dello sviluppo di determinate contraddizioni non maturano all’interno di un sistema collettivo. E se il burocratismo si afferma, è logico che l’uomo compia errori anche irreparabili. Se in URSS la violenza con cui l’imperialismo aggredì il socialismo in costruzione fu enorme sin dall’inizio, se fu enorme la povertà e la disperazione delle masse prima e dopo il macello del 1914-1917, era conseguenza che un tasso di violenza significativo perdurasse nella società. Ma non ci fu la capacità di rivolgere questa violenza solo contro la borghesia e le cricche di potere, bensì questa fu rivolta anche contro compagni, compagne, sia dirigenti che espressioni e partecipi delle masse. Si vocifera per esempio del fatto che i responsabili italiani nell’Internazionale spesso cercarono e riuscirono ad evitare processi e fucilazione a compagni italiani esuli. Questo è solo un esempio di come la drammatizzazione della condotta politica può portare alla distruzione anziché alla soluzione delle contraddizioni.

Mao Tse-Tung, che ben comprese, anche se giustamente non interferì con queste cose, la natura reale di queste contraddizioni [e la sua presenza nell’Internazionale giovò a questo, grazie per esempio alle critiche di Dimitrov su una questione del genere circa un componente del PCC], ebbe la capacità di porre la questione della differenza tra come vanno affrontate e risolte le contraddizioni in seno al popolo e le contraddizioni tra noi ed il nemico. Sviluppò il pensiero filosofico che aveva prodotto durante la Lunga marcia, allorquando prima di vedere l’affermazione delle sue idee sulla conduzione della Guerra Popolare, visse in prima persona le contraddizioni date dalle lotte interne, oltre che i drammi della repressione spietata dei nazionalisti sui suoi familiari.

La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria fu la prima esperienza storica di rimessa in discussione del potere borghese all’interno del Partito Comunista e del paese che non passò per la segretezza degli interrogatori, e l’oscurità delle aule dei tribunali, -che in qualche modo ripetevano il Terrore di Robespierre-. Strumenti necessari per combattere la controrivoluzione, ma che spesso sono stati utilizzati impropriamente ai danni di compagni, operai e proletari. Tuttavia la Rivoluzione Culturale non fu sufficiente perché le mobilitazioni incessanti del popolo condussero sì alla formazione di un nuovo gruppo dirigente rivoluzionario che poteva sostituire collettivamente il prestigio ed il ruolo di Mao Tse-Tung e degli altri principali dirigenti che avevano partecipato alla Guerra Popolare, ma non giunse fino a portare a compimento la lotta per la conquista del potere di questo gruppo dirigente. Il problema sorse proprio perché nel Socialismo il ruolo del Partito ed il ruolo dei Soviet, delle Assemblee e dei Consigli popolari per capirci, in qualche modo si sovrapponevano confusamente, in altri casi perché nel Partito era comunque forte il sistema di potere (giornali, apparato, esercito, sistema economico) che non era quindi il frutto solo del sistema popolare di potere ma che permetteva anche ai singoli individui di assumere un potere senza particolari forme di controllo, attraverso deleghe e votazioni.

Fu così possibile a dei dirigenti del Partito Comunista Cinese, già criticati ed anche sottoposti a “rieducazione” , compiere un autentico colpo di stato dopo un mese dalla morte di Mao, così come era stato possibile in URSS nel 1955-1956.

Fu così possibile, in nome del socialismo, far morire in carcere la compagna Chiang Ching, dopo 15 anni di prigionia impostagli dalla cricca nera della borghesia che ha preso il potere nel 1976 e che ebbe bisogno di fagocitare le masse e di demonizzare quattro compagni per affermare il superamento dell’utopia e l’instradamento in una linea borghese. Ciò non impedì alle masse, educate alla partecipazione ed alla lotta dalla Rivoluzione Culturale, di mobilitarsi contro la deriva capitalista e burocratica del paese che negava democrazia alle masse (la democrazia che non mancava nei primi decenni della rivoluzione), lottando sino alla morte di migliaia di operai e di giovani in Piazza Tien An-men nel 1989, agitando le parole d’ordine e le immagini di Mao Tse-Tung.

La fiducia nella rivoluzione non impedì successivamente agli anni ’50 a Mao Tse-Tung di prevedere un’acerrima lotta con la borghesia, come non aveva impedito prima della morte a Lenin di predire che “la questione della vittoria definitiva” nella lotta tra socialismo e capitalismo non era ancora stata risolta.  Come Lenin sapeva bene, nulla è eterno e tutto si trasforma, Mao Tse-Tung seppe individuare storicamente la questione nei termini che nella stessa Cina la lotta tra borghesia e proletariato sarebbe stata ancora aperta, anche se certo non poteva prevedere il grado di infamia dei dirigenti borghesi e corrotti che lui stesso aveva fatto riammettere nel Partito, a dimostrazione che se Stalin compì degli eccessi in un senso, Mao compì delle leggerezze in un altro senso.

“La rivoluzione non è un pranzo di gala” ed il XX secolo lo ha dimostrato. Quando una rivoluzione non viene massacrata direttamente dalla borghesia, come a Parigi nel 1871, è probabile che la borghesia riesca a generare fattori di disgregazione in altre forme.

Quali sono i principali errori che hanno portato alla temporanea riaffermazione della borghesia ed ad un progressivo ma ancora parziale abbandono del sistema socialista in Cina, e ad una dittatura della borghesia nera e compradora in Russia ?

Se sono errori che non dovremo ripetere nel socialismo in Italia, c’è da dire che ancora lunga è la strada per portare la classe operaia e le masse all’affermazione politica nel nostro paese, così piccolo non solo geograficamente in rapporto a questi grandi Paesi.

In questo senso il marxismo non sbagliò, ad indicare che erano le società capitaliste a poter generare per prime il socialismo. Se questo non avvenne, non è per difetto di analisi scientifica, ma per le circostanze che la lotta di classe ha assunto storicamente. Per impedire al socialismo di affermarsi nei paesi europei, la borghesia ha fatto ricorso a migliaia di situazioni controrivoluzionarie e repressive, al fascismo, in molti stati, alla negazione dei diritti elementari all’intera popolazione civile, allo stravolgimento della natura democratica dei paesi post-fascisti con sistemi di potere e di cointeressenza integrati attorno ai principali capitalisti, alla Chiesa e alle forze repressive e militari, avvinghiati alle principali potenze coloniali ed imperialiste.

Per impedire il socialismo la borghesia ha ucciso, stuprato, distrutto e incarcerato, in misura molto maggiore di quanto non sia avvenuto in URSS dopo la Rivoluzione e durante “le purghe”  ed in Cina durante la Rivoluzione Culturale. Per impedire il socialismo ancor oggi la borghesia, che è interessata solo ed esclusivamente a rubare dal sudore del popolo e dalle tasche dei piccoli risparmiatori (che in ultima analisi o lavoravano o sottraevano alle masse a loro volta denaro con affitti capestro e prezzi da borsa nera), adotta ogni genere di strumento di controllo, di spionaggio, di mistificazione e di deformazione della verità a proprio uso e consumo, si lega a congreghe criminali, gruppi mafiosi, paesi retti da sistemi dittatoriali, sfrutta risorse naturali di paesi colonizzati o semicolonizzati dall’imperialismo.  Per impedire il socialismo la borghesia sparge il sangue delle masse in maniera selettiva quando può farlo, altrimenti massivamente.

Per impedire il socialismo la borghesia è disposta persino a passare per classe al potere di un paese con un diritto extralegale, come oggi accade per gli USA, che intendono avere un diritto di esclusione dai processi per crimini di guerra alla Corte dell’Aja, per la Spagna, che tortura i prigionieri baschi ed impedisce al popolo Vasco ogni rappresentanza politica,  per “Israele”, che nega non solo la terra ma anche la vita alle masse palestinesi e che minaccia i paesi arabi con la sua protervia, per la Turchia, che tortura distrugge villaggi ed impedisce al popolo Kurdo di avere una propria rappresentanza politica, per la Russia-CSI che opera con mezzi terroristici contro i prigionieri ed il popolo della Cecenia, per la stessa Italia che è sputtanata mondialmente per il proprio sistema giudiziario che conduce alla condanna migliaia di persone senza prove né difesa.

Per impedire il socialismo la borghesia si è dimostrata disposta nel nostro paese ad affidare il potere ad una cricca di interessi legata a filo doppio al sistema economico mafioso.

Per impedire il socialismo la borghesia del nostro paese si è dimostrata disponibile ad entrare in guerra con paesi pacifici come la Jugoslavia e l’Iraq rendendosi responsabile di crimini contro l’umanità come i bombardamenti di siti civili, di ferrovie, di strade, di città.

L’acerrima e sanguinosa lotta tra la borghesia da una parte ed il proletariato ed i popoli oppressi dall’altra non è finita.

Si è estesa.

Per questo non dobbiamo perdere l’ottimismo politico di Mao Tse-Tung, che è nostro patrimonio, né ignorare lo svolgimento dei fatti storici che hanno portato il mondo ad un arretramento per le masse oppresse.

 

Quando il Presidente Mao Tse-Tung scrisse: “… l’insieme del movimento rivoluzionario cinese, che si svolge sotto la direzione del Partito comunista cinese, è un movimento rivoluzionario completo, che abbraccia due fasi rivoluzionarie: la fase democratica e la fase socialista, che sono due processi rivoluzionari diversi per il loro carattere; la fase socialista può essere raggiunta soltanto dopo aver portato a termine la rivoluzione democratica. La fase democratica è la preparazione necessaria per la rivoluzione socialista, e la rivoluzione socialista è la conseguenza inevitabile della rivoluzione democratica. L’obiettivo finale per cui ogni comunista deve lottare è l’edificazione della società socialista e della società comunista.”

(La rivoluzione cinese  e il Partito comunista cinese,

 dicembre 1939, Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali,

cit., vol.7, pag.155-182),

 non voleva certo essere didascalico o libresco, meccanicistico o pontificare sui massimi sistemi. Voleva rappresentare le conquiste delle masse (la Democrazia, il Socialismo, il Comunismo), come componenti del progresso storico della società. In quella fase storica non vi erano “revisionisti”   che negavano finanche il valore Universale della Rivoluzione Francese. Né vi erano dubbi che il fascismo italiano,  rumeno e spagnolo, ed il nazismo tedesco fossero sistemi antidemocratici al servizio delle grandi consorterie militar-industriali e dei grandi banchieri.

Non vi erano idioti  magistrati “di sinistra” che si recavano ai funerali di ex-militari golpisti o che riconoscevano “valore” ai “combattenti” (che sgozzavano donne incinte e torturavano ragazzini) della “Repubblica sociale italiana” (la pantomima del fascismo nel Nord Italia dopo l’8 settembre). Non vi erano grandi magnati dei mass-media al governo e vi era ancora un certo rispetto per questo termine.

Mao Tse-Tung intendeva conquistare alla Democrazia il paese attraverso la sconfitta dell’invasore giapponese, dei signori feudatari, del partito nazionalista che ondivago combatteva contro i giapponesi e contro il popolo. Intendeva dare dignità a masse povere, prive di mezzi, spesso analfabete, intendeva dare parola agli oppressi, non gli interessavano i balzelli dei ricchi notabili e dei signorotti e primi industriali che discettavano di unità d’Italia sulle teste impalate dei “banditi”  meridionali, e che costruivano il sistema burocratico e poliziesco del regime Sabaudo con “materiale umano” di discutibile provenienza.

Per Mao Tse-Tung nel 1939 vi era ancora una certa separatezza tra Democrazia, Socialismo e Comunismo, primo perché la sua era una società molto arretrata, secondo perché la scienza e la tecnica non erano ancora così avanzate da rendere possibili balzi in avanti stratosferici, terzo perché in qualche modo questo modo di vedere era prodotto della concezione tattica espressa dall’Internazionale Comunista negli anni della guerra di Spagna e dell’instaurazione violenta del nazifascismo.

Quindi Mao Tse-Tung non negava certo che nel Socialismo c’è anche la Democrazia, cioè che la Democrazia che c’è nel Socialismo è maggiore che nel sistema “democratico” borghese e nei sistemi di “Nuova democrazia” che lui propose in questi termini per primo, intendendo la partecipazione delle masse come decisiva e innovativa non solo nella fase rivoluzionaria ma anche nella fase post-rivoluzionaria.

Per Mao Tse-Tung c’è quindi meno crimine e violenza nel sistema Socialista che nel sistema Democratico. Così come accadeva in URSS, dove il crimine presente negli anni 30 negli USA era sconosciuto come quello degli anni 70 (a dimostrazione del fatto che anche dopo l’avvio della restaurazione revisionista esistevano ancora delle forme socialiste di produzione e partecipazione sociale che impedivano l’affiorare di determinate storture delle società fondate sul denaro e sul profitto).

Per Mao Tse-Tung, e per noi, infine, c’è più “Socialismo” nel Comunismo che nel sistema socialista. Si perde cioè la nozione quantitativa dovuta da ciascuno alla società e si passa alla nozione qualitativa della partecipazione sociale alla vita ed alla trasformazione sociale.

Per Marx, per Engels, per Lenin, per Stalin, per Mao Tse-Tung, e per noi, l’inevitabilità del passaggio dell’umanità al Comunismo non è un sogno od un ideale utopistico in senso negletto.

Ideale ed Utopia sono termini concreti ed attuali nella misura in cui il processo storico è dato da salti di qualità e da atti di violenza che portano gli sfruttati, i deboli ed i giusti, ad esprimere la propria necessità di Liberazione senza alcun freno o limite che non sia atto pratico del nemico.

Sin dal momento storico in cui il processo produttivo è stato un fatto sociale, si è data lotta di classe. Sin dal momento storico in cui la classe capitalista ha travolto i sistemi nobiliari e faudali, la classe operaia è cresciuta in numero, esperienza e capacità produttiva, e le classi medie si sono progressivamente estese e proletarizzate. Sin dal momento storico in cui le colonie ed i paesi arretrati e semifeudali si sono liberati dall’infame sistema schiavistico, razzista e colonialista dei paesi occidentali, le masse dei continenti più poveri e sfruttati hanno iniziato a trasformarsi in classe operaia, in classi medie, in classi contadine innestate non più nei propri sistemi sociali primitivi, bensì nel sistema capitalistico.

Quindi la nozione scientifica marxista dell’inevitabilità del Comunismo si fonda innanzitutto sulla crescente proletarizzazione della popolazione e sull’inevitabilità della crisi strutturale di valorizzazione del capitale e sulla sua deriva militarista e guerrafondaia che porta ad una frattura sempre più netta ed estesa del fronte degli sfruttati e di quello degli sfruttatori e dei parassiti che banchettano sulla pelle dei lavoratori.

Borghesi, diplomatici, poliziotti, burocrati, politici di professione, preti, consulenti, notabili, medici di fama, e via discorrendo, sono legati sempre più al cancerogeno sistema sociale capitalista e si inalberano ogniqualvolta sentono parlare di scioperi selvaggi, di contratti nazionali, di pensioni minime garantite, di diritto alla salute ed alla casa, di obbligatorietà e gratuità dell’istruzione, di tempo pieno, di reddito ai disoccupati… il loro unico interesse è il denaro, perché sono avvinghiati al carro dei capitalisti ed hanno il terrore di ruzzolare a terra e di finire tra le schiere di coloro che non arrivano sereni alla fine del mese perché non hanno più i soldi nemmeno per il latte.

Per questo devono negare la Democrazia, stravolgerla, riempirla di regole, codici e codicilli, e per questo progressivamente, mentre la coscienza sociale della necessità della trasformazione della situazione cresce, propongono sistemi elettorali, legislativi e costituzionali nuovi, sempre più limitanti la partecipazione e la parola delle masse, sempre più orientati verso una dittatura delle frazioni di capitale che si vanno affermando, verso una estensione delle quote di affari sociali che affondano negli artigli del sistema del profitto (come le cliniche e le scuole private),  verso avventure militari sempre più ingiustificate e costose sangue e sofferenza alle famiglie povere i cui figli per mancanza di lavoro ricorrono alla carriera militare come sicurezza per uscire dalla miseria.

Contemporaneamente “ridisciplinano” le forze armate escludendo le masse ed abolendo la leva obbligatoria,  le integrano nelle funzioni della “giustizia” in forma crescente, portano l’illegalità dei servizi segreti nelle istruttorie giudiziarie e nelle carceri, estendono l’uso di strumenti di controllo sociale, territoriale e carcerario che negano ogni diritto e libertà acquisita finanche di opinione.

Il tutto in nome della “Democrazia”. Una democrazia che appare ben oscura al cospetto di qualunque sistema di “purghe” abbia conosciuto il socialismo, certo privo di mezzi così infami ed antidemocratici.

Mao Tse-Tung comprendeva nel socialismo la democrazia dal basso delle masse, considerava la democrazia parte del socialismo, non affossata dal socialismo ma sua essenza.

Per noi comunisti, Pace, Lavoro, Democrazia, sono punti essenziali non di una mera propaganda a basso costo, ma del nostro Programma politico.

Sono componenti del sistema sociale che vogliamo affermare.

Solo che non vogliamo affermarlo permettendo a chi ha il potere del denaro di contare di più di chi non ha alcun potere.

Per questo il Partito Comunista ha guidato le rivoluzioni in Russia, in Cina ed in altri paesi, e non per “andare” lui “al potere”.

Semmai il Partito Comunista è stato a volte sostitutivo della funzione di partecipazione alla politica delle masse.

Secondo Lenin il Partito Comunista non deve essere necessariamente grande e numeroso. L’importante è che sia ben coeso ed abbia una giusta linea politica.

L’esperienza storica potrebbe permettere di ipotizzare che nella fase post-rivoluzionaria il potere non sia assunto dal Partito Comunista in quanto tale ma dalle Assemblee (Soviet) del popolo e che quindi il Partito Comunista assuma una funzione indicativa della linea da seguire ?

La borghesia ne profitterebbe, questo è palese, dimostrato ed indiscutibile. Per questo falso problema, la soluzione è sempre ed esclusivamente “da dove” viene, “da chi” è formato”, “di quale linea” si dota il Partito.

Non è comunque IL Partito Comunista, a dirigere IN QUANTO TALE la società socialista. La società socialista è costituita dal movimento reale attraverso i Soviet (Consigli). Questi articolano a livello territoriale in ogni campo della società il proprio potere in quanto il potere è DEL POPOLO. Via via che sono necessari livelli di integrazione nazionali e sopranazionali (tra diversi Stati Sovietici) operano le rappresentanze di questi Soviet. Il Partito Comunista DIRIGE questo movimento in quanto è l’unico “partito” espresso dal popolo, ma non si può escludere, così come avvenne nel primo periodo post-rivoluzionario in Russia (prima che i “Socialisti Rivoluzionari” attaccassero con le armi una sede istituzionale sovietica nel 1918), che esistano diversi Partiti rivoluzionari e comunisti (Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista) che si contendono la direzione del movimento sociale MA CHE NON SI COMBATTONO come con il nemico sconfitto.

Questo passaggio potrebbe avvenire in paesi in cui sia forte la componente di alcune nazionalità in passato oppresse, o in paesi (come il nostro) in cui la formazione economico sociale abbia prodotto una molteplicità di soggetti sociali sfruttati diversi i quali non abbiano ancora raggiunto una omogeneità politica.

In questo caso ruolo del Partito Comunista non deve essere quello di negare dignità alle diverse componenti di classe proletarie, ma di guidarle verso una unità sociale superiore il che è esattamente il compito della società Socialista, base fondamentale della costruzione del Comunismo.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse il 25 gennaio 1956:

“Il fine della rivoluzione socialista è quello di liberare le forze produttive. La trasformazione della proprietà individuale in proprietà collettiva sociale negli ambiti dell’agricoltura e dell’artigianato, e quella della proprietà capitalista in proprietà socialista nell’industria e nel commercio privati porteranno necessariamente a una considerevole liberazione delle forze produttive. Verranno così create le condizioni sociali per un enorme sviluppo della produzione industriale e agricola.”

(Discorso alla Conferenza suprema dello stato,

 25.1.1956,

Opere di Mao Tse-Tung, cit.,vol.13, pag.93-94)

 

Infatti per sviluppo della produzione industriale e agricola il Presidente Mao non faceva riferimento in termini astrattamente quantitativi ma bensì in relazione innanzitutto alle necessità interne della popolazione cinese.  In ambito capitalistico invece si guarda alla produzione in termini astrattamente quantitativi (tasso di crescita annuo) o di profitto (incremento o decremento del fatturato e degli utili, indice di reddività, ecc.), in quanto la produzione, specie industriale, non ha un destinatario preciso, va nel “mercato” dove può anche andare marcia o in pasto ai pesci, l’importante è che sia “venduta”.

Già qui la superiorità del socialismo, ove il “luogo” di destinazione sociale della produzione è già sostanzialmente noto prima ancora di completare il ciclo, è evidente: non si produce “più” di quanto sia necessario, non si producono cose in contraddizione con il senso sociale e collettivo della produzione.

I borghesi, i loro cantori, e molti cd. “antagonisti” hanno a suo tempo, specie negli anni ’60 (quando nei paesi socialisti esistevano ancora alcuni istituti di potere popolare pur essendo in corso una profonda ristrutturazione in senso capitalista di Stato dell’economia, decisa dalla cricca revisionista al potere dal 1955-1956 circa)  ironizzato sulla “qualità” e poca varietà dei prodotti e delle merci a cui quei popoli potevano avere accesso.

Ironizzavano così sia sul sangue di decine di milioni di persone di quei paesi ove si era svolta gran parte della mattanza mondiale decisa a Monaco nel 1938, sia sull’orientamento della rivoluzione socialista che deve preoccuparsi, cosa invece che non avviene nelle società capitalistiche, delle necessità di base di TUTTA la popolazione e non solo della popolazione benestante e di quella necessaria al suo potere.

Ironizzavano anche sulla cultura, lo sport, il cinema non a circolazione mondiale, la pittura, la scultura, l’artigianato, la partecipazione popolare alle decisioni riguardanti la vita di ogni giorno, le strade, le ferrovie dal Pacifico agli Urali, l’integrazione di moltissime lingue e culture diverse sotto la stessa bandiera e senza guerre nazionalistiche, l’appoggio alle lotte dei popoli del Tricontinente, le Università e le cliniche per gli studenti migliori e per le vittime delle dittature nelle lotte di liberazione delle nazioni oppresse, ironizzavano insomma, con bestiale ignoranza, su tutti quegli aspetti qualitativi che giustificavano e spiegavano certe ristrette in cui versava la popolazione nel dopoguerra.

Quello che il proletariato internazionale può cogliere in positivo da queste “ironie” è la effettiva modificazione del senso comune delle persone data dallo sviluppo enorme della tecnologia causato sia dallo “sviluppo” capitalista sia dalla concorrenza tra questo sistema e il sistema socialista, ossia nel fatto che, a differenza degli anni ’60, oggi nel mondo, in tutto il mondo, esistono scarpe Adidas, jeans Lev’is magliette Fila, cappellini con la risiera e slippini col merletto, penne Bic e Pilot, senza che per questo l’attuale “società” capitalista mondiale sia migliore delle società socialiste d’allora, ove non esisteva proporzionalmente 1/1000 del crimine di qualsiasi città capitalistica occidentale, ove non esisteva proporzionalmente l’1/100 delle violenze sessuali, ove non esisteva l’1/10000 del consumo di droghe e ove non esisteva l’1/100000 dello schiavismo latente che oggi esiste nelle società “avanzate” né l’1/1000000 del razzismo.

 

Pertanto il concetto espresso da Mao Tse-Tung in questo passaggio del suo discorso è corretto perché lo sviluppo delle forze produttive nel socialismo è di molto superiore, anche proporzionalmente, ai mezzi di cui dispone (che sono diversi per ragioni diverse da paese a paese ed epoca per epoca), a quello dello sviluppo capitalista.

 

I ricchi capitalisti hanno la necessità di negare la funzione e l’importanza del lavoro delle masse, salvo quando gli “scioperi selvaggi” (ossia gli scioperi in piena regola, senza preavviso e prolungati) evidenziano che senza i lavoratori tutto si blocca nella vita sociale fuorché le cucine delle loro ville.  In effetti i capitalisti vogliono negare la funzione dirigente della classe operaia ed è questo il motivo vero ed occulto per cui spingono continuamente in avanti, oltre l’umana necessità, la ricerca scientifica e tecnologica. In questo modo infatti possono sostenere di avere delle “spese” estranee alla funzione del lavoro produttivo e possono condurre dei processi di ristrutturazione continua di modo che la vita sociale e le condizioni di lavoro della classe operaia siano continuamente messe in discussione e rese provvisorie.

In tal modo la borghesia, anche nel nostro paese, continua a condurre una guerra di  sottrazione di spazio e di certezze alle classi lavoratrici, di per sé contraddittoria alla stesse “regole” classiche (dalla rivoluzione industriale allo stesso toyotismo) determinatosi nel sistema capitalistico.

Di passo in passo, il sistema di produzione capitalista si è ridotto ad un sistema polimorfo e anarcoide di caos e sfruttamento in cui la stessa linearietà di determinati processi storici (produzione – benessere – sovrapproduzione – crisi – guerre) è messa in discussione da un sistema di aggressione e dominio militare permanente che, pur non escludendo conflitti mondiali inter-imperialistici, tende a svilupparli sul piano economico con assalti e distruzioni mirate di ricchezze alla conquista di mercati acquisita e di nuovi mercati intesi non più geograficamente ma nell’ambito sempre più virtuale del benessere delle società capitalistiche stesse.

Così facendo, come Marx insegnava, ci porta scientificamente agli allori della possibile trasformazione comunista della società mondiale rendendo la rivoluzione non solo necessaria ma anche ineluttabile.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci scrisse il 31 luglio 1955:

“Attualmente, noi perseguiamo non soltanto ma rivoluzione del sistema sociale che trasformi la proprietà privata in proprietà sociale, ma anche una rivoluzione tecnica che faccio passare la produzione artigianale allo stadio della grande produzione meccanizzato moderna. Queste due rivoluzioni sono legate l’una all’altra. Nell’ambito dell’agricoltura, la cooperazione deve precedere l’impiego della grande attrezzature, e ciò, date le condizioni del nostro paese (nei paesi capitalisti, l’agricoltura segue un ordinamento capitalistico). Né consegue che l’industria e l’agricoltura sono assolutamente inseparabili, come sono inseparabili l’industrializzazione socialista e la trasformazione socialista dell’agricoltura, le quali non possono venir considerate isolatamente, occorre ad ogni costo evitare di attribuire maggior importanza all’una, o detrimento dell’altra.”

(Sul problema della cooperazione agricola, 31 luglio 1955, Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol. 12, pag.195-216)

Da qui si comprende che il socialismo in costruzione è già un sistema più maturo del capitalismo, dove le trasformazioni sono condotte a seconda degli interessi contingenti e per lo più a breve termine dei singoli capitalisti e dove si hanno sperperi di risorse nascenti dati dalla ripetitività e inutilità di sistemi commerciali miranti non a  garantire il soddisfacimento di determinate necessità in quanto tali, bensì semplicemente di “fette di mercato” e l’inglobamento dei piccoli concorrenti nelle aziende maggiori.

L’agricoltura poi lo dimostra ad un doppio livello: un’agricoltura capitalista di prodotti d’èlite del processo e del circuito distributivo privilegiato, legata spesso all’industria dei surgelati, da una parte, e un’agricoltura capitalista di prodotti di massa, dall’altra, basata sullo sfruttamento di manodopera a giornata o precaria, e su una molteplicità di passaggi fino all’arrivo dei mercati, che ne rendano il prezzo pesante per le tasche dei proletari.

 

Il Presidente Mao ci disse il 12 marzo 1957:

“Il nuovo regime sociale si è appena instaurato e occorre un certo tempo perché si consolidi. Non dobbiamo credere che sia già consolidato appena instaurato, ciò è impossibile. Esso può consolidarsi soltanto progressivamente. Affinché sia consolidato in modo definitivo, occorre realizzare l’industrializzazione socialista del paese, perseguiva con tenacia la rivoluzione socialista sul fronte economico e, inoltre, sviluppare sul fronte politico e ideologico duri e costanti sforzi in vista della rivoluzione e dell’educazione socialista. Pertanto, è necessario che a ciò contribuiscano diverse condizioni internazionali.”

(Intervento alla Conferenza nazionale del Partito  comunista cinese sul lavoro di propaganda,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pag.197-210)

 

Qui Mao introduce ben criticamente il concetto di socialismo in un dato paese, scevro dal contesto mondiale, che fu tentato nell’Unione Sovietica  ma in una situazione che poteva giustamente prefiguare cambiamenti positivi nel volgere di pochi anni, come infatti fu nonostante la bestialità del nazifascismo e della II guerra mondiale. Mao offre questo passaggio mentre l’imperialismo si caratterizza in tempo di pace tra le nazioni indipendenti, per un rinnovato grado di bestialità ed aggressione ai paesi colonizzati.  La guerra di Corea, con l’aggressione dell’ONU e la netta spaccatura tra il campo socialista e quello capitalista.  Il maccartismo negli USA e l’anticomunismo in occidente.  L’arretramento ideologico in URSS operato dal risorto revisionismo, furono tutti elementi che portarono ad un livello internazionale quel genere di conflitto politico sostanzialmente e di classe che in Europa aveva iniziato a delinearsi al livello delle singole nazioni con la repressione della Comune di Parigi.

Mao riferisce qui che la costruzione del socialismo, assendo bisogno di armonia e buone relazioni economiche tra paesi socialisti ed indipendenti, ha per condizione al suo definitivo affermarsi una situazione internazionale certo diversa da quella che purtroppo è venuta affermandosi a partire dalla fine degli anni ’50 con la rottura nel corpo dei paesi socialisti (definitiva dal 1964) o degli anni ’70 con il precipitare della crisi capitalista e con la nuova aggressività imperialista che ha portaro oggi l’umanità nel buio del neo-colonialismo militarista.

Ciò non significa che i passaggi storici vedano ineluttabilmente e definitivamente l’affermarsi dell’impossibilità, stante l’aggravamento delle relazioni tra i popoli del mondo ed i paesi più ricchi, della trasformazione socialista.  Tutt’altro.  Il problema che qui abbiamo voluto evidenziare è che le prime esperienze del socialismo risentivano di una concezione troppo legata al proprio ruolo contemporaneo, in una visione di progresso ininterrotto, data anche dalla necessità per l’umanità di considerare una volta per tutte superate situazioni come quella generatasi nella prima metà del secolo XX con i due macelli mondiali.

 

Il Presidente Mao ci disse anche nella stessa occasione che:

“Nel nostro paese, la lotta per il consolidamento del regime socialista, la lotta che deciderà del socialismo o del capitalismo, si svilupperà ancora durante un lungo periodo storico. Ma noi dobbiamo renderci conto che il nuovo regime socialista si considerà infallibilmente. È certo che noi possiamo edificare un paese socialista dotato di un’industria, di un’agricoltura, di una scienza e di una cultura moderna.”

Questa concezione persisteva nell’ottimismo di chi guidava il paese socialista più popolato del mondo, nonostante egli stesso avesse chiaro l’insegnamento di Lenin di non crogiolarsi sui successi dati per acquisiti dato che la lotta di classe dovrà ancora 10.000 anni. In questo senso la citazione successiva di Mao sul consolidamento infallibile del socialismo è corretto ma non fa i conti con l’infamia e la profondità dei complotti e delle macchinazioni che la borghesia con il revisionismo conduce nel socialismo, dentro il partito comunista e lo Stato attraverso il revisionismo ed il neo-revisionismo.

 

In ogni caso, che le affermazioni di Mao non fossero propaganda o vanagloria lo dimostra il fatto che la Cina ancor oggi, pur avendo aperto al mercato capitalistico, rimane un elemento di contraddizione politica enorme per il mondo occidentale, tanto ben pronto ad assaltare le risorse economiche dei paesi dell’Est Europeo quanto a strillare disperati per l’introduzione di merci e tecnologiche cinesi assai simili a quelle prodotta dalle multinazionali e dalle imprese occidentali grazie al predominio capitalista fondato sull’oceano di sangue versato dai popoli sfruttati e dalla classe operaia in 2 secoli di “sviluppo” capitalistico.

Che il pericolo   rappresentato dalla borghesia presente ancora in un paese socialista fosse reale già un decennio prima della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria il Presidente Mao Tse-Tung ce lo segnalò ancora in quello stesso intervento del 12 marzo 1957:

“Gli intellettuali ostili al nostro Stato sono in numero infimo. Si tratta di persone che non amano il nostro Stato, fondato sulla dittatura del proletariato; essi rimpiangono la vecchia società. Ad ogni minima occasione, essi fomentano torbidi, e cercano di rovesciare il Partito comunista, e di restaurare il vecchio regime.  Tra la via del proletariato e quella borghesia, cioè tra la via del socialismo e quella del capitalismo, essi si ostinano a seguire la seconda. Infatti, essendo quest’ultima impraticabile, essi sono pronti a capitolare di fronte all’imperialismo, al feudalesimo e al capitalismo burocratico. Simili persone s’incontrano negli ambienti della politica, dell’industria, del commercio, della cultura, dell’insegnamento, come negli ambienti scientifici, tecnici e religiosi. Esse sono estremamente reazionarie.”

(Intervento alla Conferenza nazionale del Partito comunista cinese sul lavoro di propaganda,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pag.197-210)

 

Che la mano della rivoluzione culturale proletaria e del partito sia stata troppo poco attenta nella riabilitazione di certuni dirigenti che finsero il ravvedimento e continuarono invece ad operare nel segno della borghesia, aspettando il momento buono per entrare in azione, lo dimostra l’esito della politica del Partito Comunista Cinese dopo la morte del Presidente Mao.  Un po’ com’era avvenuto in URSS, ma molto più in fretta.  Se il quadro repressivo della politica borghese fu da parte del Partito bolscevico troppo esteso e massificato da impedire un serio ricambio proletario del quadro dirigente del partito, in Cina il problema fu, all’opposto, di troppa generosità del Partito comunista e della sua politica, negli anni successivi alla denuncia di Lin Piao, troppo centrista ed equidistante nel Partito, nonostante un nuovo quadro dirigente fosse stato prodotto dalla lotta di classe.

Il problema del ricambio e della rotazione dei ruoli tra i dirigenti di uno Stato Socialista è il problema-espressione poltica n.1 delle prime esperienze socialiste nel mondo.

Sotto la dittatura proletaria esercitato dal basso può garantire una seria condotta dei dirigenti, ad ogni livello.

Parallelamente, si può dire che è più facile avviare una trasformazione per mezzo di una rivoluzione, che mantenerla, dati gli attacchi concentrici, permanenti e feroci della borghesia e della controrivoluzione.

In Cina Mao attribuisce il principale problema all’educazione dei contadini, e giustamente, perché sia l’agricoltura era la principale base demografica ed economica del paese, sia la classe contadina era essenzialmente ancora molto arretrata.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci scrisse il 30 giugno 1949:

“Il grande problema è quello dell’educazione dei contadini. L’economia contadina è frammentata, e la socializzazione dell’agricoltura, a giudicare dall’esperienza dell’Unione Sovietica, richiederà un tempo molto luogo e un minuzioso lavoro. Senza socializzazione dell’agricoltura non può darsi un socialismo integrale, solido.

(“Sulla dittatura democratica popolare”, 30.6.1949, in

Opere di Mao Tse-Tung, cit.,vol.11, pag.123-136)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung scrisse anche nel 1955 vari articoli e documenti sulla questione della crescita economica dell’agricoltura (il grande balzo in avanti), che era essenziale per una definitiva uscita delle masse dalla miseria di millenni di oppressione feudale (il paese nella prima metà del XX secolo era ancora nelle mani dei signori della guerra):

 

“Dobbiamo essere convinti che 1) le masse contadine desiderano impegnarsi progressivamente, sotto la direzione del Partito, sulla via del socialismo, e, 2) che il Partito è capace di dirigere i  contadini su questa via. Questi due punti costituiscono l’essenza del problema e riflettono la tendenza generale.”

(“Sul problema della cooperazione agricola”, 31.7.1955

Opere di Mao Tse-Tung, cit.,vol.12, pag.123-136)

 

“Gli organi dirigenti della cooperative devono la preponderanza, nel loro seno, degli attuali contadini poveri e dei nuovi contadini medi dello strato inferiore; essi potranno contare sull’appoggio dei vecchi contadini medi dello strato superiore, vecchi o nuovi.  Soltanto così sarà possibile, conformemente alla politica del Partito, realizzare l’unità del contadini poveri e dei contadini medi, consolidare le cooperative, sviluppare la produzione e portare a termine come si deve la trasformazione socialista in tutto l’insieme delle regioni rurali.

In caso contrario l’unità dei contadini medi e dei contadini poveri, il consolidamente delle cooperative, lo sviluppo della produzione e la trasformazione socialista in tutto l’insieme delle regioni rurali saranno impossibili.”

(Nota all’articolo “Come i contadini poveri hanno tolto di mano il potere ai contadini medi nella cooperativa agricola di produzione di Wutang, cantone di Kaochan, distretto di Changsha”, 1955,

in Il grande balzo in avanti del socialismo nelle campagne cinesi)

 

“Occorre raccogliere intorno a noi i contadini medi; non farlo sarebbe un errore. Ma la classe operaia e il Partito comunista su chi devono contare, nelle nostre campagne, per poterli unire, in vista della trasformazione socialista in tutto l’insieme delle regioni rurali ?   Benintesi, unicamente sui contadini poveri.  Così avvenne quando noi lottavamo contro i proprietari fondiari e realizzavano la riforma agraria.  Così avviene ancor oggi che lottiamo contro i contadini ricchi e contro ogni fattore capitalistico, per realizzare la trasformazione dell’agricoltura. All’inizio di questi due periodi rivoluzionari, i contadini medi si sono mostrati esitanti.  E soltanto quando si rendono chiaramente conto della tendenza generale della situazione e vedono che il trionfo della rivoluzione è imminente, passano dalla parte di quest’ultima. I contadini poveri devono agire sui contadini medi, devono conquistarli alla loro causa affinché la rivoluzione acquisti ogni giorno maggior ampiezza, e ciò fino alla vittoria finale.”

(Nota all’articolo “Le azioni tratte dal sorgere di ‘cooperative di contadini medi’, e di ‘cooperative di contadini poveri’ nel distretto di Fuan –1955

in Il grande balzo in avanti del socialismo nelle campagne cinesi)

 

“Esiste una seria tendenza al capitalismo presso i contadini agiati. Essa prenderà libero corso se noi trascureremo anche di poco il nostro lavoro politico presso i contadini durante il movimento di cooperazione e nel corso di un lungo periodo futuro.”

(Nota all’articolo “Condurre una lotta risoluta contro la tendenza al capitalismo”, 1955,

in Il grande balzo in avanti del socialismo  nelle campagne cinesi)

 

“Il movimento di cooperazione agricola è stato, fin dall’inizio, una seria lotta ideologica e politica. Nessuna cooperativa può essere fondata senza una simile lotta. Affinchè un sistema sociale completamente nuovo possa essere edificato al posto del vecchio sistema permangono necessaria, e per lungo tempo, nella mente della persona, e non si estinguono facilmente. Dopo la sua creazione, una cooperativa deve attraversare ancora numerose lotte prima di consolidarsi. E anche dopo il proprio consolidamento, per poco che attenui i suoi sforzi, rischia di fallire.”

(Nota all’articolo “Una seria lezione” –1955

in Il grande balzo in avanti nelle campagne cinesi)

 

“Nel corso di questi ultimi anni, la tendenza spontanea al capitalismo nella campagne si afferma ogni giorno di più, e ovunque si vedono comparire dei contadini ricchi; numerosi contadini agiati medi cercano di diventare contadini ricchi. Numerosi contadini poveri, che non dispongono di mezzi di produzione sufficienti, sono ancora bisognosi, alcuni hanno debiti, altri hanno venduto o hanno affittato la loro terra. Se lasciamo che questo stato di cose si sviluppi, il fenomeno di differenziazione verso i due poli si aggraverà inevitabilmente. I contadini che hanno perduto la loro terra e quelli che ancora vi sono in stato di povertà ci rimproveranno di non soccorrerli e di non aiutarli a superare le loro difficltà. I contadini agiati medi che tendono a imboccare la via al capitalismo saranno essi pure scontenti di noi; difatti, noi non potremo mai soddisfare alle loro esigenze poiché non abbiamo l’intenzione di seguire la via del capitalismo. In una simile situazione, sarebbe ancora possibile consolidare l’alleanza degli operai e dei contadini ?  È chiaro di no.  Il problema può essere risolto su una nuova base: procedendo gradualmente all’industrializzazione socialista e alla trasformazione socialista dell’artigianato, del l’industria e del commercio capitalistici, occorre realizzare progressivamente la trasformazione socialista dell’agricoltura nel suo insieme, e cioè la cooperazione, occorre liquidare l’economica dei contadini ricchi oltre che il sistema degli sfruttamenti individuali nelle regioni rurali, e ciò darà agiatezza a tutto il popolo delle nostre campagne. Secondo noi, soltanto così l’alleanza degli operai e dei contadini potrà venir consolidata.”

(“Sul problema della cooperativa agricola”, 31 luglio 1955,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.12, pagg. 195-216)

 

 

La lotta tra la civiltà e il benessere collettivo ed individuale del socialismo e la barbarie e la ricchezza di una parte minoritaria delle masse del capitalismo, non è questione che si risolve con le sola presa del potere.   Il problema posta dalla grandezza di Mao Tse-Tung è in un avanzamento rispetto alla teoria della costruzione del socialismo in Lenin e Stalin, ovvero il socialismo per Mao è raggiungibile come sistema solo attraverso la lotta, che durerà “10.000 anni”. Mao non è contraddittorio quando dà per raggiunto il socialismo, perché riconosce che tutto è “in divenire”, ossia dinamico.  Ciò che ieri rappresentava la punta di diamante della trasformazione, oggi può essere un peso ossessivo ed improduttivo.  Ciò che ieri rappresentava una idea poco diffusa tra le masse, domani potrà essere l’idea forza della rivoluzione. Rivoluzione che è permanente, e non per definizione trotskista, ma leniniana.

Il Presidente Mao Tse-Tung contrastava, così come la masse contadine e le guardie rosse, i contadini ricchi. Non perché la loro ricchezza fosse il frutto di generazioni di sacrifici, ma perché erano il frutto dei privilegi che necessariamente il feudalesimo aveva istituto tra le masse per impedire la presa di coscienza e le rivolte.

Il Presidente Mao avviò un processo rivoluzionario di civilizzazione, ossia di collettivizzazione di una realtà prima ridotta alla schiavitù della donna e al semischiavismo dei contadini poveri. Solo 10 anni prima, questa era la realtà, rispetto alle parole che avevamo letto prima.

Il Presidente Mao non fece di ciò un principio, cioè non intese punire o reprimere l’aspirazione delle masse a vivere meglio, ma invece obbligare il paese a ricostruirsi nel senso collettivo, che nelle Zone liberate le Repubbliche Sovietiche Federate avevano iniziato a sperimentare sull’onda dell’esperienza Sovietica.

Che  è una vera assunzione, che si comprese quando nella Grande Rivoluzione Culturale Proletaria non venne combattuta solo la destra, ma anche la dogmatizzazione assoluta della lotta violenta che fecero propri gruppi deviazionisti di sinistra.

Che ciò andasse trattato in maniera diversa, e ce come al solito capitò anche che il deviazionismo di sinistra venisse trattato più severamente (anche con la morte) di quello dei dirigenti destrosi del Partito, dipende dal fatto che quando sono le masse a scendere in campo, prevale necessariamente il centro.

Per questo il Presidente Mao Tse-Tung,  che aveva ben chiaro cosa fosse o significasse “direzione” del movimento reale, non intese costruire prima della sua morte una dittatura attorno alla posizione a lui più vicina (la sinistra operaia del Partito), ma “lasciò” in un certo senso alla lotta di classe la parola decisiva.

E non tradì, come forse altri eccessi poterono fare indipendentemente o meno che sia dalla volontà dei dirigenti, i principi rivoluzionari, sia perché “il grado di violenza necessario” è diverso qualitativamente e quantitativamente a seconda della realtà in cui opera, sia perché il Presidente Mao Tse-Tung intendeva ruolo dei comunisti il dirigere il movimento reale e non il reprimerlo.

Fu questa una oggettiva debolezza rispetto alla destra che poi prese il potere in Cina ?  È possibile che sia stato un errore di valutazione del grado di violenza necessario della repressione della borghesia all’inizio degli anni ’70, così come un errore di eccesso di ottimismo,  fatto sta che il Presidente Mao Tse-Tung non assumesse come fondamentale la dittatura, ma la democrazia delle masse. Nuova Democrazia che non fu il Presidente Mao ma bensì altri dirigenti, della destra del Partito,  Hua Kuo-Feng e Deng Tsiao-Ping,  a tradire.

Con il risultato di decine di migliaia di rivolte contadine apartire dall’abbattimento graduale delle Comuni agricole negli anni ’80, fino alla mobilitazione dell’autonomia operaia e del movimento degli studenti a Piazza Tien an-Men, represse nel sangue nel maggio 1999, ed alle proteste e lotta di massa e sindacali (vietate) con la conseguente repressione classiste del PCC fattosi regime borghese.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 27 febbraio 1957:

“Per pianificazione globale va intesa una pianificazione che tenga conto dell’insieme degli interessi dei nostri 600 milioni di abitanti.  Quando definiamo un piano, quando regaliamo una faccenda o quando riflettiamo su un problema, dobbiamo sempre partire dal fatto che il nostro paese ha 600 milioni di abitanti; in nessun caso dobbiamo dimenticarcene.”

(“Della giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, in

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pagg.95-128)

 

L’occidente stupefatto, per una beffa della storia, si è accorto del significato di queste parole quando, di fronte al tanto auspicato inizio di cambiamenti economici (sistema misto pubblico e privato non solo nell’agricoltura ma anche nell’industria e nei “servizi” all’udienza), i loro “imprenditori” hanno iniziato a lamentarsi delle scorrettezze e del mercato rispetto alle regole da parte delle aziende cinesi che riversano nell’occidente stesso una marea di macchinari e di merci a costo inferiore, che sono spesso prodotte senza riconoscere i diritti degli  “inventori”. Per molto meno, invece, i loro eserciti hanno invaso e conquistato le terre più lontane.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung,  il 15 aprile 1958, ci disse:

“A parte la direzione del Partito, un fattore decisivo è la nostra popolazione, che conta 600 milioni di abitanti. Quanto più numerose sono le persone e tanto più insorgono discussioni, tanto più c’è ardore ed energia. Mai le mosse sono state così entusiaste, mai la loro combattività e il loro morale sono stati tanto alti.”

“Delle caratteristiche della Cina, fatta da 600 milioni di persone, quello che colpisce è la povertà e lo spoliamento. Cose cattive, in apparenza, ma buone in realtà.  La povertà induce alla trasformazione, all’azione, alla rivoluzione. Su un foglio bianco, tutto è possibile: ci si può scrivere o disegnare tutto ciò che c’è di nuovo e di più bello.”

(“Inaugurazione di una cooperativa” in 

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pagg.37-38)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse il 5 marzo 1949:

“Quando la rivoluzione cinese avrà trionfato in tutto il paese e quando il problema agricolo sarà risolto, in Cina continueranno tuttavia a sussistere due contraddizioni fondamentali. La prima, di ordine interno, è la contraddizione tra la classe operaia e la borghesia. La seconda, di ordine esterno, è la contraddizione tra la Cina e i paesi imperialisti. Ecco perché, dopo la vittoria della rivoluzione democratica popolare, il potere di Stato della repubblica popolare sotto la direzione della classe operaia non dovrà venir indebolito, bensì rafforzato.”

(Rapporto alla seconda sessione plenaria

del VII Comitato Centrale del Partito comunista cinese,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.11,  pagg.79-90)

 

Pochi mesi dopo, poco prima dell’ingresso a Pechino, il Presidente Mao Tse-Tung ci scrisse, il 30.6.1949:

“’Ma allora voi non volete sopprimere il potere dello Stato ?’ Sì  noi non vogliamo sopprimerlo, ma non ora; non possiamo ancora farlo. Perché ? Perché l’imperialismo continui ad esistere, perché la reazione interna continuaad esistere, perché le classi continua ad esistere all’interno del paese. Il nostro compito attuale è quello di rafforzare l’apparato dello Stato popolare, e principalmente l’esercito popolare, la polizia popolare e la giustizia popolare, al fine di consolidare la difesa nazionale e di proteggere gli interessi del popolo.”

“La dittatura democratico popolare ha bisogno della classe operaia, perché essa è la classe più chiaroveggente, è la classe in cui lo spirito rivoluzionario è più coerente. Tutta la storia della rivoluzione dimostra che, senza la direzione della classe operaia, la rivoluzione fallisce, mentre trionfa sotto la direzione della classe operaia.”

“La dittatura democratica popolare è fondata sulla alleanza della classe operaia, dei contadini e della piccola borghesia urbana, e principalmente sull’alleanza degli operai e dei contadini, perché queste classi rappresentano dall’80 al 90% della popolazione cinese. Il rovesciamento dell’imperialismo e della cricca dominante del Kuomingtang è dovuto innanzitutto alla forza di queste due classi, e il passaggio dalla Nuova Democrazia al socialismo dipende principalmente dalla loro alleanza.”

(“Sulla dittatura democratica popolare”,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.11, pagg.123-136)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse il il 27 febbraio 1957:

“Il nostro Stato ha come regime la dittatura democrazia popolare diretta dalla classe operaia e fondata sull’alleanza degli operai e dei contadini. Quali sono le funzioni di queste dittatura ?  La sua prima funzione è quella di esercitare la repressione, all’interno del paese, sulle classi e sugli elementi reazionari oltre che contro gli sfruttatori che avversano la rivoluzione socialista, su coloro che minano l’edificazione socialista, vale a dire: quella di risolvere le contraddizioni tra noi e i nostri nemici all’interno del paese. Per esempio: arrestare, giudicare e condannare certi controrivoluzionari, togliere, per un certo periodo fondiari e ai capitalisti burocratici –e tutto ciò, nel campo di applicazione della nostra dittatura. Per mantenere l’ordine nella società e difendere gli interessi delle masse popolari, è del pari necessario esercitare la dittatura sui ladri gli usurai, gli assassini, gli incendiari, le bande di malfattori e gli altri cattivi elementi che turbano seriamente l’ordine pubblico. La dittatura ha una sua seconda funzione: quella di difendere il nostro paese dalle attività sovversive e dalle eventuali aggressioni  da parte dei nemici esterni. In questo caso, la dittatura ha come compito quello di risolvere sul piano esterno le contraddizioni tra noi e i nostri nemici. Lo scopo della dittatura è quello di proteggere il popolo intero nel pacifico lavoro che esso continua per trasformare la Cina in un paese socialista dotato di un’industria, di un’agricoltura, di una scienza e di una cultura moderna.”

(“Della giusta soluzione delle contraddizioni nel popolo” in

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pagg.95-128)

 

La legittimazione storica viene a mancare per ogni tipo di dittatura che non sia diretta espressione del popolo e delle classi sfruttate attraverso il Partito comunista. In Cina, tuttavia, questo nel socialismo ha significato, dopo 27 anni, l’affermazione nel Partito comunista di una cricca borghese e revisionista, in qualche modo influenzata dalle categorie e corporazioni sociali più alte nella scala gerarchica della società. Al venir meno del Padre della Rivoluzione, la lotta per il potere si è tradotta nell’affermazione della borghesia, e nella trasformazione della dittatura popolare in dittatura borghese attraverso la conquista da parte di quest’ultima classe, della direzione del partito.

All’inizio dell’esperienza del socialismo, che in Cina ne costituiva la seconda esperienza storica prolungata, il problema pareva “ingenuamente” porsi nel contenere le escescenze di classe della borghesia, esaltando la partecipazione alle politica ed all’economia delle masse. Un’esperienza senza dubbio più matura, in questo, dell’esperienza sovietica, grazie alla rivoluzione culturale, ma con ciò ancora non sufficiente a risolvere il problema dell’equilibrio tra questi due termini, dittatura e democrazia proletaria e del popolo. Anzitutto c’è da dire che il secondo, la nuova democrazia (da non confondere in Italia oggi con i termini di un certo neorevisionista similtrotskista falsamente internazionalista ed italico, “Democrazia popolare”, che peraltro imita anche nei simboli la vecchia formazione di “Democrazia proletaria”), si qualifica politicamente nei confronti della democrazia borghese  dove il potere è mediato dalla competizione elettorale che per sua natura è filtrata da leggi e denari di modo da favorire l’elezione di membri della borghesia e non del popolo e del proletariato. Quindi c’è da dire che la riduzione del problema  alla sola presenza del Partito comunista, che da ruolo dirigente al servizio del popolo assume un ruolo dirigente dello Stato, si è affermata in maniera sufficientemente apprezzabile in queste prime esperienze del socialismo: il punto dolente pare proprio quello del non aver voluto o saputo distinguere la funzione della dittatura (il contenimento della controrivoluzione e la difesa dalle aggressioni esterne) da quella della Repubblica popolare, dello Stato sovietico, dei vari livelli di potere. Appiattendo le 2 in una unica, si è creato un ibrido dato da un eccessivo potere del Partito nel quale la borghesia si è via via infiltrata fino a corrodere e conquistarne il centro dirigente, indebolito sotto il profilo ideologico dalla messa in secondo piano del primato del proletariato, della classe operaia, della produzione e proprietà collettiva dei mezzi di produzione, della lotta di classe e del ruolo delle donne quali motori di spinta della trasformazione della società socialista.

La soluzione del problema dal punto di vista storico la potranno dare solo le prossime esperienze di realizzazione del socialismo.

Quello che è indiscutibile è che, posto che nulla è eterno, ogni ruolo, come il ruolo dirigente della classe operaia, che da una parte non deve essere di “facciata” e dall’altra deve essere continuamente ravvivato da criteri politici che permettano il riadeguamento, la lotta non antagonista nella classe, la creazione di nuovi punti di riferimento e di nuovi dirigenti.

Se “tutti” noi operai rivoluzionari siamo dirigenti, ciò che conta è non trasformare il nostro essere dirigenti in un passaggio di classe. Questo è avvenuto con i capi operai un po’in tutto il movimento sindacale occidentale e poi anche in URSS ed in Cina, ma qui in misura minore e con maggiore lotta di classe, causa la Grande Rivoluzione Proletaria Culturale, vera “bestia nera” di tutti gli anticomunisti.

Se il potere non dev’essere un mestiere ma solo un ruolo temporaneo perché la società socialista è in grado di riprodursi e migliorarsi, lo è anche per la continua rotazione dei ruoli dirigenti con nuovi compagni operai rivoluzionari.

Se l’eguaglianza è lo spirito del comunismo, la differenza non dev’essere lo spirito della società socialista.

Queste “belle parole”, dirà qualche diffidente, non reggerebbero alla prova della storia, poiché il nemico ci attacca, costruisce complotti, ordisce trame, si infiltra nelle nostre fila, cerca di seminare confusione tra la gente, desolidarizza, ecc.

Questo atteggiamento succube ai “complottardi” di professione, si deve correggere nel passaggio dal movimento rivoluzionario al Partito rivoluzionario, e non ha diritto alcuno di esistere nella società socialista, né tra le nostre fila oggi.

La difesa del socialismo, se è sano e non viziato dai suoi organi di potere, ossia se vive una continua dialettica tra direzione dal basso e direzione dall’alto, è interesse soprattutto delle masse. Quindi perché le masse dovrebbero “imparare a subire” di nuovo angherie e privilegi nel socialismo, se non per responsabilità del sistema di potere dato ?  Questa questione si pone in Cina per es. nelle piccole comunità, che sono la grande maggioranza del paese. Lì i dirigenti della Comune agricola, una volta che si è tornati al sistema della suddivisione privata e familiare delle terre, coincidevano con i dirigenti locali del Partito. Puniti quelli che facevano i furbi durante la GRCP, rialzavano la testa, loro e quelli come loro, dopo il “nuovo corso” revisionista di Deng tsiao-Ping, comportando degli effetti a catena di malessere, povertà, ritorno alla dipendenza secolare della donna, fuga dalle campagne e creazione di nuova disoccupazione e sottoproletariato, e quindi crimine, nelle città.

Ma si ha anche nella gestione della pianificazione. In qualche modo la struttura economica ereditata alla presa del potere e quella di nuova ricostruzione, risente dei ruoli tecnici e specialistici superiori, sicchè si viene a creare una fascia di lavoratori e dirigenti in qualche modo indispensabili alla produzione. In realtà durante la rivoluzione culturale, soprattutto a Shangai, furono rimesse in discussione queste “idee” dalla gestione collettiva della produzione da parte delle Comuni operaie che costituivano la testa del movimento di rimessa in discussione del potere borghese che cercava di riprendere spazio nel paese.

In questi ed altri casi, prevalse sempre alla fine la necessità dello Stato di un ordine alla produzione e quindi questo criterio tolse potere ed aspirazioni al movimento operaio creatosi allo stesso interno del socialismo.

Il problema allora pare questo:

1.                    via via che si costruisce il socialismo, i ruoli specialistici debbono venire specializzati il più possibile, di modo da espropriare i detentori della conoscenza in quanto detentori, e di coinvolgere il più largo numero di compagni operai rivoluzionari (rivoluzionari perché coinvolti in prima persona nel processo e non per forza di cose possessori di tessera, anche se è inevitabile che i migliori compagni confluiscano anche nel Partito, ove però debbono “contribuir” come tutti e non “comandare” come nessuno ha diritto di fare singolarmente) nella gestione non solo della produzione ma anche della ricerca e della innovazione.

2.                    il ruolo degli scienziati e della ricerca deve essere il più possibile socializzato al paese ed ai lavoratori in forma bidirezionale, di modo da impedire il sorgere di ricerche contrarie alla natura del socialismo ed opposte agli interessi generali dell’umanità, e di modo di favorire il passaggio degli scienziati alle fabbriche e degli operai alla ricerca.

3.                    il Partito deve essere la fucina e non solo la guida del Socialismo, nel senso che deve contribuire alla gestione del maggior numero di aspetti e questioni della società socialista, ma la direzione del potere è assembleare e retta dalle strutture create dalle Comuni di produzione, lavoro agricolo, studio, militari, e sociali. L’articolazione del potere non deve essere decisa dal Partito ma dall’Assemblea nazionale dei Consigli in cui il Partito è presente come unica forza politica organizzata ma non come corpo a sé.  Nella costruzione del socialismo deve prevalere verso l’esterno di ogni singolo paese la difesa del paese dalle aggressioni, ma deve prevalere all’interno la democrazia dal basso sulla dittatura. Senza organismi di massa rivoluzionari, non vi può essere Partito rivoluzionario nel socialismo. (Viceversa nella società capitalista vi possono essere delle fasi storiche di repressione in cui il Partito in costruzione fatica ad accompagnarsi a realtà di lotta di massa). La natura della costruzione del socialismo è assicurata non dal Partito, come la storia ha dimostrato, ma dal prevalere del processo di trasformazione sulla dittatura. Dittatura che deve esistere ma allo scopo di recuperare le deviazioni e di reprimere ciò che non è recuperabile alla trasformazione, e non allo scopo di sedimentare livelli di potere sempre più distanti dalle masse.

Queste ed altre lezioni storiche, e non certo le stronzate di Bertinotti e del codazzo di traditori del comunismo di cui si circonda, sono da trarre, in positivo, dall’esperienza del socialismo. Non è la “violenza” il male, perché la violenza è in ogni casa, e noi operai rivoluzionari non abbiano bisogno di cospargerci ulteriormente di cenere il capo, giacchè siamo già rovinati dal capitalismo e dai rovesci che abbiamo subito in 30 anni di revisionismo ed in 30 anni di tentativi rivoluzionari sconfitti.

Anche perché ogni sconfitta è temporanea, le classi si riproducono, e la classe operaia si ritrova ogni giorno diversa dal giorno prima a scontrarsi con un capitalismo sempre più famelico ed assassino. Il male è in quelle posizioni politiche che discettano di comunismo come fossero testamentari di verità assolute e di teorie politiche programmatiche dogmatiche, chiuse non tanto o solo al “nuovo” che avanza e deve sopprimere il “vecchio” (al che è meglio “restar giovani”) quanto alla stessa medicina di ogni formazione sociale: la critica.

Il Presidente Mao Tse-Tung questo lo aveva chiaro, e nei suoi ultimi 10 anni di vita ha favorito e sostenuto le posizioni della critica operaia, studentesco e militare alle cricche dirigenti nel Partito. Questa è stata sinora la più grande lezione che noi comunisti abbiamo avuto dalla storia del socialismo. Chi lo nega è un traditore ed un nemico della Rivoluzione proletaria.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 14 luglio 1964, all’epoca della denuncia cinese del revisionismo post-sovietico russo:

“La lotta delle classi, la lotta per la produzione e per la sperimentazione scientifca sono i tre grandi movimenti rivoluzionari dell’edificazione di un potente paese socialista. Questi movimenti costituiscono una sicura garanzia capace di permettere ai comunisti di rimanere immuni da ogni burocrazia, premunirsi contro il revisionismo e il dogmatismo, e di rimanere costantemente invincibili, una sicura garanzia capace di consentire al proletario di unirsi alle larghe masse lavoratrici di praticare una dittatura democratica. Se, in assenza di questi movimenti, si permettesse ai proprietari fondiari, ai contadini ricchi, ai controrivoluzionari, ai cattivi elementi e ai geni malefici di scatenarsi; se nel contempo i nostri quadri dovessero chiudere gli occhi, se un certo numero di essi giungessero a non distinguere tra noi e il nemico, e collaborassero col nemico, lasciandosi da esso corrompere, demoralizzare e disunire; se i nostri quadri fossero trovati nel campo nemico o se il nemico dovesse riuscire a infiltrarsi tra i nostri ranghi; e se numerosi i nostri operai, contadini, intellettuali si lasciassero a loro volta affascinare o intimidire dal nemico, in tutti questi casi poco tempo passerebbe, forse qualche anno o un decennio, al massimo qualche decennio, prima che incredibilmente una restaurazione controrivoluzionaria avesse luogo su scala nazionale, che il partito marxista-leninista diventasse un partito revisionista, un partito fascista, prima che tutta la Cina cambiasse colore.”

(citato in “Il pseudocomunismo di Kruscev e le lezioni storiche che esso impartisce al mondo”,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.21, pagg.219-258)

 

Come possiamo vedere, come dicevamo prima, ciò che Mao aveva capito e difeso, e pure cercato di favorire, era la lotta di classe dalla parte dei deboli, degli oppressi, degli sfruttati, della classe operaia e della classe contadina. È ciò che fecero Mao Tse-Tung (ed i suoi compagni e compagne) lungo tutta la sua esistenza. Al suo ottimismo, il veleno del revisionismo in URSS portò capacità di prefigurare scenari diversi e negativi. Oggi in effetti le sue parole che abbiamo letto sopra si sono avverate. In Cina sventola ancora la bandiera rossa, ma per ingannare il popolo, non per difenderlo. Comunque la lotta non è finita. Durerà ancora 10.000 anni, contro i revisionisti ed i borghesi di ogni colore e risma. A Tien An-Men nel 1990 questo era sceso in piazza: il movimento della lotta di classe operaia e degli studenti, e non un generico e liberal-democratico movimento di rinnovamento di studenti piccolo borghesi. Innanzitutto questo è un dato di fatto storico, che pure in certi casi ha trapassato le maglie del deformante filtro dei media occidentali e delle sinologhe rincoglionite passate al servizio della borghesia. Secondariamente occorre rilevare che la democrazia, quando a rivendicarla sono le masse, terrorizza innanzitutto i cosiddetti “democratici”. La oscura situazione di oggi non è però stata il frutto della GRCP, bensì del lavorio del revisionismo, e del mancato avvio della lotta armata rivoluzionaria per la riconquista del potere nel partito e nella classe operaia e contadina in Cina.

Il revisionismo ha un’identità ?  è possibile fare un’identikit del revisionismo ? Mao in questo ci aiuta nelle sue indicazioni a correggere gli errori  e nella critica del liberalismo, scritta non a caso nel periodo rivoluzionario della Lunga Marcia e delle elaborazioni filosofiche sulla pratica e sulla contraddizione.

Se vogliamo fare un identikit del revisionismo, dobbiamo solo guardarci intorno. Gran parte dei sedicenti comunisti italiani con ruoli dirigenti o cattedre universitarie, lo sono. Togliattiani rivendicati o suoi figliocci. E di quelli che restano buona parte sono trotskisti.

Togliatti non ebbe dubbi dall’espellere quanti si opposero alla “svolta di Salerno”, né dal richiamare all’ordine i compagni insorti nel luglio 1948, né nel concedere la più rapida amnistia politica del mondo nel II dopoguerra.

Cionondimeno non era un “liberale”, era un revisionista.

Ed infatti fu il partito del suo giovane delfino Berlinguer a “farsi stato” per primo in Europa tra i partiti comunisti occidentali, ed a rompere persino con ciò che rimaneva dell’URSS, ad accettare sottobanco la NATO, mentre la FGCI era autorizzata a declamare l’eroismo del Che, e a sostenere la repressione del movimento rivoluzionario. Accettando uno Stato di emergenza che ha prodotto migliaia di morti sparati alla schiena in 30 anni, e denigrando i comunisti, li anarchici ed i rivoluzionari mescolando le  loro azioni alle stragi fasciste, spiando i gruppi alla sua sinistra e consegnando le loro informative e testimoni ai magistrati perché incarcerassero operai, studenti, docenti, avvocati.

Anche la bandiera di Togliatti e Berlinguer era rossa. Ma a strizzarla bagnava di nero il selciato, e non è la nostra, perché questi dirigenti hanno tradito la rivoluzione e ingannato le masse sin dalla guerra partigiana, cui hanno impedito lo sbocco rivoluzionario che le era naturale conseguenza, storpiando gli insegnamenti della Internazionale Comunista.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 23 giugno 1950:

“L’esercizio della dittatura democratica popolare implica due metodi. Nei confronti dei nemici, noi applichiamo quello della dittatura; in altri termini: per tutto il tempo che sarà necessario, noi non permetteremo loro di partecipare all’attività politica, li obbligheremo a sottomettersi alle leggi del governo popolare, li costringeremo a lavorare con le loro mani affinché si trasformino in uomini nuovi. Per contro, nei confronti del popolo, non il metodo della coercizione, bensì il metodo democratico viene applicato; in altri termini: il popolo deve poter partecipare all’attività politica; occorre applicare, nei suoi confronti, i metodi democratici di educazione e di persuasione, invece che obbligarlo a fare questa o quest’altra cosa.”

(Discorso di chiusura alla II sessione del  I Comitato nazionale della Conferenza consultiva del Popolo cinese,

“Essere dei veri rivoluzionari”,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.11, pagg.211-214)

 

La questione della democrazia si pone insomma nei termini che ai nemici della democrazia di tutti viene impedito di nuocere per il tempo necessario ad un ripensamento (il termine “rieducazione” appare quantomeno superato ai nostri occhi rivoluzionari ed autenticamente libertari (ossia comunisti anti-revisionisti e non solo o tanto “anarchici”): significherebbe che la società è talmente pulita da poter “educare” le persone, il che certo non è possibile se non con la lotta e la mobilitazione di massa, dopo pochi decenni di socialismo).

Trasformare le forme ed i contenuti del processo educativo in un’armonia di tutti e nel rispetto di ciascuno richiede un periodo di tempo e di disintossicazione morale etica e culturale delle masse e delle classi tutte (comprese ovviamente –ma non unicamente- quelle nella società borghese dominanti) molto lungo.

Ovviamente ai nemici dichiarati, a quelli che si macchiano di delitti di sangue contro il popolo, non può essere lasciato alcuno spazio nella società socialista, spazio che invece gli è concesso, con molta pubblicità (basti pensare ai serial killer come i nazistelli di Ludwig nel nostro paese), nella società borghese.

Invece nell’ambito del popolo, delle organizzazioni rivoluzionarie, della lotta di classe, discriminante deve essere il rispetto del metodo democratico in tutte le questioni. Per questo non vi può essere socialismo senza guida rivoluzionaria del Partito comunista, senza dittatura dei Soviet (Consigli del Popolo) a tutti i livelli, senza condivisione di ogni bene a livello sociale di modo da impedire il riformarsi di quegli egoismi prettamente economici che ammorbano tutti gli altri rapporti sociali.

Questo è ciò che intendiamo per differente maniera di trattare le questioni nel socialismo, e quindi, nell’agire e nella lotta per la trasformazione verso il comunismo, anche nella situazione attuale, nel nostro ambiente sociale e politico. Senza ovviamente dimenticare che agli opportunisti occorre sempre opporre la massima forza d’urto.

 

Il 6 novembre 1957 il Presidente Mao Tse-Tung ci disse:

“Il popolo cinese, sotto la direzione del Partito comunista, sta conducendo un vigoroso movimento di rettifica, allo scopo di conseguire un rapido successo per la causa del socialismo in Cina, e su una base ancora più solida. Si tratta di risolvere correttamente le diverse contraddizioni che esistono effettivamente nel popolo e che nell’ora attuale esigono di essere risolte. A questo fine, nell’ambito di tutto il nostro popolo è stato organizzato un grande dibattito, un dibattito diretto e libero, appoggiato sui fatti e sugli argomenti, nelle città come nelle campagne, e riguardante le questioni della via socialista e della via capitalista, del regime fondamentale e delle importanti misure dello Stato, dello stile di lavoro dei quadri del Partito e del governo, e del benessere del popolo.  Si tratta di un movimento socialista attraverso il quale il popolo si educa e si riforma da sé.”

(“Intervento alla riunione del Soviet supremo

dell’URSS per la celebrazione del 40° anniversario

della grande Rivoluzione socialista di ottobre”,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.11, pagg.151-156)

 

Il 15 settembre 1956 il Presidente Mao Tse-Tung affermò:

“Il nostro lavoro di grandiosa edificazione ci pone di fronte a un compito estremamente arduo.  Sebbene i comunisti siano in Cina più di dieci milioni, essi rappresentano soltanto una minima parte della popolazione del paese. Nei nostri organi di Stato e nell’insieme delle attività della nostra società, la mole del lavoro richiede la collaborazione dei non-comunisti. Se noi non sappiamo appoggiarci alle masse popolari, se non sappiamo collaborare coi non-comunisti, non ci sarà possibile condurre a buon fine il nostro lavoro. Pur rafforzando l’unità del Partito, dobbiamo continuare a consolidare l’unione delle varie nazionalità, delle classi democratiche, dei partiti democratici e delle organizzazioni popolari, a consolidare e ad allargare il nostro fronte unico democratico popolare; in tutti i settori del nostro lavoro, dobbiamo porre rimedio a tutto ciò che compromette l’unione tra il Partito e il popolo.”

(“Discorso inaugurale dell’VIII Congresso 

del Partito comunista cinese”,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.13, pagg.201-202)

 

Se vogliamo riflettere alla miserabile ed indegna situazione che viviamo nel nostro paese, basta evitare la ipocrisia cattolica e la superstizione mistificante che attribuisce ogni disgrazia al caso; su tutto cala il fatalismo. Ma se vogliamo la verità, dobbiamo appunto riflettere, nelle famiglie, nelle palazzine, nei quartieri, nei posti di lavoro, nei paesi e nei luoghi comuni della vita di ogni giorno (in tram e in treno, per strada e nei negozi), della collettività del dramma sociale; in questo modo comprenderemo che in ogni paese come il nostro, afflitto dal dramma del capitalismo, l’assenza del Partito della rivoluzione pesa ogni giorno di più come un macigno.

È un po’ come andare a scuola a cinque anni ed essere orfani. Non ci sono certezze.

Il vuoto offerto da vent’anni di sconfitte nel nostro paese obbliga i comunisti e la classe operaia a decisioni grandissime e a sforzi di chiarezza ineludibili, cui certo non sopperiscono alcune episodiche e periodiche azioni combattenti.

Il problema non  è certo quello di “rappresentare” la classe nel palazzo degli orrori della classe politica e dei servizi segreti di Stato, bensì quello di avviare e dirigere un processo rivoluzionario di massa, adeguato nei contenuti e programmi, modalità e forme di espressione, non più solo al “livello” di scontro dato dalla passata fase, bensì ai problemi e contraddizioni concrete che le masse subiscono e sopportano quotidianamente (con notevole e conseguente attuale perdita di fiducia nella Rivoluzione).

Questo non significa in alcun modo però dare dignità rivoluzionaria a posizioni attendiste o filo-parlamentaristiche, che dimenticano quello che è stato in realtà il ruolo del PCI nel nostro paese e si limitano a volerlo ricostruire.

Il partito che occorre ricostruire, come minimo è datato a prima dell’arrivo di Togliatti in Italia nel 1943, il che, date le notevoli differenze tra allora ed oggi, è abbastanza limitato. Infatti quando si analizza la politica di un Partito comunista, non si può tergiversare attorno alla linea e alla politica della sua direzione, non si può guardare quando comoda alle masse che lo seguono e quando comoda alla linea sbagliata. Il PCI ha smesso si essere rivoluzionario quando ha cambiato nome e da PC d’Italia sezione italiana della Internazionale Comunista ha assunto il nome di PCI. Ma non per questo, bensì per ciò che rappresentava la svolta togliattiana.

Il Partito che occorre costruire è di avanguardia e interno alla classe, un partito che non si sostituisce alle masse ed il cui carattere combattente deve essere chiaro alla classe, perché senza la lotta non vi può essere alcun processo rivoluzionario.

Per questo il problema non è solo di demarcarsi dai falsi comunisti parlamentaristi, che pure in alcune cose sono utili alle lotte sociali, data la debolezza della situazione nei paesi del “centro imperialista”, ma anche di evitare di farsi criminalizzare; eppure il problema fondamentale rimane quello della linea politica, e dato che essa deve discendere dall’analisi concreta della situazione concreta, se si sbaglia analisi si compiono solo una catena infinita di errori-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4.La giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il27 febbraio 1957:

“Siamo in presenza di due tipi di contraddizioni sociali: le contraddizioni tra noi e i nostri nemici e le contraddizioni in seno al popolo. Si tratta di due tipi di contraddizione completamente diversi.” 

“Per avere una giusta conoscenza di due tipi di contraddizioni  - contraddizioni tra noi e i nostri nemici e contraddizioni nel popolo -   è innanzitutto necessario precisare che cosa occorra intendere per “popolo” e che cosa occorre intendere per “nemici”.   (…)  “Nella fase attuale, che è quella dell’edificazione socialista, tutte le classi e tutti gli strati sociali, tutti i gruppi sociali che appoggiano questa edificazione, e vi partecipano, formano il popolo, mentre tutte le forze sociali e tutti i gruppi sociali che si oppongono alla rivoluzione socialista, che sono ostili all’edificazione socialista o cercano di sabotarla, sono i nemici del popolo.”

“Nelle condizioni attuali del nostro paese, le contraddizioni nel popolo includono le contraddizioni in seno alla classe operaia, le contraddizioni tra i contadini, le contraddizioni tra gli intellettuali, le contraddizioni tra la classe operaia e i contadini, le contraddizioni che oppongono gli operai e i contadini agli intellettuali, le contraddizioni che oppongono gli operai e gli altri lavoratori alla borghesia nazionale, le contraddizioni in seno alla borghesia nazionale, ecc.   Il nostro governo popolare è l’autentico rappresentante degli interessi del popolo,  esso è al servizio di quest’ultimo; ma anche tra esso e le masse si danno contraddizioni.   Queste contraddizioni sono,  in particolare, quelle che esistono tra gli interessi dello Stato, della collettività e dell’individuo, tra la democrazia e il centralismo, tra i dirigenti e coloro che sono diretti, tra certi lavoratori dello Stato che applicano uno stile burocratico di lavoro e le masse popolari.  Anche qui si tratta di contraddizioni nel popolo.  In senso generale, le contraddizioni nel popolo si fondano sulla fondamentale identità degli interessi del popolo.”

“Le contraddizioni tra noi e i nostri nemici sono contraddizioni antagonistiche.  In seno al popolo, le contraddizioni tra i lavoratori non sono antagonistiche e le contraddizioni tra la classe sfruttata e la classe sfruttatrice presentano, oltre che un aspetto antagonistico, un aspetto non antagonistico.”

“Come stabilire, nel quadro della vita politica del nostro popolo, se le nostre parole e i nostri atti sono giusti o errati ?   Noi consideriamo che, secondo i principi della nostra Costituzione e in conformità con la volontà della grande maggioranza della nostra popolazione e coi programmi politici proclamati in diverse occasioni dai nostri partiti politici, è possibile formulare, nelle loro linee generali, i criteri che seguono:

È giusto

1) ciò che favorisce l’unione del popolo delle diverse nazionalità del nostro paese e non ciò che provoca la divisione in seno al medesimo;

2) ciò che favorisce la trasformazione e l’edificazione socialiste e non ciò che nuoce a questa trasformazione e a questa edificazione;

3) ciò che favorisce il rafforzamento della dittatura democratica popolare e non ciò che mina o indebolisce questa dittatura;

4) ciò che favorisce il rafforzamento del centralismo democratico e non ciò che lo mina o lo indebolisce;

5) ciò che favorisce il rafforzamento della direzione del Partito comunista e non ciò che frena o indebolisce questa direzione;

6) ciò che favorisce la solidarietà internazionale socialista e la solidarietà internazionale di tutti i popoli pacifici e non ciò che pregiudica queste due forme di solidarietà.

Di questi sei criteri, i più importanti sono quello della via socialista e quello del ruolo dirigente del Partito.”

(“Della giusta soluzione delle contraddizioni

in seno al popolo”,  27 febbraio 1957,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pagg.95-128)

L’universalità dei concetti di questi passaggi e di quelli che seguiranno in questo capitolo non ha bisogno di commento, e delinea un metodo di chiarezza e di collettivismo con il quale Mao ha cercato di innovare la politica comunista dopo l’avvento del revisionismo in URSS. In qualche modo, è una risposta rivoluzionaria al rapporto del traditore Kruscev al XX congresso.

 

Nello stesso testo del 27 febbraio 1957 il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto:

“L’eliminazione dei controrivoluzionari è una lotta che rientra nell’ambito delle contraddizioni tra noi e i nostri nemici. In seno al popolo, esistono persone che vedono questo problema in un modo un po’ diverso.  Due categorie di persone hanno dei punti di vista che divergono dai nostri. Coloro che hanno un punto di vista di destra non fanno differenza tra noi e i nostri nemici, scambiano i nemici per uomini nostri. Considerano amici persone che le larghe masse considerano nemiche.  Coloro che hanno un punto di vista di sinistra amplificano il campo delle contraddizioni tra noi e i nostri nemici al punto di farvi rientrare anche certune delle contraddizioni nel popolo; essi considerano controrivoluzionari persone che in realtà non lo sono. Questi due punti di vista sono errati. Né l’uno né l’altro permettono di risolvere la questione dell’eliminazione dei controrivoluzionari, né di valutare correttamente i risultati del nostro lavoro in questo senso.”

(“Della giusta soluzione delle contraddizioni

in seno al popolo”,  27 febbraio 1957,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pagg.95-128)

 

Questo passaggio è molto importante e delinea la critica, presente anche nella rivoluzione culturale, alle tendenze assolutiste “di sinistra”, che di fatto sono espressione di un modo di vedere fanatico e privo di quella dialettica della contraddizione la cui assenza determina conflitti ed arretramenti molto gravi quando si manifesta.  Mao critica la destra, perché vede nei nemici (per esempio nei membri apparentemente accondiscendi dei “servizi segreti” del regime borghese) delle persone con cui poter stringere accordi, e la “sinistra” estrema, perché nega al partito il diritto di gestire nel migliore dei modi le proprie contraddizioni interne.

L’assenza di una corretta comprensione di queste cose ha comportato, soprattutto nei primi anni ’80 in Italia nella nostra esperienza rivoluzionaria, degli sconquassi e delle manifestazioni immonde ed estranee al metodo rivoluzionario dei comunisti.

Di questo argomento abbiamo già parlato a pag.74.

Vi è poi la questione della unità nazionale cinese, che non è interesse qui mettere in discussione, anzi, ma che non deve essere letta come “principio”  buono per tutti i paesi. In Spagna, per esempio, vi sono molte nazionalità oppresse da un regime capitalista che dà continuità ad una secolare oppressione monarchica dei Paesi Baschi, Galizia, Asturie, Catalogna, ecc.

Ma anche in Italia, paese geograficamente unitario ma storicamente diviso e frammentato per millenni, vi sono nazioni oppresse come la Sardegna, la Sicilia (duplice oppressione, nazionale e delle consorterie mafiose di  borghesia nera eredi dei latifondisti e del potere clericale), il Sud Tirolo, e regioni ed aree con specificità e lingue proprie, che nell’unità nazionale non hanno avuto certo più spazio per le esigenze più profonde delle classi oppresse. Per cui questa questione va rimandata al concetto, soprattutto ora che l’Europa dei padroni va trasformandosi in una Unione Europea sempre più invasiva ed oppressiva, revanscista e reazionaria, dell’Europa dei popoli ossia delle varie aree e regioni che debbono tornare indipendenti entro una entità in trasformazione progressista verso il socialismo e non certo venire annientate ulteriormente vedendosi valorizzate solo negli aspetti a discapito del popolo (devolution).

Un altro aspetto ci interessa qui evidenziare ed è quello relativo al concetto di società. Nel nostro paese, città e campagna oramai si sono fuse in una distribuzione abitativa sempre più invasiva del territorio. Oramai l’elemento dominante non pare nemmeno più la terra, l’erba, il sole, ma invece le strade asfaltate.  In una società del genere, il concetto di popolo risente di un deficit sociale pesantissimo, e questo non a caso, perché i nuovi feudatari sono vassalli d’un sistema fondato sul potere speculativo dell’immaginario e non sul concreto bisogno quotidiano. Questo comporta un allontanamento della base sociale oppressa dai contesti collettivi (al di fuori dei posti di lavoro dove ancora resistono), perché l’insieme degenerativo della società borghese nega l’evidente e cerca di ricondurre tutto a questioni di rapporti personali, familiari, e di piccole cerchie.  Si è perso cioè il nesso tra le piccole cerchie, strutturalmente necessarie alla convivenza, e le altre entità nella società.  All’individualizzazione si somma così la schizofrenia di una società sempre più veloce ed oppressiva.  Purtroppo questa deviazione è strutturalmente riuscita a radicarsi in Italia più che altrove (un po’ come negli USA), nonostante sia uno “scherzo” della natura dei rapporti di produzione.  Cioè strutturalmente nel nostro paese l’egoismo quale aspetto dominante e necessario paradossalmente alla sopravvivenza lo è molto di più di quanto non sia il lavoro nella generalità dei paesi capitalistici.  Questo perché è dominante il banditismo in ogni aspetto sociale.  Facciamo l’esempio del governo, che deve “reprimere” il lavoro nero.  Ossia non dovrebbe reprimere l’esistenza di attività lavorative, magari in subappalto, dalla sua stessa politica generate,  bensì solo il mancato rispetto delle regole e leggi di rispetto dei lavoratori.  Se capita però che viene scoperto che un’attività di lavoro è gestita in barba all’INPS ed alla previdenza sociale infortunistica, a farci le spese non sono tanto i gestori dell’attività, piccoli capitalisti, bensì gli extracomunitari che, se clandestini, anziché venire regolarizzati come lavoratori iper-sfruttati, vengono espulsi dal paese.  Questo perché, in un paese dove i diritti sono negati, finanche quello alla salute, alla casa e ad una esistenza dignitosa, per i cittadini stessi originari, il lavoro nero è quasi quasi desiderato da fasce sociali di emarginazione dette “deboli” che nel guadagno extra-fiscale trovano il compenso allo sfruttamento impostogli socialmente. 

Nel nostro paese così si assiste ad una crescente internazionalizzazione lavorativa, quasi che potessimo diventare d’un tratto il PRIMO processo rivoluzionario in occidente a colmare il vuoto tra il capitalismo ed il comunismo e a fare d’un tratto un balzo in avanti, grazie alle particolari condizioni che lo rendono molto ricco e produttivo. INVECE si assiste ad una crescente desolidarizzazione sociale, a pedofilia diffusa, alla cocaina che sostituisce la magnesia sul tavolo dei professionisti, al sessismo isterico di chi s’accorge della grettezza e nefanda negazione del piacere tra le cose che la cultura cattolica d’origine ci ha consegnato, ed il tutto in un vortice di armi, controlli e telecamere, microspie e controlli mentali che nessuno confessa, di pazzia, suicidi e stragi in famiglia che in altri paesi non hanno riscontri così omogenei e distribuiti equamente tra tutti i ceti sociali (meno i ricchi, a cui tutto è permesso e a cui ogni cosa ha una soluzione). Questo comporta quindi che è molto più difficile all’organizzazione sociale del proletariato  . Quindi sorgono teorie e tendenze che cercano di “aggirare” la questione del conflitto di classe.

Il conflitto di classe mosso dal proletariato è positivo per l’insieme della società perché risveglia e smuove, crea e distrugge, ma in positivo, obbligando le concezioni borghesi e privatistiche ad asserragliarsi sempre più nella propria diversità blindata.  Invece il conflitto nascosto delle società segrete, dei circoli viziosi e degli intrighi è negativo perché ricatta, uccide, annienta ed isterilisce la società negando spazi e bisogni.  Per questo non vi può essere processo rivoluzionario alcuno che affermi assolutistici principi senza avere la capacità di valorizzare appieno le contraddizioni reali all’interno di un sistema di concezioni che deve essere riconquistato.

Le società di mutuo soccorso e le case del popolo, le leghe ed i primi sindacati, rappresentarono l’Identità classista contro la miseria e l’oppressione. Era il mondo contadino e quello dei primi operai di fabbrica che si esprimeva.

Oggi questo esiste ancora, ma in forma normata da strutture borghesi, e non si dà espressione ai lavoratori, ma solo agli aggettivi sessuali od edonistici dei primattori. Questo fa parte delle contraddizioni antagonistiche, ossia i lavoratori sono succubi anche di quelle parti di classi medie che sposano ed ammirano le peggiori manifestazioni della società borghese.  Per questo il monopolio dei mezzi televisivi, per esempio, non è tanto o principalmente quello del Cavaliere, come vorrebbe farci intendere certa sinistra, bensì più in generale, quello della borghesia imperialista e dei loro valletti, soubrette e buffoni imbellettati, che nega spazio e valore alle espressioni concrete della società anche nei contenuti di costume, cercando di relegare nell’immaginario collettivo (colossale opera di mistificazione) in posizione subordinata o “scomparsa” (di qui le false tesi della scomparsa della classe operaia e le corrispondenti forme allarmistiche con cui i servizi di regime reagiscono alle espressioni più mature e conflittuali di lotta).

 

Nell’agosto 1937, nell’affrontare filosoficamente materialisticamente la questione, il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto:

“Le contraddizioni che sono qualitativamente diverse non possono essere risolte se non mediante metodi qualitativamente diversi. Così, la contraddizione tra il proletariato e la borghesia si risolve mediante la rivoluzione socialista; la contraddizione tra le masse popolari e il regime feudale, mediante la rivoluzione democratica; la contraddizione tra le colonie e l’imperialismo, mediante la guerra rivoluzionaria nazionale;  la contraddizione tra la classe operaia e i contadini nella società socialista, mediante la collettivizzazione e la meccanizzazione dell’agricoltura; le contraddizioni in seno al Partito comunista si risolvono mediante la critica e l’autocritica; le contraddizioni tra la società e la natura, mediante lo sviluppo delle forze produttive. (…) Risolvere contraddizioni diverse mediante metodi diversi è un principio che i marxisti-leniniste devono osservare rigorosamente.”

(“A proposito della contraddizione”, agosto 1937,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.5, pagg.183-230)

 

Il 27 febbraio 1957 il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto ancora:

“Poiché le contraddizioni tra noi e il nostro nemico sono diverse dalle contraddizioni nel popolo, esse devono venir risolte mediante metodi diversi. In sostanza si tratta, per il primo tipo di contraddizioni, di stabilire una distinzione chiara tra il nemico e noi, e, per il secondo tipo, tra il vero e il falso.  Beninteso stabilire una distinzione chiara tra il nemico e noi è, insieme, distinguere il vero e il falso.  Così, a titolo d’esempio, il problema di sapere chi ha ragione e chi ha torto – noi oppure le forze reazionarie interne ed esterne, come l’imperialismo, il feudalesimo e il capitale burocratico –  è insieme un problema di distinzione tra il vero e il falso, ma è problema diverso, per sua natura, dai problemi intorno al vero e al falso che si pongono nell’ambito del popolo.”

“Tutte le questioni di ordine ideologico, tutte le controversie in seno al popolo non possono essere risolte se non mediante metodi democratici, metodi di discussione, di critica, di persuasione e di educazione; non si possono risolvere mediante metodi coercitivi e repressivi.”

“Per poter esercitare un’attività produttiva efficace, per studiare con successo e per vivere in condizioni in cui regna l’ordine, il popolo esige dal suo governo, dai dirigenti della produzione e dai dirigenti delle istituzioni culturali ed educative, che vengano emessi ordini amministrativi appropriati e provvisti di un carattere vincolante.  Il buon senso dice che senza questi ultimi sarebbe impossibile mantenere l’ordine nella società. Nella soluzione delle contraddizioni nel popolo, gli ordini amministrativi e i metodi di persuasione e di educazione s’integrano a vicenda.  Occorre che gli ordini amministrativi emessi per mantenere l’ordine nella società siano insieme accompagnati da un lavoro di persuasione e di educazione, perché il mero ricorso agli ordini amministrativi è, in numerosi casi, del tutto inefficace.”

(“Della giusta soluzione delle contraddizioni

in seno al popolo”,  27 febbraio 1957,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pagg.95-128)

 

La gratuità dell’offesa perenne compiuta verso i diritti del popolo da 45 anni di governi democristiani e comunque aventi al centro il partito democristiano (1948-1992), l’esempio di latrocinio e di irrisione ai diritti ed all’equità formale delle leggi, hanno generato una corrosione profonda non solo nelle classi dominanti ma in tutta la società. “Tangentopoli” non ha risolto, ma solo “gestito” a livello di mascherata, questo problema, che nel nostro paese costituisce un carattere genetico specifico dato da una cultura di bottega e sottobosco governativo radicata in secoli di dipendenza nazionale.  Sicché è quasi commuovente leggere del “buon senso” e dell’ “ordine” in una società che è come una palude di sotterfugi qual è l’Italia di oggi.  Tuttavia la stragrande maggioranza del popolo e delle classi lavoratrici è ancora legata proprio a quel buon senso che viene dalla sapienza e dall’esperienza degli sfruttati.  È un buon senso ed una tensione all’onestà che non deve spaventare i rivoluzionari, ma anzi renderli coscienti che l’origine di ogni trasformazione fa proprio leva su di essi.

Così come Mao Tse-Tung nel 1957 rimaneva, 8 anni dopo la rivoluzione, fiducioso che in un paese in via di trasformazione socialista i metodi della persuasione e dell’educazione fossero sufficienti, nel 1966, allo scatenarsi della lotta di classe e politica nella Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, mantenendo questo aspetto vi affidava forza e valore dentro il conflitto e l’assalto al potere così come nella ridiscussione di ogni ambito collettivo e sociale.

Per questo aveva fiducia. Non nei miti, ma nelle forze di base della società.  Ciò che non aveva a sufficienza compreso era forse il carattere totalmente venefico ed incurabile del revisionismo e di alcune sue forme mascherate. Il revisionista è caparbio e vanitoso per definizione.  Assume il proprio potere come elemento statico e perenne della “rivoluzione”.  Non disdegna di essere celebrato e vezzeggiato.  Abbisogna di controllare tutto e tutti per poter “gestire” le varie competenze. In fin dei conti il revisionista-tipo è un vassallo interno alla classe operaia, un principino dittatore che vive sugli allori.

Se nemmeno Mao Tse-Tung con la GRCP è riuscito a contenere questa tendenza, significa che essa è radicata nella cultura plurisecolare dell’oppressione, significa che i tempi della politica e quelli dei processi storici sono a volte diversi, significa che ogni defaiance nella dirittura politica classista delle avanguardie, ogni loro debolezza, ogni perdita di tempo e di occasioni, trova valore negativo nell’uso che di esse fa il potere.

Molte nostre esperienze, per esempio il generale riflusso del movimento antagonista dopo la sconfitta dell’avanguardia combattente nel gennaio 1982, la scandalosa messinscena dell’ottobre 1982 a Torino, la desolidarizzazione tra i prigionieri, la divisione dell’autunno 1984 nell’avanguardia rivoluzionaria italiana, così come la storia della azione contro la base americana di Aviano del 1993, hanno sofferto queste conseguenze. Tanto più alto quindi il tiro della rivoluzione viene alzato, tanto più deve esserci un profondo retroterra che ne sappia assorbire gli effetti. Il rischio è sempre, anche nell’avanguardia, di un riflusso nel revisionismo, che, pieno di luoghi comuni e basi ideologiche generiche, “tutto sistema e conforma” senza poter determinare avanzamenti.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto ancora, il 27 febbraio 1957:

“L’ideologia della borghesia e quella della piccola borghesia troveranno certamente modo di manifestarsi. Per certo, queste due classi si ostineranno ad affermarsi con tutti i mezzi nelle questioni politiche e ideologiche. È impossibile che avvenga altrimenti. Noi non dobbiamo ricorrere a metodi repressivi per impedir loro di manifestarsi: dobbiamo permetterglielo, e nello stesso tempo dobbiamo discutere con queste classi e criticare in modo adeguato le loro idee. È fuori dubbio che noi dobbiamo sottoporre a critica ogni specie di idee errate.  Certamente, non si può rinunciare a criticare le idee errate e guardarle mentre si diffondono ovunque e conquistano il mercato –ogni errore va criticato, ogni erba velenosa va combattuta-, ma questa critica non dev’essere dogmatica; occorre scartare il metodo metafisico e fare tutto il possibile per applicare il metodo dialettico. La critica richiede l’analisi scientifica e un’argomentazione esaustiva e convincente.”

(“Della giusta soluzione delle

contraddizioni  in seno al popolo”,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pagg.95-128)

 

Spesso ci troviamo a dover affrontare questioni difficili, a dover spiegare cose incredibili che a noi stessi paiono impossibili. Anche in queste occasioni si manifestano due maniere di pensare assolutamente divergenti. Quella di chi si fa trasportare dagli eventi e quella di chi comunque rimane ancorato ai fatti.  I fatti non sono la deduzione dei fatti che alcuni operano, ma i fatti in termini oggettivamente riscontrabili. Analizzando un fatto non possiamo prescindere dai fatti che lo hanno generato e non possiamo limitarci ad una semplice contestualizzazione di comodo. Se per qualche motivo falsifichiamo o mistifichiamo un solo aspetto dei fatti che hanno preceduto un fatto che diviene oggetto di discussione, tutta la analisi e la interpretazione ne risulterà scorretta.  Come in un tassello dell’univocità dell’esperienza umana, un solo frammento diverso può produrre risultati completamente opposti, così nell’analisi di qualsiasi fatto non possiamo seguire metodi borghesi ed unilaterali, ma dobbiamo essere compagni fino in fondo.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto nel maggio 1942 nella base rossa di Yenan, nelle conferenze sulla cultura:

“Occorre criticare i difetti del popolo, ma occorre anche farlo partendo veramente dalla posizione del popolo; la nostra critica dev’essere ispirata dall’ardente desiderio di difenderlo e di educarlo. Trattare i propri compagni come si tratta il nemico significa adottare la posizione di quest’ultimo.”

(“Interventi alle conversazioni sulle questioni

della letteratura e dell’arte a Yenan”,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.8, pagg.167-192)

 

Anche questo concetto lo abbiamo già affrontato. Quello che è importante notare è che in innumerevoli testi maoisti viene ripetuto il valore etico e di principio di questo rifiuto del cannibalismo nel campo comunista. Eppure tante cose non erano di “dominio pubblico” come parve all’occidente dopo le “rivelazioni” della cricca revisionista del PCUS.  Invece esisteva ancora la Terza Internazionale, ed il dibattito era molto più complessivo ed approfondito di quanto non paia a chi rimastica le riletture sintetizzate dei togliattiani dei testi letti vent’anni prima di Kruscev.  Quindi, se il più grande rivoluzionario del secolo successivamente a Lenin aveva questa premura, non era per puro diligentismo. La società cinese, come l’Italia di oggi, era (ed è) molto violenta e litigiosa, le persone vi si ammazzavano per un nonnulla ?  In Cina le cose negli anni ’40 non erano proprio come nell’Italia del XXI secolo. Allora in Cina la vita delle persone che non appartenevano alle gerarchie feudali non contava più di una ruota di un carro, anzi meno. Ed in Italia la vita di una prostituta, di un ragazzo marocchino o di un bambino kurdo vale oggi meno del costo di una bara di metallo, dato che spesso vanno in pasto ai pesci senza che questo crei grandi problemi alle capitanerie di porto ed alle “golette” dell’esercito che avevano scambiato un vecchio catorcio per un pezzo di legno.  Il fatto è che c’era e c’è una violenza meno appariscente e più radicata, che Mao ben conosceva nel popolo contadino cinese, che non riguardava solo i rapporti tra dominanti e dominati, ma principalmente la condizione della donna, lo sfruttamento dei bimbi, le rivalità tra fratelli, ecc.  Quindi è ovvio che in una società del genere, e non fa molta differenza in questo la società italiana del dopoguerra né quella sradicata dal principio cardine del rispetto della fatica e della dignità delle persone, di oggi, questo genere di rapporti attanagliassero anche i comunisti: in Italia fu così in maniera esacerbata, per colpa del revisionismo e dei falsi comunisti che imponevano la loro presenza con la copertura delle polizie politiche (i famosi katanga a Milano, per esempio, erano il prodromo della gepeù dentro i movimenti di contestazione, per poi venire a farci le tiritere vent’anni dopo sul pacifismo, da Capanna), che generarono una cultura vera e propria del “machismo” dei duri e puri che punivano le posizioni ostili. In qualche modo questi criteri si diffusero anche nelle frazioni non genuinamente marxiste-leniniste del movimento di classe, principalmente in Prima linea ed in spezzoni dell’Autonomia, generando livelli su livelli e contese su contese. Ma di ciò, in realtà, non fu esente nessuno, e lo si vide con l’aggravarsi del conflitto armato contro lo Stato, quando la repressione  e la guerra sporca di regime resero più limitati gli spazi politici di espressione alla classe operaia ed all’autonomia di classe, e quindi spinsero ad una “specializzazione” estranea alle masse dello scontro. In quel contesto, i conflitti, specie nelle carceri, tra prigionieri politici di tendenze diverse e anche con comportamenti tra loro contraddittori, divennero la focalizzazione centrale del livello di “tenuta politica” dei militanti, portando a disgrazie ed a gravi deviazionismi, quindi al massivo movimento della dissociazione con tutto il suo portato di rovesci. Alla base di tutto, la nulla considerazione di parole maoiste come quelle che abbiamo letto qui sopra, la mancata considerazione e la mancata assimilazione di principi del patrimonio del Movimento Comunista Internazionale; per questo, la colpa è storicamente del revisionismo: perché lavorò per impedire alla cultura rivoluzionaria di sedimentarsi lasciando che si rivolgesse in mille rivoli.

Quei mille rivoli –spesso conflittuali-  che i periodici in carta patinata della borghesia imperialista schematizzavano in organigrammi temporali per legittimare quel senso di anti-unitarietà che doveva avere il movimento di classe, per far perdere il senso della necessità dell’unità dei rivoluzionari.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto nell’agosto 1937:

“Le contraddizioni e la lotta sono universali e assolute, ma i metodi per risolvere le contraddizioni vale a dire le forme di lotta, variano a seconda del carattere di queste contraddizioni: certe contraddizioni rivestono il carattere di un antagonismo dichiarato, altre no.  Aderendo allo sviluppo concreto delle cose e dei fenomeni, certe contraddizioni che sono inizialmente non antagonistiche si sviluppano diventando contraddizioni antagonistiche, mentre altre, inizialmente antagonistiche, si sviluppano diventando contraddizioni non antagonistiche.”

(“A propostito delle contraddizioni”, agosto 1937,

in Opere, cit., vol.5, pagg.183-230)

 

Non abbiamo molti commenti, le cose sono chiare a tutti. Prendiamo Prodi, Fini, D’Alema, Diliberto, Segni, Pannella, Bossi, Casini  e Berlusconi, il cui blocco in passato era rappresentato da Craxi. All’inizio, prima di Tangentopoli, l’unico concreto antagonista tra tutte le forze istituzionali rappresentate da questi politici pareva a molti essere Bossi. Oggi nessuno di costoro è realmente antagonista ad un altro. Un po’ come se in Parlamento, inizialmente vi fossero ortaggi di tutte le misure e colori, ed oggi solo un bel minestrone Campbell’s prefabbricato. Apparentemente sono nemici, da una parte, Bossi, Fini, Casini, Berlusconi, Segni, e dall’altra D’Alema, Prodi, Diliberto, e in mezzo Pannella, che al Parlamento è praticamente estraneo, poiché aspira per diritto canonico a divenire Presidente della Repubblica senza il consenso né dei partiti né degli italiani. Concretamente però le contraddizioni tra di loro non sono affatto antagonistiche. Di ciò si ha un riscontro anche nella stampa, che infatti per accendersi totalmente ha bisogno delle foto oscene delle torturatrici americane sorridenti sui cadaveri o sui mucchi di arabi denudati.

Invece nella società si moltiplicano le contraddizioni antagoniste, finanche dentro le singole famiglie e gruppi di amici. La società borghese è allo sfascio, ma lo sono anche i rapporti sociali nel proletariato. Solo ove rimonta la lotta di classe, e riaffiora la solidarietà tra gli oppressi e gli sfruttati, si può tornare a sorridere (e ad armarsi per le future battaglie).

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto ancora il 27 febbraio 1957:

“Nelle condizioni abituali, le contraddizioni nel popolo non sono antagonistiche. Tuttavia, esse possono diventare tali se non vengono regolate in modo corretto o se si manca di vigilanza e se ci si abbandona alla trascuratezza e alla negligenza.  Nei paesi socialisti, questo fenomeno è solitamente soltanto parziale e temporaneo. La ragione di ciò sta nel fatto che lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo vi è soppresso e che gli interessi del popolo sono sostanzialmente identici.”

“Nel nostro paese, le contraddizioni tra la classe operaia e la borghesia nazionale rientrano tra quelle contraddizioni che si manifestano in seno al popolo. La lotta di classe tra la classe operaia e la borghesia nazionale dipende in generale dall’ambito della lotta di classe nel popolo, poiché, nel nostro paese, la borghesia nazionale riveste un duplice carattere. Nel periodo della rivoluzione socialista, essa sfrutta la classe operaia e ne trae profitto, ma contemporaneamente sostiene la Costituzione e  si mostra disposta ad accettare la trasformazione socialista. Essa si differenzia dagli imperialisti, dai proprietari fondiari e dalla borghesia burocratica.  Le contraddizioni che l’oppongono alla classe operaia sono contraddizioni tra sfruttatori e sfruttati; queste contraddizioni sono certamente di natura antagonistica. Tuttavia, nelle condizioni concrete del nostro paese, le contraddizioni antagonistiche tra queste due classi possono trasformarsi in contraddizioni non antagonistiche e, se verranno trattate in modo ragionevole, potranno pervenire a una soluzione pacifica. Se le contraddizioni tra la classe operaia e la borghesia nazionale non vengono risolte correttamente, vale a dire: se non adottiamo nei confronti di quest’ultima una politica di unione, di critica e di educazione, oppure se questa borghesia non accetta una simile politica, esse potranno diventare contraddizioni tra noi e i nostri nemici.”

“I reazionari all’interno di un paese socialista, in combutta con gli imperialisti, cercano di far trionfare il loro complotto approfittando delle contraddizioni nel popolo per fomentare la divisione e suscitare il disordine. Questa lezione, tratta dai fatti in Ungheria, merita la nostra attenzione.”

(“Della giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”, 27 febbraio 1957,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pagg.95-128)

 

A prescindere dal giudizio storico sulla rivolta Ungherese del 1956, è evidente che Mao qui richiama una verità (la speculazione sui bisogni della gente da parte dei reazionari nemici del socialismo) accanto ad un limite (il non aver considerato ancora che l’avvento del revisionismo avrebbe prodotto determinati sfaceli nel socialismo).  Del resto all’epoca non erano ancora maturate né le condizioni della rottura tra il Partito comunista cinese ed il Partito comunista dell’Unione sovietica, né era chiaro al Presidente Mao ed ai compagni cinesi ciò che aveva comportato nel complesso l’avvento al potere di Kruscev e il XX congresso.  Rimane che appunto a partire dalla fine degli anni ’40 le potenze occidentali iniziarono un profondo lavoro di penetrazione e provocazione verso i paesi socialisti, fondato soprattutto sulla Chiesa cattolica e sulla propaganda, soprattutto radio. In questo modo si cercava di rappresentare che la società “democratica” tutelava meglio i diritti dei lavoratori, e garantiva la gente dalla fame e dalla miseria (quelle contro cui a Berlino nel 1953 ed a Budapest nel 1956 fu principalmente la classe operaia a rivoltarsi) mentre è noto a tutti che negli stessi anni in occidente ed in Italia per esempio le lotte degli operai e dei contadini venivano represse a fucilate per le strade impedendo l’insurrezione generale proprio perché maggiore era il controllo della classe operaia da parte del potere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5. La guerra e la pace

 

Il Presidente Mao Tse-Tung nel dicembre 1936 ci ha scritto:

“Le guerre hanno avuto inizio con la comparsa della proprietà privata e delle classi, e sono la forma suprema di lotta, la forma alla quale si ricorre per risolvere i contrasti fra le classi, le nazioni, gli Stati, i blocchi politici, quando questi contrasti sono giunti ad una certa fase di sviluppo.”

(“Problemi strategici della guerra rivoluzionaria

 in Cina” -dicembre 1936-,

Opere di Mao Tse-Tung, vol.4, cit., pagg.189 e segg.)

 

Nel maggio 1938 delineò la natura della guerra in funzione della rivoluzione con questa analisi:

“ ‘La guerra è la continuazione della politica.’ ” (citando Clausewitz)    “In questo senso la guerra è politica; essa è dunque, in sé, un atto politico; fin dai tempi più antichi non c’è mai stata guerra che non avesse un carattere politico (…)

Ma la guerra ha anche i suoi caratteri specifici. In questo senso non è identica alla politica in generale.   ‘La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi.’   Una guerra scoppia per eliminare gli ostacoli che insorgono sulla via della politica, quando questa ha raggiunto un certo stadio che non può essere superato coi mezzi consueti (…)    Quando l’ostacolo è eliminato e lo scopo politico è stato conseguito, la guerra finisca.   Fintanto che l’ostacolo non è ancora completamente eliminato, occorre prolungare la guerra fino a quando abbia conseguito il suo scopo politico (…)    Ecco perché si può dire che la politica è una guerra senza spargimento di sangue e la guerra una politica con spargimento di sangue.”

“La storia insegna che le guerre si distinguono in due categorie: le guerre giuste e le guerre ingiuste. Ogni guerra progressista è giusta e ogni guerra che ostacoli il progresso è ingiusta.   Noi comunisti lottiamo contro tutte le guerre ingiuste che ostacolano il progresso, ma non siamo contro le guerre progressiste, contro le guerre giuste.  Noi comunisti, non soltanto non lottiamo contro le guerre giuste, ma anzi vi prendiamo parte attivamente.   La prima guerra mondiale è un esempio di guerra ingiusta; entrambe le parti combattevano per intressi imperialistici, ed è questa la ragione per cui i comunisti del mondo intero vi si opposero risolutamente.   Ed ecco come occorre lottare contro una simile guerra: prima che essa scoppi, occorre fare tutti gli sforzi possibili per impedirla, ma una volta che è scoppiata, occorre, appena possibile, lottare contro la guerra mediante la guerra, contrapporrre a una guerra ingiusta una guerra giusta.”

(“Sulla guerra di lunga durata”, maggio 1938, in

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.6, pagg.173 e segg.)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci scrisse nell’agosto 1937:

“Nella società classista, le rivoluzioni e le guerre rivoluzionarie sono inevitabili; senza di esse, è impossibile ottenere uno sviluppo a salti della società, è impossibile rovesciare la classe reazionaria dominante e permettere al popolo di impadronirsi del potere.”

(“A proposito della contraddizione”, agosto 1937,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.5, pagg.183-230)

 

Ancora nel maggio 1938 il Presidente Mao Tse-Tung spiegava un concetto intrinseco della guerra, la sua tendenza centrifuga (da non confondere con la omonima questione di strategia militare, bensì come sviluppo di forza che si estende al popolo o che lo devasta, a seconda di quale guerra sia):

“Una guerra rivoluzionaria agisce come una specie di controveleno, non soltanto sul nemico, di cui spezzerà la furia forsennata, ma anche sulle nostre proprie fila, liberandole da tutto ciò che possono contenere di malsano.  Ogni guerra giusta, rivoluzionaria, è una grandissima forza; essa può trasformare moltissime cose o aprire la strada alla loro trasformazione.”

Per questo occorre assumere il problema della guerra rivoluzionaria come una cosa del tutto distinta dall’emulazione del carattere giuridico (che pure ne è parte anche se non primaria) dello Stato ceh si combatte, come è avvenuto invece nel nostro paese in particolare dalla metà degli anni settanta alla metà degli anni ottanta, ma non solo. La lotta per l’abbattimento della società borghese e capitalista non può ridursi ad un problema né di mera raffigurazione dello scontro né di mero confronto tra “autorità”. Chi ha voluto misurare la guerra rivoluzionaria con questo metro è finito in genere nel revisionismo e nella sconfitta, quando non nella resa.

“La guerra cino-giapponese trasformerà sia la Cina ed il Giappone.  Basta che la Cina continui con fermezza la guerra di resistenza e applichi fermamente una politica di fronte unito perché il vecchio Giappone si trasformi inevitabilmente in un Giappone nuovo, e la vecchia Cina in una Cina nuova. In Cina come in Giappone, le persone e le cose si trasformeranno, durante il corso della guerra e dopo la guerra.”

(“Sulla guerra di lunga durata”, maggio 1938, in

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.6, pagg.173 e segg.)

 

La grandezza di un dirigente come il Presidente Mao Tse-Tung, la sua trascendenza e superiorità, si misurano anche nella sua capacità di sintetizzare universalmente assunti fondamentali per ogni proletario in ogni tempo e contesto. Questo che segue non fa difetto a questo suo dono:

“Ogni comunista deve assimilare la seguente verità:  che ‘il potere sta in fondo alla canna del fucile.’”

(“La guerra e i problemi della strategia”, 6 novembre 1938,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol. 7, pag.55-73)

Il dire ‘in fondo’ sta nella determinazione all’uso delle armi e della violenza, non nel feticcio del loro possesso, e quindi, come anche il glorioso Generale Vo Nguyen Giap ci insegna, essendo “l’Uomo l’elemento principale” nella guerra, non sta nel possesso delle armi migliori o più innovative (utile ma in genere non alla portata del popolo e delle sue avanguardie all’inizio del processo) come è nella concezione militare dell’imperialismo, in particolare USA, e, storicamente, come è stato nella concezione militare del socialimperialismo revisionista dell’URSS dopo la morte del Compagno Stalin.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 6 novembre 1938:

“Il compito centrale e la forma suprema della rivoluzione stanno nella conquista del potere mediante la lotta armata, stanno nella soluzione del problema mediante la guerra. Questo principio rivoluzionario del marxismo-leninismo è valido ovunque, in Cina come negli altri paesi.”

(“La guerra e i problemi della strategia”, 6 novembre 1938,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.7, pag.55-72)

Qui si comprendono le tante “storicizzazioni” e “delocalizzazioni” politiche dal campo rivoluzionario di tanti sedicenti comunisti che, nemmeno in prospettiva, osano proporsi al proletariato ed al popolo come rivoluzionari proprio perché sanno che la rivoluzione è un atto violento per quanto prodotto dalla condizione di oppressione sfruttamento e avvilimento quotidiano della stragrande maggioranza della popolazione.  Si comprende anche la distanza di tanti revisionisti e falsi comunisti dal pensiero di Mao Tse-Tung e dal marxismo-leninismo-maoismo, la demonizzazione e la classificazione come movimenti “terroristici” di chiunque propugni la rivoluzione attraverso la lotta armata nei paesi occidentali e degli stessi movimenti di liberazione nel cosiddetto “Terzo mondo” (in realtà nella gran parte del mondo ove vive la stragrande maggioranza dell’Umanità). Infatti chi delega la prospettiva rivoluzionaria ad una sempre rinviata “insurrezione generale” in realtà si schiera praticamente con l’opportunismo. 

Vi sono così due forme di opportunismo, una smascherabile molto facilmente, che nega la violenza stessa in quanto negativa e controproducente, ma legittima e permette ogni forma di violenza ed abuso da parte della classe borghese che detiene il potere, forma i suoi uomini ufficiali e strutture dentro una educazione classista e falsamente democratica, mantiene le proprie strutture che monopolizzano la violenza nella società attraverso le carceri, le caserme, la militarizzazione del territorio (enormemente accresciuta rispetto a soli 20 anni fa e continuamente invocata come necessariamente bisognosa di rafforzamento), la entrata e la partecipazione militare alle avventure dell’imperialismo.  L’altra più ambigua è di chi appunto legittima a parole la violenza rivoluzionaria e la giustifica e a volte solidarizza con essa, ma la trattiene sempre ed immancabilmente in ambiti separati ed élitari, sostanzialmente nell’incapacità di coinvolgere la classe e di ampliarne il possesso e l’utilizzo per fini di utilità generale e sociale alla classe degli sfruttati, permettendo così al potere di demonizzarli, mantenerli in minoranza, separarli dalla massa dei lavoratori e dei giovani, che a loro volta sono continuamente imboniti, attaccati da messaggi dispersivi, spersonalizzanti egoistici ed individualistici onde allontanarli dall’impegno e dalla militanza per un’altra società di liberi ed uguali.

Un’altra forma di opportunismo è quella di chi maschera la propria vigliaccheria politica ed umana, dietro paroloni rivoluzionari, attribuendo la impossibilità di fare la rivoluzione a fattori di classe come “l’aristocrazia operaia” che impedirebbe al proletariato nei paesi occidentali di organizzarsi autonomamente e di muoversi socialmente in termini antagonisti e vicini alla lotta armata.  Chi fa questa analisi evidentemente mal conosce la nostra storia classista. Non a caso, all’arricchimento dei vecchi ceti di aristocrazia operaia e al pensionamento della massa degli operai che avevano 30 anni nel ’68 (ed alla fuga dalle fabbriche di molti di essi), è seguita via via una nuova ondata di ingressi di giovani operai, ora in particolare di operai immigrati, di marginali, di precari, di masse di lavoratori generalmente per niente privi di cultura e formazione a cui la società riserva per disgrazia di origine familiare o sociale un lavoro di cameriere a stagione o di raccoglitore di kiwi o di mele, che sono invece potenzialmente molto più rivoluzionari degli operai meridionali del ’68. Infatti il ciclo capitalistico, per quanto necessiti di persone in attività intellettuali, non è in grado di dare una collocazione lavorativa adeguata all’Umanità nemmeno in casa propria,   e quindi spreca e distrugge forze e risorse sociali sin dall’inizio attraverso una “selezione” che in genere non è neppure “meritocratica” (concetto che negli anni ’60 e ’70 era combattuto dagli studenti perché in genere i più bravi a scuola erano quelli che possedevano strumenti all’epoca più rari ancora di oggi di conoscenza generale necessaria alla formazione ed allo studio) ma bensì quasi completamente legata alla provenienza sociale dei giovani.  Cosa che si vede anche nella facilità con cui si formano “caste” sociali di corporazioni, figli che seguono le orme di padri e nonni (avvocati, commercialisti, notai, medici, per dirne alcuni) proprio perché il capitalismo rende difficile la “carriera” anche a loro che sono avvantaggiati.

E non solo: occorre considerare che lo sfruttamento (ossia, per dirla con Marx, il rapporto tra la quota di capitale variabile –il salario, le tasse relative sempre che il padrone le paghi- e il capitale costante  -i macchinari, i prodotti, le spese impiegate nella produzione del plusvalore all’interno del ciclo relativo alla quota di capitale variabile presa in considerazione: per esempio, in una data giornata lavorativa –) è enormemente accresciuto, è molto maggiore il rapporto tra i due, è molto più alta la composizione organica di capitale, e non essendo altrettanto alta la quota di plusvalore estratto a parità di lavoro, il padronato nemmeno a volerlo può essere relativamente più “buono” con l’operaio di oggi.

Di qui il maggiore sfruttamento che significa maggiore difficoltà poi per il lavoratore di produzione –come per chi ruota attorno ad essa– di riprodurre la sua forza lavoro e le condizioni di vita dei propri familiari.  Di qui la crisi del rapporto con i figli, le crisi matrimoniali, i suicidi, i drammi, per non dire le malattie trascurate, gli incidenti sul lavoro e i miserabili e in genere vani rimborsi, tanto più che la società borghese crea sempre maggiori aspettative e “bisogni” nei giovani e nelle donne che da secoli e millenni di oppressione sentono la necessità di emanciparsi in forme che poi spesso riproducono i messaggi del potere e l’egoismo degli uomini più potenti. Per non dire della crisi generale del capitalismo di cui questi aspetti sono solo alcuni di quelli che potremmo prendere in considerazione per confutare la analisi semplicistica di chi dice “gli operai non sono più rivoluzionari, quindi non si può fare la rivoluzione”.  Di conseguenza la situazione è molto più drammatica e rivoluzionaria di quando negli anni ’70 una quota significativa della classe operaia unita ai giovani ed agli studenti nella loro grande maggioranza  (anche per questo tanti buffoni oggi dicono di essere stati rivoluzionari all’epoca, era una moda)  tentarono di dare “l’assalto al cielo”.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 4 ottobre 1939:

“…  In Cina, senza lotta armata, non ci sarebbe posto per il popolo, non ci sarebbe posto per il Partito comunista e non ci sarebbe vittoria della rivoluzione.   Per diciotto anni il compito di sviluppare, rafforzare e bolscevizzare il nostro Partito è stato affrontato in mezzo a guerre rivoluzionarie; senza la lotta armata non avremmo un Partito comunista come l’attuale. Tutti i compagni del Partito devono tener presente questa esperienza che abbiamo fatto a prezzo di sangue.”

(“Presentazione della rivista Il comunista, 4 ottobre 1939,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol. 7, pagg.127-138)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ancora il 6 novembre 1938, ci ha

scritto:

“Dal punto di vista della teoria marxista, dello Stato, l’esercito è la parte costitutiva principale del potere di Stato.  Colui che vuole impadronirsi del potere dello Stato e conservarlo deve possedere un esercito forte.  Certuni fanno dell’ironia nei nostri confronti accusandoci di essere dei fautori dell’ ‘onnipotenza della guerra’.  Ebbene: è proprio così !   Noi siamo per l’onnipotenza della guerra rivoluzionaria.   Ciò non è un male, è un bene, significa essere marxisti.   I fucili dei comunisti russi hanno creato il socialismo.   Noi vogliamo creare una repubblica democratica.  L’esperienza della lotta di classe nell’epoca dell’imperialismo mostra che la classe operaia e le masse lavoratrici non possono vincere le masse armate della borghesia e dei proprietari fondiari se non con la forza dei fucili.  In questo senso si può affermare che non è possibile trasformare il mondo se non con il fucile.”  (…)

“Noi siamo favorevoli all’abolizione delle guerre, noi non vogliamo la guerra.  Ma non si può abolire la guerra se non mediante la guerra.  Affinché non esistano più fucili, occorre il fucile.”

(“La guerra e i problemi della strategia”, 6 novembre 1938,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.7, pag.55-72)

La questione del controllo dell’esercito è sorta nei tempi recenti dal punto di vista sociale nel nostro paese dopo l’unità nazionale; all’inizio l’esercito è stato usato per le avventure coloniali e per reprimere nel sangue le rivolte contadine e quelle urbane.  Così il liberatore Garibaldi non impedisce la repressione di Bronte insorta, né tantomeno la strage dei cosiddetti “banditi” calabresi e meridionali (dal 1 maggio 1861 al 31 dicembre 1865 furono 5.212 i contadini ribelli uccisi e fucilati, spesso lasciando la loro testa impalata fuori dai paesi, e oltre 5.000 gli arrestati, secondo le statistiche ufficiali), la repressione dei moti dei Fasci siciliani, la strage di Milano del 1898 fatta da Bava Beccaris e tante altre.  Successivamente con la I a guerra mondiale i contadini forniscono la carne da macello per la contesa territoriale di Trento e Trieste con l’Austria (peraltro relativamente legittima, se si pensa al Trentino). Muoiono a centinaia di migliaia scagliati sulle linee di fuoco del nemico come cavallette, o fucilati per diserzione od infrazioni varie. La “suprema” ragione (reale di casa Savoia) della “nazione” costruita lasciando inalterati i rapporti semifeudali nelle terre del meridione fondati sui poteri della Chiesa vaticana e dei banditi fondiari latifondisti, considera il soldato nulla più che una pedina sulla scacchiera della guerra convenzionale.  Non cambia granchè con le successive avventure coloniali e con la II a guerra mondiale, solo l’esercito si muove a reprimere le ribellioni più raramente, entrando in gioco la polizia politica e l’Arma dei carabinieri.  Le carceri l’esilio e la disoccupazione sono il prezzo da pagare per chi non si piega al regime fascista, per chi non fa la tessera del “partito-Stato”, per chi propugna una società democratica e socialista.  La giustizia diviene così, con il superamento del codice Zanardelli (che riproduceva la logica dello speranzoso ma pur sempre classista riformismo parlamentare di fine ottocento) con i codici Rocco, una giustizia apertamente speciale, dove le opinioni politiche sono oggetto di natura criminale e i diritti associativi e sindacali sono fortemente limitati.  Questa logica non cambia dopo la II a guerra mondiale se non, parzialmente, dopo il movimento di contestazione di fine anni ’60 – anni ’70, ma si crea nel frattempo, complice anche la sinistra borghese e contraria alla rivoluzione, uno “Stato nello Stato”, un apparato emergenziale che comprende certo una parte significativa (approssimativamente 100-120 mila uomini) delle forze di polizia (che oggi comprendono oltre 350 mila uomini in esercizio), considerando però che dal 2003 i carabinieri sono stati trasformati da forza di polizia e di polizia militare, in primo corpo militare dell’Esercito per le implicazioni internazionali che la politica terrorista degli Stati imperialisti ha messo in moto in maniera ampliatissima dopo 25 anni di collaborazione internazionale tra le forze di polizia antiguerriglia. A questo fattore si consideri che la destra ha avuto buon gioco con la sinistra borghese nell’ottenere la “professionalizzazione” dell’Esercito che dal punto di vista politico significa una maggiore indipendenza dal Parlamento e dal popolo dello stesso dato che dai 268.000 militari di cui la grande maggioranza di leva, si passerà progressivamente ad un numero molto inferiore di mercenari e ufficiali disposti ad ogni nefandezza.

La recente questione speculata sugli avvenimenti del 11 settembre 2001, della guerra al terrorismo di alcune fazioni islamiche, non ha avuto solo come conseguenza che, al pari dei nazisti, i delegati antiguerriglia delle potenze europee della U.E. hanno stilato in barba ad ogni considerazione storica e politica una “lista delle organizzazioni del terrorismo internazionale” che rappresenta una violenza ed una forma di autoritarismo scevro da ogni autorità popolare mettendo di fatto secondo loro fuori legge i comunisti rivoluzionari di quasi ogni parte del mondo,   ma anche un imbarbarimento delle norme di diritto interno ed internazionale.

Qui la parola “internazionale” serve da legittimità per nefandezze politiche inaudite degne solo delle potenze che si scagliarono contro le masse dopo il congresso di Vienna del 1815; oggi infatti ogni cosa ha una sua natura internazionale data dai rapporti sociali esistenti, la stessa Italia non è più una nazione indipendente ma uno Stato collocato in un ambito fortemente vincolante che si chiama Unione Europea, che a sua volta rimanda tendenzialmente alla guerra interimperialista con gli Stati Uniti d’America per necessità e tendenza negativa storica ineludibile nel tempo dello sviluppo della crisi capitalista.

Il mito dell’esercito forte, insomma, continua. Dal gigantismo militarista degli incrociatori e dei bombardieri, stanno passando ai mezzi corazzati veloci ed ai cyber-soldati-professionali e bionici.

Tutto per mantenere il potere grazie all’ignoranza ed ai soldi.

Come in ogni situazione di guerra, ora le forze di polizia e quelle carcerarie non usano solo mezzi tecnologici militari di inaudita capacità (fino a penetrare il pensiero dell’uomo) ma giungono ad utilizzare sistematicamente elementi della malavita per intrighi ed inciuci con i servizi segreti e la magistratura.  La mobilitazione della borghesia è così totale e stravolge il senso della vita democratica.  Dal pentitismo al mercenarismo dei banditi postisi al servizio del potere, è in pratica tutto un ritornare a criteri e mezzi che solo i regimi autoritari reazionari hanno storicamente usato contro i comunisti ed il popolo in lotta.

Della democrazia non resta più nulla in pratica, i vecchi giuristi della Costituente muoiono o non contano più nulla, le idee riformiste alla base del “patto sociale” mediato da un conflitto nel quale a pagare con il sangue erano sempre lavoratori e studenti e contadini in lotta, sono state sostituite da concezioni megalomani e miserabili di “rappresentazione” non più del conflitto ma dei meri interessi economici, localistici e corporativi in gioco.  Una sbornia di idealismo borghese che ha travolto la sinistra borghese trasformandola in borghesia pura ammantata di colori progressisti, la ha portata ad accettare strumenti militari e repressivi, giuridici e di diritto del lavoro, incredibili ed inaccettabili oramai da una buona fetta di popolazione che nemmeno partecipa più alla contesa elettorale.

Lo “Stato nello Stato” intanto continua a corrompere e a prendere potere, in un’allucinazione reazionaria per nulla mascherata, che si giustifica con i fatti di cronaca esaltati da media sempre più nelle mani della grande borghesia.

Per questo, proprio perché lottiamo anche per una democrazia autentica, la nostra prospettiva non può che essere violenza.

Infine, la questione della estinzione dei fucili attuabile solo con l’uso dei fucili, ossia del piano militare su cui si attesta il progresso dell’Umanità per non lasciare la nostra sorte nelle mani inique di bande di lestofanti incravattati che possiedono più lordume nell’anima che denari nelle banche e nelle cassette di sicurezza (il che è tutto dire9, non può prescindere dal “come” i rivoluzionari conducono la guerra, ossia della diversità dei criteri e dei valori che reggono al direttrice militare rivoluzionaria rispetto all’infame utilizzo di ogni strumento (dalla bomba atomica ai lager al controllo mentale totale) da parte dei reazionari e degli imperialisti per mantenere il potere nelle proprie mani.” (…)

“Anche basandosi sui soli numeri, e ovviamente sulla demistificazione delle banditesche operazioni medianiche attuate contro la storia dei paesi socialisti (cfr. il “libro nero del comunismo”), la sproporzione tra la violenza messa in atto dai Partiti comunisti e dai popoli nei loro processi rivoluzionari e quella gigantesca ed incalcolabile attuata dalle potenze imperialiste, parla da sola. La logica della liberazione delle forze e della conquista del potere alle masse ci muove, mentre la logica dell’umiliazione e dello schiacciamento ed annientamento di ogni forza sociale ostile e ribelle muove la repressione e la guerra imperialista.  Con il solo effetto di ritardare il processo e la tendenza storica al socialismo ed al comunismo.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto nel dicembre 1936:

“La guerra, questo mostro che fa uccidere gli uomini, verrà in ultima istanza eliminata dallo sviluppo della società umana, e ciò in un futuro non lontano.  Ma per distruggere la guerra esiste soltanto un mezzo, ed è quello di lottare con la guerra contro la guerra, con la guerra rivoluzionaria contro la guerra controrivoluzionaria, con la guerra nazionale rivoluzionaria contro la guerra nazionale controrivoluzionaria, con la guerra rivoluzionaria di classe contro la guerra controrivoluzionaria di classe … Quando la società umana, nel corso del suo sviluppo, arriverà alla soppressione delle classi, all’abolizione dello Stato, allora non vi saranno più guerre, né controrivoluzionarie, né rivoluzionarie, né ingiuste, né giuste.  Sarà l’epoca della pace perpetua per l’umanità.  Quando noi studiamo le leggi della guerra rivoluzionaria partiamo da questa nostra aspirazione alla distruzione di tutte le guerre.  Qui sta la differenza fra i comunisti e i rappresentanti di tutte le classi sfruttatrici.”

(“Problemi strategici della guerra rivoluzionaria

 in Cina”, dicembre 1936,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.7, pagg.141-172)

Tanti discorsi, periodicamente fatti dai revisionisti nuovi e vecchi, dai falsi pacifisti, dai falsi internazionalisti, rimandano sempre ad una concezione: evitare di affrontare le cose per quello che sono. La guerra è un mostro.  Benissimo.  Perché affrontare un mostro con dei fiorellini incapaci persino di bloccare l’invio di mezzi pesanti militari sul teatro bellico ?  Questo debbono aver pensato quei movimenti che si sono posti soggettivamente la questione di “inceppare” la macchina militare, e giustamente, perché almeno hanno provato ad incepparla.  Ma alla fine dopo qualche giorno i panini finivano, il freddo gelava le ossa e occorreva tornare a casa, oppure i carabinieri pilotavano la colonna in trasferimento su un altro porto o attraverso un’altra linea.  Così l’inceppamento si limitava ad avere un ruolo simbolico, frustrato dall’invio di mercenari spacciati per bravi soldati, pagati svariati milioni al mese, in genere salvi dal rischio di morire, il tutto a sostegno delle retrovie americane responsabili del bombardamento di inermi civili, bambini, ospedali, case … questa infame solfa va avanti nei tempi più recenti dal 1982, da quando cioè l’Italia accettò di inviare le proprie truppe in Libano di fatto sostenendo l’infame operazione di evacuazione dell’OLP e della resistenza Palestinese da Beyrouth.  All’epoca le caserme (grattacieli abitati, in genere) delle truppe d’occupazione americane e francesi, vennero fatte crollare dalla resistenza, causando centinaia di morti tra gli occupanti, la partenza degli imperialisti, e l’inizio del conflitto sulla fascia Sud del Libano tra le forze della resistenza Palestinese e Libanese e quelle “israeliane” e filo-“israeliane”. Questo genere di guerra è continuata con la Somalia, l’Albania, la Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq.  Ossia con la nuova fase di neocolonialismo.  Ma oggi le caserme sono presidiate ed a morire negli attacchi a sedi fisse sono raramente, come a Nassirya, dei militari stranieri, che vengono colpiti invece a centinaia sulle strade. La resistenza lavora con metodo comunque, se non può colpire il nemico in un luogo, lo colpisce altrove. Ma il prezzo maggiore lo paga al solito il popolo, come in Italia al tempo dell’occupazione nazista sostenuta dai repubblichini, per un nazista o repubblichino ucciso, venivano fucilati 5 o 10 sospetti partigiani presi tra il popolo o tra i carcerati.  Come si può vedere, ogniqualvolta nella storia il movimento dei popoli oppressi viene lasciato solo dalla classe operaia dei paesi imperialisti, le stragi e i danni per l’Umanità diventano incalcolabili.  Si può di fronte a questo UNILATERALE scempio fare melina ?

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 15 dicembre 1956:

“Il nostro paese e gli altri paesi socialisti hanno bisogno della pace, e così gli altri popoli del mondo intero.  Soltanto certi gruppi monopolistici di qualche paese imperialista, i quali cercano di arricchire per mezzo dell’aggressione, aspirano alla guerra e non vogliono la pace.

Per stabilire nel mondo una pace durevole, dobbiamo continuare a sviluppare la nostra amichevole cooperazione coi paesi fratelli del campo socialista e rafforzare la nostra solidarietà coi paesi che vogliono la pace.  Dobbiamo cercare di stabilire con tutti i paesi che desiderano vivere in pace con noi relazioni diplomatiche normali sulla base del reciproco rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità, oltre che dell’uguaglianza e dei reciproci vantaggi. Infine, dobbiamo prestare un aiuto attivo ai movimenti nazionali d’indipendenza e di liberazione dei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina, ai movimenti per la pace e alle giuste lotte in tutti i paesi del mondo.”

(“Discorso inaugurale dell’VIII Congresso del Partito comunista cinese”, 15 settembre 1956,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol. 13, pagg.201-202)

Questa dichiarazione di Mao in pratica dava continuità alla politica internazionale del compagno Stalin sulla pace, e poteva farlo perché i popoli del Tricontinente avevano un appoggio nel campo socialista.  Campo socialista che è venuto meno con la definitiva rottura con il revisionismo, giunta  a compimento nel 1964.  Da allora IL campo socialista NON esiste di fatto più, e non solo per ragioni internazionali ma anche e soprattutto per ragioni di regime sociale ed economico vigente. Dal 1976 non esiste più di fatto neppure il socialismo, sempre che non si voglia farsi del male ad affermare tale, ed esempio per il mondo sul piano economico, quello cubano.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 27 febbraio 1957:

“Per quanto riguarda i paesi imperialisti, dobbiamo, anche qui, unirci ai loro popoli e cercare di realizzare la coesistenza pacifica con questi paesi, di stabilire rapporti commerciali con essi e di impedire un’eventuale guerra; ma in nessun caso dobbiamo adottare nei loro riguardi delle concezioni che non corrispondono alla realtà.”

(“Della giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”, 27 febbraio 1957,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pagg.95-128)

Sostanzialmente su questo punto la Repubblica Popolare Cinese ha tenuto, solo che una piccola “inezia” sta trasformando, a dimostrazione che è la realtà ECONOMICA ad influenzare la realtà delle idee, l’intera struttura sociale e politica del paese pur rimandendo la facciata del Partito comunista al potere. Infatti non si è limitata, dagli anni ’90 in particolare in poi ma anche negli anni ’80, a stabilire nuovi e duraturi rapporti commerciali, ma ha permesso alle multinazionali  capitaliste occidentali nonché a molte imprese nazionali e locali dei paesi capitalisti, di aprire stabilimenti sfruttando CON REGOLE PROPRIE la classe operaia ed il proletariato cinese.  Non con la stessa subalternità ideologica, data dal tradimento revisionista del golpe successivo alla morte di Mao, con cui l’U.R.S.S. ha spalancato il ventre all’occidente, ma comunque con una visione che magari nel breve e medio periodo paga in termini di omogeneizzazione tecnologica ed industriale, ma che sul lungo periodo porterà danni, oltre che quelli immediatamente già visibili al popolo cinese, anche alla sua cricca dirigente di borghesi in giacca e cravatta.  Infatti alla riforma dello Stato ed alla cancellazione della Rivoluzione culturale proletaria, si è proceduto con la progressiva riduzione delle Comuni popolari agricole, gettando un po’ alla volta, decine, anche centinaia di milioni di contadini, nella povertà e nell’immigrazione nelle città, dove però non hanno trovato facile soluzioni ai propri problemi ma molto spesso miseria.  Questo ha provocato ondate di emigrati, disoccupazione, crimine,  diffusione della droga, e non da ultimo un fenomeno, nelle regioni nord-occidentali della Cina, di nuovi fermenti islamici.

Nel silenzio dei media occidentali, fatto salvo per un paio di processi a dirigenti sindacali, avvengono poi ogni anno migliaia di rivolte contadine, manifestazioni vietate, scontri con l’esercito, posto ora sotto la guida del potere, e assalti a municipi, in genere sotto la guida spirituale di Mao.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 18 novembre 1957:

“Noi desideramo la pace. Tuttavia, se l’imperialismo si ostina a volere la guerra, noi dovremo, e senza esitare, fare la guerra prima ancora di aver edificato il paese. Ogni giorno hai paura della guerra, e se la guerra tuttavia scoppiasse ?   Ho già detto che il vento dell’est aveva la meglio sul vento dell’ovest, che la guerra non sarebbe scoppiata: adesso formulo questa precisazione supplementare, nel caso in cui la guerra scoppiasse. Così entrambe le due possibilità saranno prese in considerazione.”

(“Intervento alla Conferenza di Mosca dei Partiti comunisti ed operai” (Terzo discorso), 18 novembre 1957,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol. 15, pagg.165-176)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 27 febbraio 1957:

“Attualmente in tutti i paesi del mondo, si discute dell’eventualità di una terza guerra mondiale.  Noi dobbiamo essere psicologicamente preparati a una simile eventualità e prenderla in considerazione in modo analitico. Noi siamo risolutamente per la pace e non contro la guerra.  Ma se gli imperialisti si ostinano a scatenare una nuova guerra, non dobbiamo averne paura.  Il nostro atteggiamento nei confronti di questa questione è lo stesso di quello che adotteremo nei confronti di qualsiasi disordine: primo, noi siamo contro, e, secondo, non ne abbiamo paura.  La prima guerra mondiale è stata seguita dalla nascita dell’Unione Sovietica, che ha una popolazione di 200 milioni di abitanti.  La seconda guerra mondiale è stata seguita dalla formazione del campo socialista, che include una popolazione di 900 milioni di persone.  È certo che se gli imperialisti si ostinano a scatenare una terza guerra mondiale, centinaia di milioni di uomini passeranno dalla parte del socialismo e che soltanto un territorio di scarsa estensione resterà in mano agli imperialisti; anzi, è addirittura possibile che il sistema imperialista crolli completamente.”

(“Della giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”, 27 febbraio 1957,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.14, pagg.95-128)

 

Il PCC ha spiegato questo concetto poco prima della presa del potere:

“Provocazione di torbidi, fallimento, nuova provocazione, nuovo fallimento, e tutto ciò fino alla loro rovina  - tale è la logica degli imperialisti e di tutti i reazionari del mondo nei confronti della causa del popolo; mai andranno contro questa logica. È, questa, una legge marxista. Quando noi diciamo: “l’imperialismo è feroce”, intendiamo dire che la sua natura non cambierà, e che gli imperialisti non riunceranno mai ai loro coltellacci da macellaio, non diventeranno mai dei budda, e ciò fino alla loro rovina.

Lotta, fallimento, nuova lotta, nuovo fallimento, nuova lotta ancora, e ciò fino alla vittoria –tale è la logica del popolo, e nemmeno il popolo andrà mai questa logica. È anche questa, una legge marxista. La rivoluzione del popolo russo ha seguito questa legge; lo stesso avviene per la rivoluzione del popolo cinese.”

(“Respingete [Abbandonate] le vostre illusioni

e preparatevi alla lotta”, 14 agosto 1949,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.11, pagg.137-144)

 

La controrivoluzione è praticamente sulla bocca di tutti i compagni convinti e ferventi rivoluzionari professionali; ne denunciano gli abusi, la repressione sistematica, ma spesso si trovano per mancanza di mezzi impossibilitati a comprendere l’infamia del regime sin dove si spinge. Eppure la counterinsurgency è oramai una prassi ultratrentennale in tutto il mondo. Ma qualcuno ha instillato nelle menti dei compagni che essa riguardava solo le società “avanzate” e gli interventi militari nel Tricontinente, dove l’”arretratezza” del conflitto non portava la controrivoluzione a sviluppare raffinati strumenti. Teoria boccaccesca ed eurosciovinista, dato che non rispetta, come Lenin faceva, l’attenzione al vero centro della rivoluzione (ai suoi tempi la rivoluzione si spostava “ad Oriente”, oggi è decisamente nel Sud del mondo), e che di conseguenza dà una lettura opportunista e succedanea all’imperialismo di fatti incontrovertibili ed assolutamente importantissimi.  Tra questi:

1.        La necessità di contenere il conflitto rivoluzionario interno negli USA dei ’60 con una azione costantemente attenta a distruggere i fuochi guerriglieri nell’America latina.

2.        La centralità del ruolo strategico di “israele” proprio a causa dell’importanza della lotta del popolo palestinese come avanguardia internazionalista dei popoli del Sud del mondo grazie al ruolo storico dei loro dirigenti rivoluzionari che aprono gli occhi alle masse arabe, e non invece come componente omogenea all’Europa imperialista.

3.        Il colpo di stato in Cile e quello in Argentina, che seguono quelli in Brasile, Indonesia, ed in altri paesi, ma soprattutto i primi due, che dimostrano l’assoluto sostegno alle stragi di decine di migliaia di rivoluzionari e alla distruzione di ogni parvenza di diritto, da parte dei paesi occidentali, quale “monito” alla sinistra nei paesi occidentali stessi, con il sostanziale non-interventismo sovietico soprattutto in America latina  Africa ed Asia.  Livello di scontro talmente alto da dimostrare DOVE GIA’ ALLORA stava il vero “cuore” dello scontro.

4.        La demonizzazione occidentale  della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, che non a caso proprio per il suo carattere filosofico e di massa apre e dà respiro alla contestazione sociale e classista nei paesi imperialisti occidentali dal ’67 in poi, contestazione schiacciata nel sangue anche in paesi legati all’occidente, come il Messico del dicembre 1968 e la Grecia della repressione golpista anti-studentesca del ‘67.

5.        La storica montatura contro la principale guerra popolare rivoluzionaria nel mondo, in Perù, nel 1993, dopo anni di stragi e desparecidos, rivolta a denigrare l’immagine del suo principale dirigente, il Presidente Gonzalo, guida teorica rivoluzionaria della nuova ondata della rivoluzione proletaria mondiale sin dalla sua gestazione. Fatto questo in particolare sottovalutato quand’anche non usato squallidamente da compagni rivoluzionari incoscienti o troppo legati a modelli di interpretazione della situazione internazionale assolutamente deleteri e filo-revisionisti.

6.        Lo spostamento della contraddizione principale a quella tra popoli oppressi ed imperialismo, ad unirsi a quella fondamentale di classe.

7.        La sottovalutazione dei caratteri subalterni di molte esperienze guerrigliere occidentali ai “modelli” di guerra interna dei servizi data dalla “esperienza” della guerra fredda (in particolare in Germania ed Italia, paesi già nazifascismi e profondamente infiltrati dai servizi americani e revisionisti post-sovietici).

In realtà la guerriglia, rurale e metropolitana, e la guerra popolare rivoluzionaria che ne è stadio superiore e tutt’altra cosa dal terrorismo stragista o decabrista, hanno incontrato sin dagli anni ’60 sulla loro strada, ovunque si sia affermata nel proletariato urbano e metropolitano e nel popolo tra i giovani proletari e gli studenti, e nelle masse contadine (da Chicago –Black Panther Party- al Viet Nam rivoluzionario, alla Kampuchea democratica ed al Laos, da Montevideo –Tupamaros-, da Francoforte –RAF e 2 giugno e cellule rivoluzionarie-  a Milano –BR ed altre OCC-, da Parigi –Action Directe ed antimperialisti- a Madrid –GRAPO-, da Bilbao –ETA- ad Atene –17 novembre-, da Belfast –IRA ed INLA-, da Naxalbari –rivolta maoista contadina del ’67- a Luanda –MPLA- , da Sowetho –ANC e SACP- a Maputo –FRELIMO-, da Gaza –FPLP, OLP, ecc.- a Beirut –PCL, FARL, ecc.- , da Lima –EGP,EPL- a Katmandou –PCN(m), da Istanbul –Devrimci Sol, TIKKO-, a Diyarabakir (ERNK), da Teheran (GFPI) a Manila (NPA), dal Sahara (POLISARIO) allo Yemen meridionale socialista, da Bissau (PAIGC) al Congo (Lumumba), da Tokio (JRA) alla Cina della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, da Santiago (MIR) a El Salvador (FPL-FAPL), da Managua della rivoluzione sandinista, e anche laddove il revisionismo armato ha alfine avuto il sopravvento sul processo rivoluzionario con processi di pacificazione nazionale, in Guatemala e Colombia per esempio nei ’70-‘80, da Sao Paulo e Rio (Marighella) a Buenos Aires (ERP) a Caracas (FALN), da Oaxaca (EPR) alla resistenza iraquena oggi),  non solo un ferocissimo livello repressivo che agisce con follia crescente e spasmodico livore la politica dell’ “acqua da prosciugare” con ogni mezzo (teoremi in Italia propri di molti intellettuali di “sinistra” nel ’77 che si accompagnavano agli strali dei Valiani, Trombadori e Selva del tutto simmetrici e confacenti al livello di scontro, alla politica dei desaparecidos cileni ed argentini), ma soprattutto un duplice livello di guerra sporca: da una parte il tentativo di corruzione e di infiltrazione tra i prigionieri rivoluzionari, ostaggi nelle mani del nemico, e fianco debole allorquando la solidarietà tra i rivoluzionari prigionieri viene meno in ragione di fattori dati e dall’ambiente stesso e dal settarismo congenito di molte esperienze allorquando maturano le sconfitte tattiche, rendendole così a volte addirittura strategiche; ed infatti la prima guerriglia assumerà dalla Germania alla Spagna, dall’Italia alla Palestina, la questione della liberazione dei prigionieri come fondamentale; il tutto all’interno della politica stragista e di destabilizzazione reazionaria che nel caso italiano prende l’avvio dal tentato golpe De Lorenzo e da Piazza Fontana (Gladio e fascisti)   dall’altra la gestione mediatica del  potere diretta a deformare i fatti, dipingere i guerriglieri come terroristi, giustificarne leggi speciali e liberticide, la conseguente repressione sociale e limitazione dell’agire politico della sinistra rivoluzionaria, legittimarne l’assassinio in strada (politica adottata in seguito con ogni latitante del “crimine” che osasse sparare sulla polizia), gestirne le allucinanti condizioni di tortura nelle caserme e nelle carceri ed i successivi metodi di tortura bianca nelle carceri (che in Germania sin dalla prima metà degli anni ’70, ed in Italia dal ’82 almeno, presero piede nel silenzio generale).

Come si vede, queste cose sono state e sono praticate in dimensioni molto maggiori e con qualità di violenza assolutamente superiore da parte dell’imperialismo e dei suoi regimi lacchè, non solo in occasione di guerre (Algeria, Kampuchea, Laos, Viet Nam, Grenada, Tripoli, guerra del golfo, Somalia, Jugoslavia, Afghanistan, invasione dell’ Iraq) ma anche all’interno dei conflitti interni (Indonesia, 1965, Palestina e Libano, da trent’anni a questa parte, Perù, anni 80 e 90, Honduras, Guatemala, Argentina, Salvador, anni ’70 e ’80, Kurdistan dal ’84 in poi, Nepal oggi, ecc.), e questo dovrebbe attestare DOVE STA IL CENTRO RIVOLUZIONARIO OGGI, dato che per noi comunisti ogni uomo e donna sfruttati, ogni vecchio e bambino, ogni lavoratore e combattente,  hanno la stessa importanza. Non sta cioè automaticamente dove necessariamente il popolo risponde alla violenza imperialista subendone l’attacco, ma dove la qualità del conflitto è ad uno stadio superiore. Questo è tanto più necessario oggi, per non arrivare, nonostante l’appoggio alla resistenza antimperialista di ogni popolo, a definire Bin Laden un rivoluzionario o Saddam Hussein un compagno, visto che entrambi sgozzavano o facevano impiccare i comunisti ed i rivoluzionari, le donne ribelli ed i guerriglieri.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 15 giugno 1949:

“La vittoria non deve in alcun modo indurci ad attenuare la nostra vigilanza nei confronti degli insensati complotti degli imperialisti e dei loro lacchè, che cercano la loro rivincita.  Chiunque attenuerà la propria vigilanza si ritroverà politicamente disarmato e ridotto in una posizione di passività.”

“Gli imperialisti e i loro lacchè, i reazionari cinesi, non si rassegneranno mai alla loro sconfitta sulla nostra terra di Cina. Continueranno ad agire in combutta per opporsi al popolo cinese e con tutti i mezzi possibili. Per esempio, essi invieranno i loro agenti ad infiltrarsi nell’interno della Cina, per seminarvi la discordia e suscitare disordini. È certo che non rinunceranno mai a queste attività.  Oppure, ancora, gli imperialisti inciteranno i reazionari cinesi a bloccare i porti della Cina, persino offrendo loro l’aiuto delle proprie forze.  Faranno tutto questo per tutto il tempo che ciò sarà loro possibile.  Inoltre, se desiderano lanciarsi in nuove avventure, spediranno truppe a fare incursioni nelle nostre regioni di frontiera: nemmeno questo è impossibile. Bisogna che noi teniamo pienamente conto di tutto questo.”

(“Discorso al Comitato preparatorio della nuova

Conferenza consultiva politica”,

15 giugno 1949, vol.11, cit., pagg.119-122)

 

L’attenuazione della vigilanza politica è quanto è avvenuto in Italia e Francia, per esempio, dopo il ’68. In Italia questo si è rivolto ad una “vigilanza sbirresca” nel movimento operaio da parte del revisionismo, speculatore infamassimo delle stragi fasciste. La rivoluzione pareva dietro l’angolo ai compagni ed alle compagne di allora. Pareva che il sistema imperialista sarebbe crollato, non si considerava, per la giovinezza delle avanguardie e per la base teorica marcia e putrida del revisionismo che influenzava moltissimo la base della rivolta, che il sistema imperialista capitalista avrebbe certamente prodotto delle contromisure e avrebbe reagito colpo su colpo con ferocia inaudita. Lo si capì presto non solo con quanto accadde in Medio Oriente ed in America latina, ma anche con le modificazioni interne al sistema economico che scaricò sulla classe operaia multinazionale i costi della crisi strutturale che stava iniziando dopo il ciclo della ricostruzione post-bellica. Per questo fu giocoforza una cartina di tornasole del vero “spessore” di certa contestazione giovanile e studentesca di contestatori fattisi baroni “di sinistra” (da Negri a Cacciari per capirci), l’evaporazione di certe teorie di fatto anticomuniste che ingannarono tanti giovani compagni lasciandoli quasi tutti impreparati di fronte al livello di scontro che i fatti, la crisi generale, le lotte stesse, avevano prodotto.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ha scritto il 17 ottobre 1945, nell’ambito del conflitto interno in Cina con l’imperialismo occidentale ed americano sceso in campo a sostegno dei nazionalisti:

“Il mondo progredisce, l’avvenire è radioso, nessuno riuscirà a invertire questo corso generale della storia.  Noi dobbiamo costantemente far conoscere al popolo i progressi del mondo e il suo avvenire luminoso, allo scopo di aiutare il popolo ad aver fiducia nella vittoria.”

(“Sui negoziati di ChungKing”, 17 ottobre 1945,

in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,

vol.9, pagg. 227 e segg.)

A 60 anni di distanza, davanti a crolli di illusioni ed ideali raffinati, di tentativi e realizzazioni storiche (il socialismo in URSS e nei paesi fratelli fino al 1955, il socialismo in Cina sino al 1976), molti accettano supini le teorie fasulle prodotte e confezionate da borghesucci infiocchettati che bacchettano dozzinalmente le dita di studenti senza memoria nei banchi degli emicicli universitari, ideucole di ben poco spessore (vedi Alberoni sul Corriere) che rimandano ad interpretazioni interclassiste e sovrastrutturali dei fenomeni sociali ed interpersonali (mescolati abilmente in un unico frappè), della “fine della Storia” e dell’ “impossibilità della Rivoluzione”. Teorie in genere anche coraggiosamente indaganti lo sfacelo capitalista (Virilio, tra gli esempi meno nemici della trasformazione rivoluzionaria), ma sostanzialmente inadempienti ai compiti di fase dell’Umanità e della sua guida, la classe lavoratrice (con le parole di Marx: non ci servono filosofi).

Tuttavia il vuoto è talmente tanto, nell’immaginario di molti, che faticano a vedere la violenza crescente dell’imperialismo ed il livello raffinatissimo di tortura e preparazione militare che una nuova classe di “cavalieri del Santo Graal - Dio il denaro” si scaglia all’assalto di paghette sostanziose armata di sistemi di puntamento, visione notturna e comunicazione satellitare tali da far impallidire gli album di fantascienza degli Ufo che gli USA producevano nel primo dopoguerra per preparare la popolazione alla guerra atomica contro l’URSS.

Tutto questo però non INVERTE il corso generale della storia. Crederlo significherebbe astrarre i fatti dal loro contesto, e leggerli nella loro dimensione quantitativa (quante armi, quante carceri, quanto sfruttamento, è “impossibile fare la rivoluzione”, “bisogna migliorare la società”  ignorando la falla crescente nel proprio bastimento) anziché qualitativa (il livello dello scontro coinvolge necessariamente ANCHE il proletariato e la sua avanguardia rivoluzionaria).

Si viene a creare così non più solo il “cuscinetto sociale” della piccola borghesia (in realtà sempre più piccola ma non meno diffusa e comodamente distesa nei suoi lettini ad acqua con il proprio pc portatile sempre a portata di mano) ma anche una sempre maggiore struttura-sovrastrutturale che in realtà si viene a connaturare in maniera crescente alla struttura capitalista (la medicina, la scienza, la biologia, la tecnologia militare, le comunicazioni).

C’è una grande domanda di ribellione ed impegno che coinvolge anche la società che vive in questo milieu, ma la sinistra rivoluzionaria è ghettizzata dal sistema reazionario ed emergenziale in maniera tale da permettere ai fascisti in divisa ed al governo (di ogni tinta siano, sempre legati alla borghesia confindustriale ed ai potentati economici multinazionali) di contenerne le istanze ed idee all’interno di ambiti ben limitati, sfruttando anche il vuoto generale prodotto scientemente dal revisionismo. Per esempio, il revisionismo più trucido, quello di Cossutta e Diliberto, non produce cultura classista se non in periodici, ha volutamente operato la rottura in Rifondazione per permettere al regime del centro-sinistra di campare prendendosi dei posti di potere per fare cose che neppure i fascisti veri osavano sognare, ha così conquistato un ruolo di assoluta minoritarietà tale da potersi permettere di eludere gli stessi compiti di fase che un qualsiasi Ziuganov gli poteva dettare, tra i quali quello di fondare una nuova Unità, se loro erano i veri testamentari del vecchio Pci, tanto per dirne una. Invece oggi L’Unità è di Baldini & Castoldi, e il manifesto ha dovuto cedere molta parte della sua proprietà ad una   multinazionale dell’abbigliamento abbastanza nota. Con questi residuati del ’68, dove vogliamo andare ?

Di sicuro non sono esempi che si inseriscono nella tendenza generale rivoluzionaria, ma fanno parte del contenimento.

 Se, allora, come crede chi scrive, Mao Tse-Tung aveva ragione, nessuno riuscirà ad invertire il corso generale della storia, che è la trasformazione rivoluzionaria, ma solo a rallentarne lo sviluppo con guerre, colpi di stato, stragi studiate a tavolino dall’imperialismo e prodotte dai suoi conflitti interni, come Ground zero, il nostro compito può e deve essere allora ANCHE quello di offrire risposte alle più svariate questioni e problematiche che la natura dei rapporti sociali esprimono, ma sempre all’interno di una visione di classe delle cose. Cose che nei quotidiani e periodici della sinistra borghese, revisionista, o comunque non rivoluzionaria e “nonviolenta”, non possiamo leggere se non fortuitamente.

Ciononostante la borghesia non si accontenta, e spinge verso il fascismo e la dittatura dei jet-set. Quindi anche i revisionisti divengono loro malgrado conflittuali a questo regime anche solo a nominare i compagni caduti nella guerra partigiana.

Anche questo è un segno importante del fatto che il conflitto è sempre LUI, che i fascisti non sono altro che strumenti del capitale che appaiono fuori dalle loro fogne solo quando il movimento operaio e rivoluzionario subisce, che la tendenza che noi avanziamo al popolo ed al proletariato rivoluzionario non può essere altro che la rivoluzione.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 5 marzo 1949:

I comandanti e i combattenti dell’Esercito popolare di liberazione non devono in alcun modo attenuare la loro volontà di lotta; qualunque pensiero che tenda ad attenuare la volontà di lotta o a sottovalutare il nemico è errato.”

(“Rapporto alla seconda sessione plenaria

del Comitato centrale uscito

dal VII Congresso del Partito comunista cinese”,

5 marzo 1949,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol. 11, pagg.79-90)

 

Per concludere il capitolo ed i  nostri commenti relativi, direi che qualsiasi pensiero che tenda ad attenuare la volontà di lotta o a sottovalutare il nemico è errato OD è frutto di sublimazioni e pensieri che il nemico ci instilla con teconologie militari occulte, specie mentre siamo nelle sue mani, e deve quindi essere rifiutato anche dopo che ci è sembrato corretto, se eravamo rilassati o semiaddormentati dalla stanchezza e dalla fatica mentale cui il nemico ci sottopone, mentre ci tortura silenziosamente nelle sue galere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6.       L’imperialismo e tutti i reazionari sono tigri di carta

 

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto nell’agosto 1946 nel corso dell’intervista rilasciata alla giornalista americana Anne Louise Strong:

Tutti i reazionari sono tigri di carta. Apparentemente sono terribili, ma in realtà non sono poi tanto potenti.  A considerare la cosa dal punto di vista dell’avvenire, il popolo è veramente potente, e non i reazionari.”

(“Intervista alla giornalista americana Anne Louise Strong”, agosto 1946, in  Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.10, pagg.51-56)

 

Questa citazione è stata molto utilizzata dalla metà degli anni sessanta in poi, soprattutto nei movimenti per la pace e studenteschi, in quanto esprime in pochissime parole un punto di vista non solo critico ed anche ironico della potenza bellica, ma sostanzialmente deflagrante di ogni concezione autoritaria. Mao infatti non parla esplicitamente dell’imperialismo americano, ma lo sottende. Afferma una critica ai reazionari in quanto sa che tale termine è direttamente legato alle autorità militari ed autoritarie dell’imperialismo, lo dice mentre in Cina l’Armata Rossa dà gli ultimi colpi ai nazionalisti reazionari sostenuti dall’esercito americano prima di arrivare al potere, mentre nelle basi rosse capitalizza nonostante gli attacchi del nemico una esperienza di una dozzina d’anni almeno di nuovo potere e democrazia popolare, comunismo in costruzione, collettivismo e critica autocritica trasformazione. Lo afferma perché sa che solo la rivoluzione è potente nell’arco della storia, la violenza delle guerre imperialistiche e di conquista sono solo morte devastazione e distruzione, solo la guerra rivoluzionaria sa essere implacabile e clemente insieme, e sa che solo l’espressione del popolo cosciente che si fa protagonista della Storia è vera potenza.  Afferma una tendenza (“dal punto di vista dell’avvenire”), non guarda solo o principalmente alle distruzioni, di cui pure è al corrente, avvenute negli anni precedenti in particolare ma non certo solo lì, in Europa.  La afferma perché sa che lo sviluppo delle forme di società dell’umanità, addirittura a prescindere dalla fase capitalista in quanto tale, affermando un riferimento di principio, universale, preclude sempre ad una trasformazione della coscienza, ad una sua evoluzione, che non può, pena l’asfissia e l’estinzione, comprimersi nel popolo, ma solo espandersi, e questo tantopiù quando l’orrore è più grande, poiché essendo lo sviluppo maggiore ed il progresso sostanzialmente invariabile (viceversa la tendenza sarebbe mortale per l’umanità, ed in un certo senso certi grandi capitalisti preferirebbero veder scomparire l’umanità piuttosto che perdere i loro denari e potere) la coscienza del popolo è più sensibile e la sua espressione è l’unica forza possibile, l’unica forza concreta e reale.  Da questa concezione a quella della mobilitazione popolare nell’esercito, sorta non solo in Jugoslavia, URSS ed Albania, ma anche nell’Italia del compromesso tra le forze antifasciste (che preclude appunto al popolo come proprietario dell’esercito, dandogli i giovani per un dato periodo di tempo, e pronto a mobilitarsi in caso di aggressione, come ebbe a riaffermare un tempo il democristiano Forlani), ed oggi annientata dalla concezione imperialista della proprietà statale dell’esercito che viene demandato ai mercenari, non vi era molta differenza. Oggi l’acutizzarsi dello scontro tra i popoli del mondo ed il potere imperialista del capitale multinazionale e degli Stati imperialisti e guerrafondai, conduce a minori speranze che nel breve periodo il popolo dei paesi imperialisti sappia accorgersi per tempo dello sbocco che gli eventi possono prendere, tanto da rendere normale il vivere per la gente comune nell’incertezza di ogni cosa, dall’abitazione al rapporto matrimoniale al posto di lavoro alla salute alla stessa pensione.  Proprio questa idea della potenza del popolo viene continuamente nascosta e mistificata dal potere e dai suoi scribacchini e lestofanti anchorman, che sostengono senza ritegno concezioni ed ideologie nelle quali il popolo è solo chiamato ad esprimersi elettoralmente ogni tot anni, e non ha di fatto alcun diritto di parola rispetto alle concrete scelte esecutive del potere.  In questo senso nel popolo vivono ancora parti cospicue delle forze armate e di polizia, ma sono estraniate dalle scelte concrete dei loro comandi e dei corpi d’élite che agiscono direttamente su un altro piano, di controllo e contenimento del potere popolare possibile.

Tigri di carta sono allora i Ferrara, i Vespa e i vari Fede, Selva e compagnia cantante, che poi oramai si scambiano i ruoli tra giornalisti, parlamentari, scrittori, registi e vatelapesca. Quasi che potere politico, giornalistico, economico, militare, giudiziario, si fossero fusi anche soggettivamente attraverso incroci, intrecci, scambi di ruolo e determinazioni classiste sempre più élitarie, quasi un jet-set in grado di esercitare un potere specifico in ogni emergenza, come oggi, dopo il 11 settembre, alibi e giustificazione dell’abbattimento dello stato di diritto nei paesi occidentali.

Costoro sono espressione volgare ed aggressiva di un potere che quando è minacciato e  alla gogna, reagisce in forme folli e straordinarie senza porsi problemi rispetto agli effetti del proprio agire, continuando a mistificare quotidianamente l’agire delle masse, a nasconderlo e disprezzarlo, a censurare i problemi veri della gente, dei lavoratori, a spiccicargli sopra le veline sui personaggi importanti e a deformare la vera natura delle loro operazioni di guerra sporca (persecuzione dei comunisti e degli anarchici, montature dietrologiche tese ad accostare organizzazioni combattenti o sedicenti tali ad organizzazioni politiche pubbliche, arresti di innocenti, processi inquisitoriali, bombe falsamente rivendicate, sparizione di persone importanti, immigrati, rivoluzionari e scienziati, uccisione di oppositori, tortura anche sessuale ecc.).

Nei decenni successivi, questa affermazione di Mao è stata verificata in Corea, a Cuba, in Viet Nam, Lao e Kampuchea, negli stessi paesi socialisti divenuti revisionisti che hanno avuto bisogno dei carri armati per gestire le contestazioni popolari, così come in ogni angolo del pianeta, con l’affermarsi di movimenti guerriglieri e guerre popolari rivoluzionarie che oggi si affermano nonostante la cortina fumogena e di silenzio dei media e dei loro poco critici operatori.

Mao affermando che è il popolo “veramente potente” e non i reazionari ed il loro mastodontico apparato militare imperialista, afferma che chi ha bisogno di nascondere la verità delle cose è debole perché fonda il proprio potere su un’oppressione data dalla menzogna. E la società borghese, la sua giustizia, il suo apparato statale, non potranno certo cambiare natura per il colore dei partiti parlamentari che saliranno al governo, restando immutata la natura del loro rapporto meschino e infingardo verso le masse. Il concetto strategico (la debolezza dell’imperialismo e dei reazionari) è espresso anche negli stessi termini dodici anni dopo.

 

Il 1 dicembre 1958 il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto:

“Così come al mondo non esiste cosa di cui la natura non sia duplice (è, questa, la legge dell’unità dei contrari), l’imperialismo e tutti i reazionari hanno una duplice natura  -sono vere tigri e, nello stesso tempo, tigri di carta.  In passato, la classe dei proprietari di schiavi, la classe feudale dei proprietari fondiari e la borghesia furono, prma della loro conquista del potere e per un certo periodo di tempo successivo, pieni di vitalità, rivoluzionarie e progressiste; erano vere tigri.  Ma nel periodo successivo, mentre i loro antagonisti  -le classi degli schiavi, i contadini e il proletariato-  si facevano maturi e impegnavano la loro lotta contro di esse, una lotta vieppiù violenta, quelle classi dominanti si sono diventate reazionarie, retrograde, tigri di carta.  E, in ultima istanza, sono state rovesciate dal popolo o saranno rovesciate un giorno. Ma anche nella lotta a oltranza che il popolo conduceva contro di esse, queste classi reazionarie, retrograde, decadenti, conservavano la loro duplice natura.  In un certo senso, erano vere tigri; divoravano le persone, le divoravano a milioni e a decine di milioni.  La lotta popolare stava atraversando un periodo di difficoltà e di prove, e il suo percorso era pieno di svolte e di vie traverse. Il popolo cinese ha dovuto consacrare più di cento anni alla lotta per liquidare in Cina il dominio dell’imperialismo, del feudalesimo e del capitalismo burocratico, ha dovuto dare decine di milioni di vite umane prima di giungere, nel 1949, alla vittoria.  Vedete: non si trattava forse di tigri vive, di tigri di ferro, di tigri vere ?  Ma, in ultima istanza, sono divenute tigri di carta, tigri morte, tigri di ricotta.  Sono, questi, fatti storici. E non si sono visti, non se n’è sentito parlare ?   In realtà ce ne sono state migliaia, decine di migliaia !   Migliaia e decine di migliaia !  Così, considerati nella loro essenza, dal punto di vista dell’avvenire e dall’angolo di visuale strategico, l’imperialismo e tutti i reazionari vanno considerati per quello che sono: tigri di carta. È su questa base che si fonda il nostro pensiero startegico.  D’altra parte, essi sono anche tigri vive, tigri di ferro, vere tigri; mangiano gli uomini.  È su questa base che si fonda il nostro pensiero tattico.

(“Intervento alla riunione a Wuchang dell’Ufficio politico del Comitato centrale del Partito comunista cinese”, 1 dicembre 1958, nota introduttiva all’Intervista di cui al testo precedente,

in  Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.16, pagg. 262-264)

 

Qui al concetto strategico si aggiunge la specificazione del concetto tattico, cioè la capacità di comprendere come combattere in condizioni di inferiorità di fronte all’espressione più acuta della barbarie militarista imperialista.

Smentendo una rilettura falsa ed opportunista delle definizioni di strategia e tattica, che nel nostro paese la cultura revisionista ha seminato a piene mani nella sinistra, secondo cui la tattica è per forza di cose un sistema di mediazione, e riflette una politica fondamentalmente di resa e di internità alle istituzioni del nemico, qui Mao accenna alla tattica come alla presa d’atto del contesto concreto in cui la forza brutale ed aggressiva del potere si esprime, presa d’atto che determina il comportamento delle forze della resistenza in ogni situazione.

 

 

 

Il 18 novembre 1957 il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto:

“Ho affermato che tutti i reazionari ritenuti potenti non sono in realtà che tigri di carta.  Ciò per la semplice ragione che essi sono staccati dal popolo.  Ebbene, Hitler non era forse una tigre di carta ?  Hitler non è stato abbattuto ?  Ho anche affermato che tale era lo zar, l’imperatore di Cina, e così l’imperialismo giapponese.  Voi vedete che tutti sono stati abbattuti. L’imperialismo americano non è ancora stato abbattuto e, inoltre, possiede la bomba atomica; ma, a mio avviso, anch’esso verrà abbattuto, anche esso è una tigre di carta.”

(Terzo intervento alla Conferenza di Mosca dei Partiti comunisti e operai, 18 novembre 1957,

in Opere, cit., vol. 15, pagg. 165-176)

 

In ogni tempo nella società capitalista i borghesi ed i loro servi in Italia come in ogni paese hanno la necessità di e cercano di far credere alle masse che il loro potere sia immenso ed impossibile a cedere il passo ad un altro sistema sociale. I borghesi di ogni paese passano tranquillamente dalle lodi al re, all’imperatore o al capo di un governo presidenzialista, a quello di un governo eletto con il sistema democratico, a quello di un governo istituito con un colpo di stato o a quello di un governo fantoccio di un paese dominante straniero coloniale od imperialista. Così, la famiglia Agnelli plaudeva al re, poi a Mussolini, quindi a Bonomi, De Gasperi, Scelba, Moro, Andreotti, Bisaglia, Donat-Cattin, Rumor, De Lorenzo, Gonnella, Zaccagnini, Craxi, Forlani, Martelli, De Michelis e compagnia mangiante. Allo stesso modo il Berlusconi di oggi è erede di persone per le quali il re, Mussolini, Badoglio, Bonomi e De Gasperi andavano tutti bene: avevano un’unica cosa in comune, difendevano la proprietà privata dei mezzi di produzione.  Il potere imperialista di oggi, specie quello americano, offre una immagine di potenza estremamente appariscente per l’opinione pubblica, allorquando invade in pompa magna i paesi suoi “nemici” distruggendo case, ospedali, beni privati, alberghi, siti industriali, ponti, strade, ecc., uccidendo decine di migliaia di persone.  Poi, immancabilmente, dopo mesi o anni, si viene a sapere di come trattano i prigionieri, anche i loro stessi concittadini, e si assiste ad una crescente resistenza che dà la morte a centinaia di loro militari, abbatte elicotteri, distrugge mezzi e carri armati, attacca basi militari e colonne in movimento.  L’immagine di potenza allora sciama, e rimane l’ingiustizia della pratica imperialista, e l’orrore del loro scellerato uso della guerra per scopi meramente economici ammantati con giustificazioni “politiche”.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 6 novembre 1957:

“Un proverbio cinese definisce l’azione di certi sciocchi dicendo che ‘essi sollevano una pietra per lasciarsela cascare sui piedi.’ I reazionari di tutti i paesi sono precisamente degli sciocchi di questo genere. Le repressioni di ogni sorta che essi mettano in atto contro il popolo rivoluzionario non possono altro, in definitiva, che spingere il popolo ad intensificare la rivoluzione.  Le varie repressioni a cui si sono dedicati lo zar e Chiang Kai-shek non hanno forse appunto svolto questo ruolo di stimolo nelle grandi rivoluzioni russa e cinesa ?”

(Intervento alla riunione del Soviet supremo dell’URSS

per la celebrazione del 40° anniversario della grande

Rivoluzione sovietica di ottobre, 6 novembre 1957,

in Opere, vol.15, pag.151-156)

 

Importantissimo filosoficamente per ogni lavoratore di avanguardia: i provocatori ed i potenti sono soliti attaccare su questioni apparentemente durissime, incredibili, che richiedono il massimo dello sdegno borghese verso questi zozzi proletari che hanno osato ribellarsi e spargere sangue; essi parlano come se la natura e tutte le cose gli avessero sempre appartenuto, mentre invece sappiamo che tutto quanto possiedono lo hanno strappato, in parte loro in parte i loro avi, o a volte anche “tutto da soli”, al popolo.

Così facendo, sollevano polveroni, indagini, processi, questioni sociali che in definitiva li travolgono.

È stata anche la fine degli Agnelli, che non sono più riusciti non solo a mantenere il ruolo di maggiore forza economica privata in Italia (il corsivo evidenzia i limiti verso la trasformazione socialista, della nostra Costituzione repubblicana, che non va oltre una parziale ipotesi di riappropriazione popolare dell’economia pubblica, art.43, peraltro in controtendenza agli avvenimenti idegni della politica borghese che hanno svenduto il paese con le privatizzazioni aprendo la strada, con pochi precursori all’estero, alle privatizzazioni, il che ripropone un’altra questioncina, su chi è che fa sì che l’Italia esporti tutto il male del mondo), ma neppure a mantenere l’indipendenza del proprio patrimonio economico.

Nella storia questi avvenimenti si ripetono spesso: da Mussolini a Fujimori. Ma la borghesia è talmente dotata di mezzi che opera per stonare la mente della gente, da riproporre subito dopo un nuovo “leader”: ciò che il comunismo cerca di eliminare, la falsa soluzione della delega dei poteri e la massima partecipazione ad ogni decisione.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto l’ 8 settembre 1958, 15 anni dopo il tracollo nazionale e l’inizio della resistenza antifascista, con Mussolini fuggiasco che ordiva coi tedeschi nuove trame ed una repubblica bastarda di torturatori, e gli americani alle porte della loro invasione della nostra terra, grazie al tradimento storico fascista:

“L’imperialismo americano occupa da nove anni il nostro  territorio di Formosa, e, ancora recentemente, ha inviato le sue forze armate a occupare il Libano.  Gli Stati Uniti hanno installato centinaia di basi militari distribuite in numerosi paesi, nel mondo intero.  Tuttavia, il territorio cinese di Formosa, il Libano, come tutte le altre basi militari all’estero sono altrettanti cappi al collo dell’imperialismo americano. Sono gli americani stessi, e nessun altro, a fabbricare queste corde e a sistemarsele attorno al collo, mettendo in mano l’altro capo della corda al popolo cinese, ai popoli arabi e a tutti i popoli che vogliono la pace e che sono in lotta contro l’aggressione.  E quanto più gli aggressori americani indugeranno in questi luoghi, tanto più le corde che loro stringono la gola si tireranno.”

(Discorso alla Conferenza suprema dello stato, secondo discorso, 8 settembre 1958, in Opere, vol. 15, pagg.165-168)

Leggendo il libretto rosso abbiamo davanti anche questa favolosa affermazione, che risalta nell’alto dei cieli e nel rosso dell’aurora del proletariato, di fronte a questi  14 anni di guerra da che  gli USA sono tornati ad insanguinare direttamente il Medio Oriente, dopo aver abbattuto un Itavia nei cieli di Ustica, dopo aver sostenuto “israele” nella infame occupazione del Libano, ed aver bombardato Tripoli negli anni immediatamente precedenti. Fu usata nel volantino firmato, in basso a sinistra,  per la costruzione del Partito Comunista Combattente – Brigate Rosse”,  che rivendicava l’azione anti-USA per la quale mi arrestarono nell’ottobre 1993. Come si può non condividere un componimento del genere, così corretto e valido storicamente a distanza di quasi cinquant’anni ?

 

 

 

Il Presidente Mao Tse-Tung dichiarò ad un giornalista il 29 settembre 1958:

“Gli imperialisti non dureranno più molto, poiché stanno commettendo tutti i misfatti possibili. La loro specialità è ora quella di sostenere i reazionari ostili al popolo nei diversi paesi del mondo.  Essi occupano numerose colonie, semicolonie e basi militari.  Essi minacciano la pace con una guerra atomica.  Il che comporta che più del 90 per cento della popolazione mondiale si solleva o sta per sollevarsi contro di loro.  Gli imperialisti sono ancora vivi; essi continuano a far sì che l’arbitrio regni in Asia, in Africa e nell’America latina. In occidente, essi opprimono ancora le masse popolari dei diversi paesi.  Questa situazione deve cambiare.  Incombe ai popoli del mondo intero il compito di porre fine all’aggressione e all’oppressione dell’imperialismo, e in primo luogo dell’imperialismo americano.”

 

(Intervista con un  giornalista della Agenzia Hsinhua in occasione del ritorno da un viaggio di ispezione in alcune province dello Yangtse,

29 settembre 1958, in Opere, vol.15, pagg.175-176)

 

Negli anni sessanta, cioè ben 40 anni fa, sia l’URSS in mano oramai ai revisionisti, sia Cuba, la Cina, che le lotte popolari che iniziarono negli States contro la guerra in Indocina, i movimenti anti-razzisti (USA, “israele”, “rhodesia” e Sud Africa), nonché i vasti movimenti per la pace che si estendevano in Europa e Giappone, così come tutti i movimenti di guerriglia e popolari del Tricontinente, sorti in quegli anni un po’ dovunque significativamente anche in Palestina, portarono gli USA in una profonda crisi politica e sociale che costituì effettivamente uno schieramento come quello anticipato da Mao.  Oggi la situazione concreta non è diversa, ma è talmente tanto acuta e drammatica (a parte le zone di guerra, nel Tricontinente negli anni sessanta vi erano luoghi in cui la maggioranza della gente poteva sorridere ancora, e non per la farina dei preti) da apparire diversa.

I lavoratori, i giovani, le donne, gli studenti, gli anziani antifascisti, a cui è diretto questo libretto, debbono ricordare e irrompere nella politica che è negata loro, con ogni mezzo necessario: l’imperialismo è cieco, e distrugge, prima  di se stesso, milioni e milioni di esseri umani.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung, il 12 gennaio 1964, ci scrisse:

“L’imperialismo americano detta ovunque le sue leggi, si è posto in una posizione ostile ai popoli del mondo intero e va sempre più isolandosi.  Le bombe A e H che esso possiede non riusciranno a intimidire coloro che rifiutano di essere schiavi. È impossibile arginare la marea di collera dei popoli contro gli aggressori americani.  La lotta dei popoli di tutto il mondo contro l’imperialismo americano e i suoi lacchè otterrà certamente vittorie sempre più grandi.”

 

(Dichiarazione a sostegno della giusta lotta patriottica del popolo panamense contro l’imperialismo americano,

12 gennaio 1964, in Opere, vol.21, pagg. 29-30)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto, sempre il 8 settembre 1958:

“Se i gruppi di capitalisti monopolistici americani insistono nella loro politica di aggressione e di guerra, verrà inevitabilmente il giorno in cui essi verranno impiccati da tutti i popoli del mondo. La stessa sorte spetterà ai complici degli Stati Uniti.”

(Discorso alla Conferenza suprema dello stato, secondo discorso, 8 settembre 1958, in Opere, vol. 15, pagg.165-168)

 

Nella prima di queste due dichiarazioni si diceva anche “L’imperialismo USA è il più feroce nemico dei popoli di tutto il mondo.  Il piano aggressivo dell’imperialismo USA che mira al dominio del mondo intero segue una linea ininterrotta, da Truman passando per Eisenhower e Kennedy fino a Johnson” … e Nixon e Kissinger, diremmo noi, magari domandandoci perché, come Von Ribbentrop nel 1939, Chou En-Lai nel 1972 firmarono accordi con il nemico. 

Se in URSS nel 1939 si trattò di una mossa tattica utile a controbilanciare la infame mossa del Trattato di Monaco del 1938, in Cina questo atto rappresentava una mossa diplomatica diretta a permettere agli USA di andarsene dall’Indocina il più in fretta possibile salvando almeno l’apparenza di un ristabilimento dei rapporti con la Cina. 

In realtà, come individuarono giustamente Wang Hong-wen, Chang Chung-Chiao, Yao Wen-Yuan e Chiang Ching ed i loro compagni e compagne, si trattava anche di una mossa dal profondo significato politico revisionista, infatti la Cina non era in guerra in quel momento e non doveva salvare un gigantesco numero di vite umane dato che in Indocina gli USA stavano oramai per crollare ed il peggio era già stato fatto dai loro bombardieri.

Mettendo la pace avanti a tutto, Mao pensava forse di poter trattenere gli USA e di dare tempo così alla rivoluzione di svilupparsi nel mondo, non a caso in quegli anni si discute anche nel partito della suddivisione del pianeta in tre aree distinte. Ma questo genere di cose viene visto dalla destra del partito come uno spazio utile a muoversi in una direzione diversa, che poi sarà quella dell’affossamento del socialismo attraverso lo scioglimento di moltissime Comuni, la formazione di una classe dirigente borghese, il riemergere di forme mafiose di potere nel partito, infine l’apertura al sistema misto “capitalista-socialista”.

Mao era vecchio, e Chou En-Lai era un compagno (che morì nel suo stesso anno) di cui fidarsi tanto  da rivolgere i suoi dubbi a difendere il socialismo dai traditori, in una poesia dedicata proprio a lui, e, mentre i compagni del gruppo dirigente della grande rivoluzione culturale proletaria iniziavano la lotta ideologica contro la destra di Chou En-Lai e di tanti altri dirigenti futuri usurpatori della rivoluzione e traditori (lotta di cui si ha traccia qualificata in Andare controcorrente è un principio marxista-leninista, di Fan Kan-Liang, dicembre 1973, La critica del confucianesimo e la lotta tra due linee in seno al Partito comunista cinese, di Chin Shi-Pai, novembre 1974, e La dittatura completa sulla borghesia, di Chang Chung-Chiao, aprile 1975, tutti pubblicati nel volume 25 delle Opere delle Ed.Rapporti sociali, 1991-1994), il suo potere e ascendente nel Partito non fu tale da impedire la formazione di una cricca dirigente reazionaria e golpista (Hua Kuo-Feng, Deng Tsiao-Ping ed altri).

Queste motivazioni, affrontate con maggiore profondità se necessario, sono quelle che molto opportunisticamente opportunisti e falsi comunisti che riempiono banchi parlamentari e redazioni di riviste, e molti  più revisionisti che aleggiano mefitici con la loro vigliaccheria politica di fronte alle masse sfruttate ed oppresse di tutto il mondo, nascondono, vendendo una storia molto distorta, alle generazioni più giovani, della rivoluzione culturale e del successivo quarto di secolo (nel merito una ottima traduzione dalla rivista teorica del Partito comunista di Spagna –ricostituito-, Antorcha, nel suo n°1, ottobre 1997, che qui a Spoleto mi viene impedito leggere, dell’articolo “Cina – Le tappe della controrivoluzione, Note sulla situazione dopo il XV congresso del PCC”; inoltre “Senza contraddizione non c’è vita”, ed.Bertani, Verona, 1977; e le traduzioni dal n°1 di Socialisme Maintenant ! –Canada- del 1997, J.Miles, Come i revisionisti hanno stravolto la linea di Mao, J.Beaudoin, Deng Tsiao-Ping, becchino della rivoluzione, e del citato testo di Chang Chung-Chiao; infine, per quanto mi riguarda circa articoli degni di un’analisi quantomeno marxista-leninista, Cina-Allarme rosso nelle campagne cinesi, da Resistencia, organo del PCE-r- n°52, novembre 2000, che qui a Spoleto mi viene impedito leggere).

Se vi chiederete CHI SONO ED A QUALI PARTITI APPARTENGONO questi falsi comunisti e revisionisti, guardatevi in giro: sono quelli che vedete, in questa società i veri comunisti non sono come le allodole; spesso inoltre sono contigui o addirittura interni alle forze dell’ordine borghese.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto, il 18 novembre 1957:

“Per combattere il nemico abbiamo elaborato, nel corso di un lungo periodo, questo concetto: che, dal punto di vista strategico, dobbiamo disprezzare tutti i nemici, e, dal punto di vista tattico, tenerne pienamente conto. In altri termini: noi dobbiamo disprezzare il nemico nel suo insieme, ma dobbiamo tenerne seriamente conto in rapporto con ogni questione concreta. Se noi non disprezziamo il nemico nel suo insieme, cadiamo nell’opportunismo. Marx e Engels erano soltanto due persone, eppure affermavano già che il capitalismo sarebbe stato rovesciato nel mondo intero. Ma quanto alle questioni concrete e alle questioni che riguardano un qualunque nemico particolare, se non teniamo sufficientemente conto del nemico cadiamo nell’avventurismo. In guerra, le battaglie non possono essere combattute se non a una a una e le forze nemiche non possono venir  annientate se non unità per unità. Le officine non possono venir costruite se non a una a una. Un contadino non può lavorare la terra se non campo per campo. Lo stesso vale dei pasti. Dal punto di vista strategico, consumare un pasto non ci fa paura: riusciremo a cavarcela. In pratica, mangiamo boccone per boccone. Sarebbe impossibile ingoiare il pasto intero in un colpo solo. È quel che si dice la soluzione a uno a uno. In linguaggio militare, ciò si definisce distruggere il nemico unità per unità.”

“Ritengo che la situazione internazionale sia arrivata a una nuova svolta. Ora spirano due venti nel mondo: il vento dell’est e il vento dell’ovest. Secondo un detto cinese, ‘o il vento dell’est ha la meglio sul vento dell’ovest, oppure è il vento dell’ovest ad avere la meglio sul vento dell’est.’ A mio avviso, la caratteristica della situazione attuale è che il vento dell’est ha la meglio sul vento dell’ovest, la qual cosa significa che le forze socialiste hanno assunto una schiacciante superiorità sulle forze dell’imperialismo.”

(3° discorso alla Conferenza di Mosca dei Partiti comunisti ed operai, 18 novembre 1957, in Opere, vol.15, pagg. 165-176)

 

Come si è visto, nel volgere di tre decenni la situazione è cambiata, a causa dei danni prodotti dal revisionismo. I dirigenti revisionisti hanno portato alla distruzione del campo socialista in Europa orientale, hanno condotto i propri interessi personali dietro le altisonanti parole dell’equilibrio bellico nei confronti degli americani, ma ne hanno emulato la condotta nei confronti dei popoli del Sud del mondo.  Hanno permesso che enormi risorse popolari e rivoluzionarie venisero dissolte.

Tuttavia questo fa parte della dinamica della lotta di classe. Dopo la morte di Stalin in URSS, la lotta di potere è stata condotta con ogni mezzo dalla borghesia, che a tutt’oggi si dimostra come la più feroce delle classi lungo la storia. Il proletariato  ha compiuto grandi passi nell’esperienza storica della costruzione del socialismo, fino a raggiungere una ragguardevole forza in tutti i campi, ma i Soviet della classe operaia e delle masse popolari non sono stati in grado di mantenere il potere dentro il Partito.

Vi è chi afferma che, dopo la presa del potere, occorre costruire sistemi di potere proletario più articolati, duttili e capaci di incidere nei vari ambiti, onde impedire all’articolazione burocratica di farsi strada nel Partito stesso, corrompendo così, con esso, la natura della rivoluzione.

Tuttavia tutto questo sfascio prodotto dal revisionismo e dalla borghesia, successivamente anche in Cina, (colpo di stato nel 1976, abbandono dello Statuto rivoluzionario nel 1977, nuova Costituzione, abbandono del sistema unico delle Comuni, apertura ai mercati, repressione dei movimenti operai e studenteschi di base), non ha impedito alla Cina ed agli altri paesi dell’Est, come al complesso dei paesi del Sud del mondo, ad aderire allo schieramento antimperialista. Questo anzi  si è esteso alla stragrande maggioranza dell’umanità, confermando che non è il capitalismo la soglia più alta su cui l’umanità si sia attestata, a causa del suo sostanziale fallimento sftrutturale, generale, economico e culturale, e del suo inevitabile e continuo ricorso alle guerre, alla negazione degli interessi popolari, finanche alla loro esistenza stessa.

Il nostro disprezzo per l’imperialismo quindi deve essere totale e giammai i comunisti debbono abbassarsi a ricorrere ai mezzi dell’imperialismo, per nessun motivo, proprio per rafforzare la convinzione nella classe operaia e nel proletariato mondiale che così come diversi sono gli interessi che ci differenziano dai nostri nemici, così sono diversi i nostri metodi.

Il fine non giustifica i mezzi, ed i mezzi dell’imperialismo legittimano tutto il nostro odio ed il nostro disprezzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7. Avere il coraggio di lottare, avere il coraggio di vincere

 

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 28 novembre 1964:

“Popoli del mondo, unitevi per abbattere gli aggressori americani e i loro lacchè !  Basta che i popoli prestino orecchio soltanto al loro coraggio, che osino affrontare la lotta, sfidare le difficoltà, che avanzino a ondate successive, e il mondo intero apparterrà loro.   I mostri verranno tutti annientati.”

(Dichiarazione a sostegno del popolo del Congo-Kinghasha contro l’aggressione americana, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol. 22, pag.67)

 

Questo invito attualissimo è stato rivolto da Mao dopo l’aggressione imperialista al popolo del Congo, laddove, utilizzando le forze di “pace” dell’ONU, gli americani, insieme ai coloni belgi ed agli inglesi, hanno perpetrato l’assassinio del compagno Lumumba.

In quegli stessi anni, oltre alla aggressione del Viet Nam, all’aggressione ad altri paesi africani,  al sostegno dato alla repressione dei movimenti contadini e guerriglieri in America latina, alla politica di controllo con ogni mezzo dei paesi del Medio Oriente, gli USA agevolarono e permisero, contribuendovi alla preparazione, al massacro di oltre un milione di comunisti e loro familiari in Indonesia.

Le “ondate successive” cui si riferisce giustamente Mao sono quelle cui abbiamo assistito alla fine degli anni sessanta-inizio anni settanta, e, a partire dall’inizio della guerra popolare in Perù, in molti altri paesi del Sud del mondo, con le guerre popolari prolungate.

La Cina popolare diretta da Mao e dalle avanguardie rivoluzionarie della rivoluzione culturale cullarono la prima di queste due ondate rivoluzionarie, e tentarono di arginare e reprimere l’influenza nefasta, di metodo e stile di lavoro, di classe cui tendevano, di burocratizzazione della politica e imposizione alle masse, cui si era già assistito in URSS e nei partiti comunisti europei della “via pacifica al socialismo”, agevolando la partecipazione delle masse alla politica attraverso la rivoluzione culturale. Ma non bastò, a dimostrazione che un certo tasso di prevenzione e di repressione del revisionismo e dell’opportunismo (di destra, borghese, e di “sinistra”, estremista e pericoloso quando si allontana dalle masse e tende a cavalcarle con forme di complottiamo), ci vuole, anche nel massimo della democrazia popolare (socialismo verso il comunismo) per evitare che nella lotta di classe prenda il sopravvento di nuovo la borghesia, senza ricorrere, come ha dimostrato Mao pur eccedendo nella politica delle riabilitazioni, alla demonizzazione dei singoli, che in qualche modo è speculare alle peggiori dimostrazioni della storia della borghesia, ed in sé inutile, perché un solo compagno o proletario è in sé molto più debole del partito e delle masse.

Ciò, tuttavia, è in qualche modo inevitabile, poiché la lotta di classe trova spunto ed alimento non solo dalla necessità delle masse di vivere meglio e più equamente, ma anche dalla necessità di chi vuole comandare per guadagnare e vivere meglio egoisticamente, il che, essendo un obiettivo subdolo, al solito è coperto da mille moine e nascondimenti al solo scopo del potere per il potere.

Cosa che esula dal comunismo e dalla necessità stessa della dittatura proletaria.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse il 25 dicembre 1947:

“Dopo un lucido apprezzamento della situazione internazionale e della situazione interna, rifacendosi alla scienza del marxismo-leninismo, il Partito comunista è giunto alla convinzione che tutti gli attacchi dei reazionari all’interno e all’esterno non hanno oscurato il cielo, noi abbiamo fatto notare che quelle tenebre erano soltanto temporanee, che presto di sarebbero dissolte e che entro poco tempo il sole sarebbe tornato a brillare.”

(“La situazione attuale e i nostri compiti”,

rapporto al Comitato Centrale del PCC

ad Yangchiakou, distretto di Michih, nello Shensi settentrionale, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.10, pagg. 109-126)

 

Questo modo positivo di vedere le cose non è pura demagogia o perenne metodo maoista come i denigratori del marxismo-leninismo-maoismo intendono spesso definire quella maniera materialistica di collocare gli eventi nella tendenza alla rivoluzione, che è propria di ogni comunista conseguente, ma è in questo caso del tutto coerente agli avvenimenti che si svolgevano in quel periodo e cioè al passaggio dall’equilibrio strategico alla offensiva strategica nella guerra popolare di liberazione contro le armate reazionarie e filo-imperialiste del nazionalista Chiang Kai-Chek e dei suoi sostenitori gli imperialisti yankee.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 12 ottobre 1942:

“Nella storia dell’umanità succede sempre che le forze morenti della reazione si lancino in un ultimo spasmodico corpo a corpo contro le forze della rivoluzione, e singoli rivoluzionari sono talvolta indotti in errore dalle apparenze di forza sotto le quali si cela un’effettiva debolezza e  non sono capaci di vedere il quadro reale, di intravedere che il nemico sarà presto distrutto, e che essi vinceranno.”

(“La svolta nella seconda guerra mondiale”, articolo per il Quotidiano della liberazione di Yenan, 12 ottobre 1942, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol. 8, pagg.197-200)

 

Anche qui vale quanto si è detto sopra, al di là che nel 1942 le cose non erano ancora chiare come cinque anni dopo. L’invito  ai compagni qui non è solo di non scambiare la incredibile forza e macchina reazionaria per imbattibile, ma anche a non gloriarsi mai delle vittorie proletarie, poiché esse, sino al compimento della società comunista mondiale, non sono mai definitive.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung il 17 ottobre 1945 ci disse:

“Se esso (il Kuomingtang) ci tiene proprio a battersi, noi l’annienteremo definitivamente. Ecco come si prospettano le cose: esso ci attacca, noi lo distruggiamo, ed eccolo soddisfatto; soddisfatto in parte se lo distruggiamo in parte, più soddisfatto se noi lo distruggiamo di più, e interamente soddisfatto se lo distruggeremo interamente. I problemi della Cina sono complessi ed è bene che anche noi coltiviamo una certa complessità nel cervello. Se qualcuno viene qui per battersi, noi ci batteremo. Ci batteremo per conquistare la pace.”

(“Sui negoziati di Cungking”,

Intervento a una riunione di quadri a Yenan,

17 ottobre 1945, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol. 9, pagg.227-236)

 

Affrontiamo solo apparentemente in maniera estensiva, come altrove in questo lavoro, questo passaggio di Mao. Qui, contro ogni falso luogo comune (come in tutti i luoghi comuni, le idee delle classi dominanti sono generalmente le idee dominanti), si afferma che la pace si può solo conquistare, e non corrisponde alla sconfitta quotidiana che ci viene imposta dalle classi dominanti. La Cina di allora era sconvolta dalla guerra, così come l’Europa ne era appena uscita. Ma oggi sia l’Europa che la Cina sono fuori dalla guerra, sia pur partecipandovi molti paesi europei: invece la Cina (che ha incassato tra l’altro la distruzione della sua ambasciata a Belgrado nel 1999 da parte di forze della NATO senza scomporsi, mentre se fosse accaduto il contrario ci sarebbe stata una aggressione nucleare americana) ancora deve dimostrarsi alla loro “altezza” nelle politiche di conquista: eppure c’è da giurare che lo sviluppo economico anche capitalistico che sta avendo potrebbe portare anche la Cina alla guerra. Ciò che preoccupa allora i potenti europei ed americani (e giapponesi ed australiani) non è che un domani ci sarà uno scontro con la Cina, ma che intanto si possa ingoiare quanto più è possibile le risorse umane e materiali del Medio Oriente e di molte altre zone del Sud del mondo.

Per questo il pacifismo cui siamo abituati non è altro che un sostegno mascherato alle motivazioni infami che esprimono il dominio del capitale in tutte le sue forme, mentre il pacifismo del Partito Comunista cinese della Rivoluzione e della Lunga Marcia e il pacifismo di tutti i Partiti Comunisti che conducono guerre popolari, è pratica della libertà del popolo, che, sola, può garantire la pace ed il rispetto ai vecchi, ai bimbi ed alle donne.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 26 agosto 1945:

“In caso d’attacco da parte del nemico, nella misura in cui le condizioni consentano di batterlo, il nostro Partito si metterà per certo nella posizione della legittima difesa per annientarlo risolutamente, radicalmente, integralmente, totalmente (non ingaggiamo lotte alla leggera, non battiamoci se non quando siamo sicuri di vincere). In nessun modo dobbiamo lasciarci intimidire dall’aspetto terrificante dei reazionari.

(“Circolare del Comitato centrale del PCC

sui negoziati di pace con il Kuomingtang”,

redatta da Mao pochi giorni prima dei negoziati di Chungking,

26 agosto 1945, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.9, pagg.223-226)

 

Lo stile di guerra di un Partito comunista è coerente a quello di un uomo giusto: non si attacca se non si ha da riscattare un  torto, non si attacca se non si è attaccati, non si attacca in fretta, non si attacca quando lo vuole il nemico, non si attacca laddove il nemico se lo aspetta, non si attacca in maniera confusa, non si attacca se non per vincere almeno un obiettivo che ci si è preposti; non si gioca con la vita e con la morte, non si trae piacere dalla guerra ma si può trarlo dalla vittoria, senza eccedere; non si agisce perché è necessario agire ma perché l’azione è necessaria ai fini che si perseguono, fini che debbono essere coerenti al complesso della lotta.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse nell’agosto 1946:

“Nella misura in cui quello che conta sono i nostri desideri, noi non chiediamo di batterci, nemmeno un sol giorno. Ma se le circostanze ci costringono a batterci, noi siamo in grado di batterci fino in fondo.”

(“Intervista alla giornalista americana Anne-Louise Strong”, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.10, pagg.51-56)

 

Qui vale quanto detto sul pacifismo. L’intervista da cui è tratta la citazione avvenne in un momento in cui gli USA continuavano ad armare ed equipaggiare le truppe nazionaliste, con ciò non solo compiendo una interferenza politica in un grande paese del tutto lontano dai propri “spazi vitali”, per usare un termine caro ad Hitler ed a Bush, quanto dando così continuità, nel loro agire, alla seconda guerra mondiale. Si vuole qui cogliere l’occasione per confutare la tesi Vaticana, cara anche al neo-revisionista Marcos, che la attuale “guerra mondiale” (in realtà una aggressione mirata e continua dell’imperialismo a singoli paesi e popoli oppressi che si inquadra nel conflitto mondiale tra popoli oppressi e classe operaia mondiale da una parte ed imperialismo capitalista dall’altra, iniziato a svilupparsi con l’inizio della seconda crisi generale capitalista), sarebbe la Quarta, essendo stata la Terza quella che si svolse tra USA ed URSS e detta “Guerra fredda”. Secondo chi scrive, invece, la “guerra fredda” non fu altro che la continuazione della seconda guerra mondiale, che vide gli USA prendere il posto di Hitler e Mussolini nell’aggressione alla Unione Sovietica (e alla nascente Cina Sovietica), e sviluppare il cinico dominio imperialista volgendo l’attenzione al controllo ed alla repressione dei popoli che andavano liberandosi dal colonialismo delle precedenti potenze dominanti. E quindi la attuale, fosse anche una “guerra mondiale” (che ai nazisti “democratici” delle “Liste nere” piace chiamare tale contro “Al Qaeda” ed il “terrorismo”, presi a pretesto per chiamare a raccolta i paesi occidentali contro un fantasma buono per essere usato a giustificare un asserragliamento sempre maggiore delle fortezze economiche occidentali ed un potere sempre più grande dei loro eserciti e servizi segreti), sarebbe la Terza, e non la Quarta. Del resto, il Vaticano è stato dalla parte sbagliata sempre, per cui ha poco da offendersi per quest’ultimo scempio che lo vede del tutto ipocrita e falsamente proteso alla “pace”. E bene farebbero i “rivoluzionari” a non farsi ingannare da certi salamelecchi di noti Cardinali e Pontefici.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse il 7 febbraio 1953:

“Noi siamo per la pace. Ma fintanto che l’imperialismo americano non rinuncia alle sue arbitrarie e insensate esigenze e alle sue macchinazioni volte ad estendere l’aggressione, il popolo cinese non può avere che una scelta, quella di continuare nella sua lotta al fianco del popolo coreano. Non che noi siamo bellicosi; noi siamo disposti ad interrompere immediatamente le ostilità e a regolare le altre questioni in seguito. Ma l’imperialismo americano non vuole. E dunque: che la guerra continui !  Noi siamo pronti a batterci contro l’imperialismo americano per tutti gli anni che vorrà, fino al momento in cui non potrà più continuare, fino alla vittoria completa dei popoli cinese e coreano.

(Discorso alla IV sessione del I Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del Popolo cinese,

7 febbraio 1953, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,pagg.45-46)

 

Questo si chiama non mettere le contingenze avanti ai principi, nella fattispecie della fratellanza tra i popoli dei paesi socialisti e della solidarietà internazionalista.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse il 25 dicembre 1947:

“Dobbiamo bandire dai nostri ranghi ogni ideologia fatta di debolezze e d’impotenza. Ogni punto di vista che sopravvaluta la forza del nemico e che sottovaluta la forza del popolo è falso.”

(Rapporto presentato al Comitato centrale del PCC,

svoltosi a Yangchiakou, distretto di Michih,

Shensi settentrionale, 25 dicembre 1947,

con compagni responsabili regioni vicine,

in Opere, cit., vol.10, pagg.109-126)

 

Mao non ci dice questo solo nella contingenza della Storia, afferma anche qui un principio: non sopravvaluta la forza del nemico, non si fa impressionare quindi dalla gigantesca sua forza. Questo deve essere un atteggiamento di tutti, ma non significa affogare quei compagni che in un frangente abbiano sofferto di impotente visione politica di fronte al nemico, anzi significa dotarli di una ideologia superiore in grado di farne dei quadri complessivi della classe operaia. Dice bandire e dice ideologia, ossia riconosce che dopo 20 anni di guerra popolare rivoluzionaria (compresi i primi due anni insurrezionali e gli ultimi due anni di guerra civile), ossia 20 anni di sangue lungo un paese gigantesco come la Cina, con avanzamenti e ritirate, con sconfitte ed accordi con i precedenti vincitori contro il nuovo invasore, di sacrifici colossali e costruzioni eclatanti del potere sovietico nelle basi liberate, vi sono ancora nell’Esercito popolare e nel Partito comunista, delle ideologie estranee alla posizione marxista-leninista sulla guerra e sulla violenza. Dice ogni ideologia, quindi  ce n’è più d’una. Ed afferma che il popolo è invincibile, basta che sia cosciente. Fa appello quindi alla fiducia non su qualcosa di inafferrabile o di difficile acquisizione per le masse, ma sulla condivisione tra i combattenti di un punto di vista. Un punto di vista è una cosa attraverso cui si può vedere e comprendere il divenire ed il passato, ogni situazione insomma. Il punto di vista rivoluzionario e comunista quindi è inscindibile dalla concezione secondo cui è il popolo la forza principale, ed è sbagliato sottovalutarlo perché è poco e male armato. Gli yankee hanno pagato ancora di recente questo errore di invadere il Medio oriente, ma in realtà i loro “strateghi” sapevano di questa cosa, solo la vedevano in altri termini, cioè economicamente parlando in termini di rapporto tra barili rubati e vite perdute. Siccome la ideologia borghese è idealistica, avevano fatto una stima positiva. Ma i comunisti dell’Iraq hanno imparato presto a sfruttare la situazione terribile creatasi per il popolo dell’Iraq, e a fondare sulla linea di massa la propria resistenza e rinascita, schiacciata da 35 e passa anni di impiccagioni e repressione volute anche dagli USA. Quindi il punto di vista degli imperialisti e dei capitalisti è sempre viziato dall’idealismo. Il nostro invece deve essere sempre positivamente riconoscente del dove sta la centralità (alla classe operaia, alle masse) e del dove sta la direzione (alla linea di classe che si esprime nel campo del conflitto di classe e non alle declamazioni di rappresentazione dello stesso conflitto). Il conflitto non va “rappresentato” da dei signorini blanquisti in grado di dare visibilità mediatica periodica alle proprie idee, ma bensì da un Partito, anche combattente, ma dotato di una linea di massa, se le due cose sono compatibili. Viceversa, dal Partito comunista, che guida la rivoluzione in tutte le sue forme, anche militari.

 

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 29 agosto 1963:

“I popoli oppressi e le nazioni oppresse non devono assolutamente contare, per la loro emancipazione, sulla ‘saggezza’ dell’imperialismo e dei suoi lacchè. Questi popoli e queste nazioni potranno trionfare soltanto rafforzando la loro unità e perseverando nella lotta.”

(Dichiarazione contro l’aggressione al Viet Nam del Sud

e i massacri della popolazione sudViet Namita da parte

della cricca USA-Ngo Dinh Diem, alla delegazione del

Fronte di Liberazione Nazionale del Viet Nam del Sud,

29 agosto 1963, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.20, pagg.129-130)

 

Anche questo è un buon insegnamento. Oggi, leggendo un giornale meridionale padronale su una lotta di braccianti agricoli disoccupati (3.000, di cui 200 in piazza a manifestare), per il riconoscimento dei loro sussidi, il giornalista borghese diceva che erano subito intervenuti qui e lì i dirigenti, che comunque erano state sbrigate varie pratiche, ecc.. Non c’era una parola sulle difficoltà materiali che quotidianamente a causa di questi problemi questa parte del Popolo doveva e deve vivere. Anche nelle piccole cose, i padroni e  burocrati dello stato cercano di tenerci buoni, di rinviare, di promettere, ma sostanzialmente si comportano come un invasore straniero costretto da norme internazionali a salvare le apparenze. Dobbiamo concedere qualcosa a qualcuno ?  I lavoratori sanno bene che no, che non possono concedere nulla.  Per questo li vogliono tenere fuori dalla politica e dalle decisioni attraverso le forme melliflue e ipocrite della democrazia rappresentativa e maggioritaria borghese. Che si fa pure beffe del lessico, poiché usa termini che appartengono al Popolo, come maggioranza, per farsene beffe.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 13 agosto 1945:

“Qualunque possa essere il momento in cui scoppierà la guerra civile su scala nazionale, noi dobbiamo essere pronti. Nel caso in cui essa dovesse scoppiare presto, poniamo domani mattina, anche in questo caso dobbiamo essere pronti. Questo è il primo punto. Data l’attuale situazione internazionale e interna, è possibile che per un certo periodo la guerra civile rimanga circoscritta e che conservi provvisoriamente un carattere locale.  Questo è il secondo punto. Il punto uno è quello a cui noi ci prepariamo; il punto due è ciò che esiste da tempo. In breve: teniamoci pronti. Essendo pronti, potremo fronteggiare come si deve tutte le situazioni, per quanto complesse esse siano.

(La situazione e la nostra politica dopo la vittoria

nella guerra di resistenza contro il Giappone,

discorso ad una riunione a Yenan, 13 agosto 1945,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.9, pagg. 195-208)

 

Come si fa ad essere “pronti” ad ogni svolta importante, se la classe operaia ed il Popolo non posseggono il proprio Partito  (che appartiene alla classe operaia ed al Popolo, non il contrario), se non posseggono una corretta ideologia, se non hanno una corretta analisi della realtà ed una adeguata linea politica, se non hanno i mezzi e i numeri per sostenere la situazione ?  Questo NON era il caso dei comunisti cinesi dopo 18 anni di guerra popolare, di enormi costi umani e materiali, mentre era il caso, a pochi mesi dalla liberazione, del nostro paese, dove una cricca neo-revisionista si era impadronita del Partito con la svolta di Salerno e si era preoccupata di costruire una falsa politica rivoluzionaria in grado di convergere con le forze borghesi non solo nel frangente della liberazione dal nazifascismo ma in termini generali, a danno dei compagni legati alla linea rivoluzionaria di Lenin e Gramsci, che venivano espulsi a centinaia appena tornato in Italia Palmiro Togliatti, poco modestamente “il migliore”.

Nella nostra situazione, a che punto siamo ?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

8.                   La guerra popolare 

(prima edizione, sequestrata 25 gennaio 2005 e facente parte materiale dissequestrato novembre 2005)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 27 gennaio 1934, prima dell’inizio della Lunga marcia successivo alle sconfitte delle basi rosse nella Cina centromerdionale, ossia nell’ultimo periodo della Guerra rivoluzionaria agraria, nelle conclusioni al secondo Congresso nazionale dei rappresentanti degli operai e dei contadini tenutosi a Juìchìn, prima della caduta della città nelle mani del Kuomingtang.In gennaio a Juichin si apre il secondo Congresso nazionale dei  oviet della Repubblica sovietica cinese. Il Congresso adotta la  Costituzione, la legge organica, la risoluzione sull’Esercito rosso e alcune disposizioni per la costruzione economica e la  riorganizzazione dei soviet. Mao Tse-tung pronuncia il discorso di apertura e quello di chiusura. Parti di questi discorsi sono pubblicati sotto i titoli La nostra politica economica e Preoccuparsi delle condizioni di vita delle masse, fare attenzione ai metodi di lavoro. A Juichin si riunisce anche il quinto plenum del CC del PCC. Gli intervenuti divergono aspramente sul problema delle alleanze nella lotta contro l’invasore giapponese. Viene riconfermata la linea di Wang Ming di non ammettere distinzioni all’interno della borghesia. Mao Tse-tung viene privato di quasi tutte le sue funzioni.” [dalla Cronologia delle Opere di Mao Tse-Tung, cit., 1934). Solo in seguito sbaraglierà i suoi avversari e farà trionfare la linea della guerra popolare e della linea di massa nel Partito, nell’Esercito e nelle basi rosse (ampie regioni di territorio completamente sotto il controllo dell’Esercito popolare di liberazione).

 

“Poiché la guerra rivoluzionaria è la guerra rivoluzionaria delle masse popolari, è possibile condurla soltanto se si mobilitano le masse popolari, soltanto se ci si appoggia sulle masse popolari.”

“Che cosa costituisce una vera muraglia insuperabile ? Il popolo, le immense masse di popolo che sostengono con tutto il cuore e tutti i pensieri la rivoluzione. È questa una vera muraglia insuperabile, che non cadrà mai, che nessuna forza potrà abbattere. La controrivoluzione non ci abbatterà, saremo noi ad abbatterla. Dopo aver raggruppato le masse popolari attorno al governo rivoluzionario e dato nuovo impulso alla nostra guerra rivoluzionaria, noi sapremo distruggere completamente la controrivoluzione, sapremo liberare tutta la Cina.”

(Maggior sollecitudine per la vita del popolo,

maggior attenzione ai metodi di lavoro,

27 gennaio 1934, in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,  vol.5, pagg.106-110)

 

I due problemi che Mao Tse-Tung affrontò in questo difficile momento della guerra rivoluzionaria, che dette il via ad un percorso politico-militare storico ed indimenticabile per la sua tenacia, i sacrifici che costò ed i risultati che comportò per la Rivoluzione, sono stati in primo luogo quello della difesa delle condizioni di vita accettabili e coerenti ai fini prefissati dalla guerra rivoluzionaria, delle masse delle zone toccate e coinvolte dalla guerra stessa. I rivoluzionari cioè non sono unicamente dei sovversivi decabristi che scatenano offensive più o meno costose per il nemico, ma sono i dirigenti effettivi del processo rivoluzionario che riescono nella conduzione della guerra con la partecipazione del popolo e delle principali componenti delle classi sfuttate in particolare, ad organizzare sia la guerra che la vita delle masse. Aspetto qusto che non possono trascurare, pur non potendo escludere le sconfitte a tavolino, le quali sono in qualche modo inevitabili tatticamente ma evitabilissime strategicamente se ci si muove in una corretta linea politica e di massa (la quale è condizione imprescindibile anche se non di per sé sufficiente –ma quasi perché informa continuamente l’agire- della affermazione rivoluzionaria); in seconda istanza il problema del metodo di lavoro all’interno della guerra. Questo viene ripreso continuamente da Mao lungo tutta la sua esperienza, perché si accorge che l’insorgere dei problemi nasce proprio dalle tendenze accentratrici, burocratiche, opportuniste, militariste, di riduzione insomma dell’insieme dei fattori politici e sociali del processo, a delle direttive di volta in volta imposte da linee di principio o di necessità che trascurano gli effetti dei sacrifici e delle limitazioni che impongono al corpo militante ed alle masse. In questo senso Mao fa presente che solo con una intensa e completa partecipazione popolare la guerra rivoluzionaria e la costituzione del potere rivoluzionario possono applicarsi con successo senza deviazioni.

Se pensiamo alle due recenti fasi storiche prodrome nel nostro paese alla futura guerra popolare, ossia alla guerra partigiana (1943-1945 e anni seguenti di progressivo tradimento dei partigiani e delle loro rivendicazioni antifasciste e legate alle ragioni più profonde della lotta di classe che ne costituì il nerbo) ed alla lotta armata per il comunismo fino alla ritirata strategica del 1982, noi non possiamo non notare alcuni aspetti. In primis, la guerra partigiana fu contenuta dalla politica del revisionismo e nonostante la sua estensione e forza nel centro-nord del paese, le repubbliche partigiane e l’appoggio loro dato dalle masse,  la persistenza della guerriglia contro le colonne militari tedesche e repubblichine, nonché il calibramento e il costante sfiancamento dell’avversario nella guerriglia urbana, e l’appoggio politico delle masse con la protezione dei ricercati, il deposito delle armi, il passaggio di informazioni, gli scioperi operai e la difesa delle fabbriche dalla distruzione, il sacrificio enorme di sangue dato da migliaia di rastrellamenti e da centinaia e centinaia di stragi. Fu quindi partecipata dalle masse ma diretta da un insieme di formazioni in gran parte borghesi ed interclassiste, anche se il contributo più grande di sangue arresti e deportazioni lo pagarono i comunisti del PC d’Italia divenuto PCI con la svolta di Salerno, di Stella rossa in Piemonte, di Bandiera rossa nel Lazio, ed i socialisti del PSIUP nonché i repubblicani di Giustizia e libertà. Negli anni della lotta armata per il comunismo fino alla ritirata strategica (1970-1982), le masse parteciparono in maniera significativa sia alle lotte che generarono le avanguardie di questo processo stroico, sia contribuirono alla lotta armata, ma fino a quando persistette la capacità di direzione della lotta di classe stessa all’interno della realtà sociale e di fabbrica. Da quando i revisionisti ed i sindacati di regime si fecero delatori e spie contro le avanguardie della lotta che lavoravano fianco a fianco con le masse, e contro i giovani e le componenti dell’autonomia operaia, la lotta armata subì una repressione ed una criminalizzazione crescenti. La lezione più sintetica ed elementare che si può comprendere da questo secondo passaggio storico fu che laddove i comunisti perdono la direzione della lotta di classe a favore dei revisionisti (che si declamavano anch’essi di essere autenticamente comunisti, ma che in realtà erano traditori della rivoluzione in linea con Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer), la lotta armata non può crescere e svilupparsi positivamente in guerra civile di lunga durata. Il problema , postosi numerose volte in successione, non è stato quindi risolto dalle Brigate rosse che diressero il processo rivoluzionario fino ai primi anni ’80, e si pone oggi nei termini dell’avvio e della direzione della guerra popolare di liberazione dal giogo capitalista della guerra imperialista, della miseria, dello sfruttamento, del razzismo, della privazione della libertà a tutta la società, del controllo dei mezzi di informazione e della negazione del liebro pensiero, e dell’abbruttimento morale delle masse,   nel coinvolgimento articolato e crescente delle masse nel processo rivoluzionario, sotto la direzione di un Partito comunista autenticamente in grado di dirigere l’insieme del conflitto, che non cerchi cioè di ridurlo a mero problema militare o di “governo” della propria linea politica “imposta” dall’alto di fragili scranni da un ceto politico rivoluzionario sconfitto ed incapace di autocritica.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung, nel maggio 1938, raccolse in un testo i discorsi fatti in un ciclo di conferenze all’interno della base liberata di Yenan, nell’ambito di una Associazione per lo studio della Guerra di resistenza contro il Giappone:

“Le grandi forze della guerra hanno le loro sorgenti profonde nelle masse popolari. È soprattutto perché le masse del popolo cinese sono disorganizzate che il Giappone si è sentito incoraggiato ad aggredirci. Basta che noi rimediamo a questa insufficienza, e l’invasore giapponese, di fronte alle centinaia di milioni di uomini del popolo cinese sollevati, si troverà come il bufalo selvaggio di fronte a una barriera di fuoco: ci basterà emettere un grido nella sua direzione perché esso, per il terrore, si getti nel fuoco e sia bruciato vivo.”

(Sulla guerra di lunga durata, maggio 1938,

in  Opere di Mao Tse-Tung, cit., , vol.6, pag.173-240)

 

In qualche modo, anche se molti degli aspetti della guerra di resistenza antimperialista in Irak ed Afghanistan non ci sono noti o lo sono frammentariamente, e anche se i media occidentali ci bombardano di immagini anche queste create in una logica mediatica di autorappresentazione con le immagini dei sequestrati e delle esecuzioni, che in qualche modo serve ai resistenti islamici come compensazione delle stesse logiche militaristiche dell’imperialismo assassino invasore, l’aspetto comunque preminente della guerra popolare in corso in Irak, oltre ad essere segnato dalla non preminente direzione di un partito rivoluzionario bensì, come nella resistenza italiana, dall’insieme delle forze nazionali in difesa del suolo e del popolo vilipeso e stuprato dalle forze di occupazione, è quello della partecipazione delle masse alla guerra di resistenza, che addirittura supera la contraddizione storica tra sunniti e sciiti, dopo una prima fase in cui questa appariva preminente, e si rivolge invece nella contraddizione tra popolo irakeno (ed afghano) ed imperialismo da una parte, e tra popolo resistente e collaborazionisti (come in Afghanistan) dall’altra. Che questo carattere sia preminente lo dimostrano anche le modalità operative di forze solo sulla carta di difesa dei diritti umani, come quelle italiane, che invece si adoprano a catturare masse e gente inerme senza alcun serio indizio o prova, solo per fare numero, terrorizzare e comprimere popolazioni di quartieri e città indicate dai boie generali yankee come “da colpire”. Al contempo gli opportunisti ed i falsi riformisti in Italia, oltre a gridare scandalizzati per la cattura dei poveri “volontari”, che in fin dei conti non si capisce con quale ipocrisia vadano in sandaletti a fingere che tutto stia volgendo al meglio con l’abbattimento del dittatore anticomunista Saddam Hussein già amico degli americani in tempi remoti, da parte dei ancora peggiori anticomunisti americani stessi,  discettano dell’errore di essere “antiamericani”, come se per esserlo sia sufficiente gridare qualche slogan per la pace e votare in parlamento, come al solito perdendo, per il ritiro delle truppe nazionali italiane dai luoghi di conflitto. È dal 1982-1983 che va avanti questa barzelletta, da quando carabinieri ed esercito e marina furono impegnati in Libano, laddove sintomaticamente andarono a combattere con i falangisti molti fascistoni milanesi ed italiani in genere.

 

Ancora nello stesso testo il Presidente Mao Tse-Tung ci ha insegnato:

“La guerra non ha altro scopo se non quello di ‘conservare le proprie forze e distruggere quelle del nemico’ (distruggere le forze del nemico significa disarmarle, ‘privarle di ogni capacità di resistenza,” e non disarmarle tutte fisicamente). Nell’antichità, per fare la guerra ci si serviva di lance e di scudi: la lancia serviva ad attaccare e a distruggere il nemico, lo scudo a difendere e conservare se stessi:la lancia serviva ad attaccare e a distruggere il nemico, lo scudo a difendere e a conservare se stessi. Fino ai giorni nostri, dallo sviluppo di questi due tipi di armi derivano tutti gli altri sviluppi. I bombardieri, le mitragliatrici, l’artiglieria da lunga gittata, i gas sono sviluppi della lancia, mentre le trincee, i caschi d’acciaio, le fortificazioni di cemento armato,  le maschere antigas, sviluppi dello scudo. I carri d’assalto costituiscono un’arma nuova, in cui si combinano la lancia e lo scudo. L’attacco è il mezzo principale per distruggere le forze del nemico, ma non è possibile prescindere dalla difesa. L’attacco mira a distruggere direttamente le forze del nemico, e nello stesso tempo a conservare le proprie forze, poiché se non si distrugge il nemico, sarà il nemico a distruggere voi. La difesa serve direttamente alla conservazione delle forze, ma è nello stesso tempo un mezzo ausiliario d’attacco o un mezzo atto a preparare il passaggio all’attacco. La ritirata è in rapporto con la difesa, ne costituisce una continuazione, mentre l’inseguimento costituisce una continuazione dell’attacco. Va notato che tra gli scopi della guerra, la distruzione delle forze del nemico è lo scopo principale, e la conservazione delle proprie forze lo scopo secondario, poiché non è possibile garantire efficacemente la conservazione delle proprie forze se non distruggendo in massa le forze del nemico. Da ciò consegue che l’attacco, in questo mezzo fondamentale per distruggere le forze del nemico, svolge il ruolo principale e che la difesa, in quanto mezzo ausiliario per distruggere le forze del nemico e in quanto è uno tra i mezzi per conservare le proprie forze, svolge un ruolo secondario. Sebbene in pratica si ricorra in numerose situazioni soprattutto alla difesa e, in altre, soprattutto all’attacco, quest’ultimo resta tuttavia il mezzo principale; ciò se si considera lo sviluppo della guerra nel suo insieme.”

“Senza preparazione, la superiorità delle forze non è una effettiva superiorità, né è possibile avere l’iniziativa. Se si comprende questa verità, determinate truppe, inferiori di forze ma preparate, possono spesso, con un attacco a sorpresa, battere un nemico superiore.”

(Sulla guerra di lunga durata, maggio 1938,

in  Opere di Mao Tse-Tung, cit., , vol.6, pag.173-240)

 

Facendo un bilancio brutale delle perdite e dei caduti nel primo periodo della lotta armata per il comunismo (1970-1976) e in quello immediatamente successivo (1976-1979), il bilancio delle perdite e dei colpi subiti nel campo del nemico era politicamente e numericamente ben superiore a quello delle perdite subite dal movimento rivoluzionario. Invece nel terzo periodo (1980-1982) il bilancio è notevolmente ma non totalmente negativo per le forze rivoluzionarie in formazione nei territori metropolitani e nella sostanziale crescente clandestinizzazione. Nel periodo della ritirata strategica (1983-1999), se pure la dimensione del processo assume una dimensione assolutamente più  contenuta numericamente (non oltre le 15 perdite in campo nemico, una dimensione assolutamente fuori dalle cifre di qualsiasi conflitto bellico) anche se a volte significativamente capace di infuenzare gli avvenimenti politici, le perdite (quasi solo compagni e simpatizzanti catturati) nel campo rivoluzionario sono assolutamente sproporzionate, peggio che nel rapporto di 1:10 che veniva fatto pagare dai nazisti alle Fosse Ardeatine; se nei primi due periodi la tenuta dei compagni e dei simpatizzanti catturati è quasi totale, nei periodi successivi è sostanzialmente elitaria. Cosa è accaduto ? Si è passati dall’agire diffuso ed esteso a livello nazionale (imparare a fare la guerra facendola)  all’agire elitario e clandestinizzato alle masse. Non si è certo superata la sconfitta del gennaio 1982 con la sola definzione della ritirata strategica, né si è usciti da questa morsa con il periodo definito impropriamente delle “nuove BR” (1999-2003). I problemi politici che il Presidente Mao ha analizzato nell’esperienza cinese sembrano cielo stellato di fronte alla miseria che connota la nostra esperienza attuale. Solo conquistando le masse al processo rivoluzionario, solo costruendo il partito rivoluzionario della classe operaia e del proletariato e del popolo, il partito marxista-leninista-maoista, sarà possibile invertire la tendenza e costruire un autentico e vincente processo rivoluzionario in un paese antidemocratico, ancora semi-feudale eppure con una struttura industriale in parte molto avanzata, ed un carattere imperialista della politica statale dominante della borghesia interna e multinazionale, dato anche dalla integrazione militare alle forze americane e da quella economica e in misura crescente politica ed istituzionale nella unione europea.

 

 

Il 29 settembre 1958 il Presidente Mao Tse-Tung in una intervista ci disse:

“Gli imperialisti commettono tali vessazioni contro di noi che occorre prendere serie misure nei loro confronti. Non  soltanto ci occorre un potente esercito regolare, ma  è anche necessario allestire divisioni della milizia popolare. Così, se volesse invadere il nostro paese, l’imperialismo si vedrà privato di ogni libertà d’azione.”

(Intervista con un giornalista della agenzia Hsinhua,

in  Opere di Mao Tse-Tung, cit., , vol.16, pagg.175-176)

 

In Italia negli ultimi quindici anni si sono fatti molti passi indietro, tra questi, la costituzione dei carabinieri, corpo storicamente reazionario ed antiproletario, costituito, formato ed addestrato dai peggiori principi antidemocratici e classisti della borghesia già monarchica e sabauda, come primo corpo d’armata dell’Esercito; la professionalizzazione della leva; la partecipazione della marina e dell’aviazione ai bombardamenti in Iraq, Bosnia e Serbia;  l’utilizzo dell’esercito nel contenimento delle proteste dei lavoratori dei servizi; l’utilizzo della polizia penitenziaria e della polizia di Stato nella repressione dei moti sociali e nella detenzione amministrativa degli immigrati “clandestini” (cosa ovvia in paesi in cui è negato il diritto stesso alla sopravvivenza, che del resto da noi spesso è garantito solo da filantropiche ed interessate associazioni caritatevoli). Per questo il problema della presenza minacciosa ed influente delle basi militari e delle spie degli Stati Uniti d’America, che si protrae dal 1945, ed in particolare dalla fondazione della NATO nel 1949, pare finito in secondo piano. In realtà è questo esercito, marina ed aviazione militare americana, a costituire la principale base reazionaria ed imperialista nel nostro paese, perché la nostra partecipazione alla guerra di aggressione in Iraq ed Afghanistan come in passato in Somalia, Bosnia, Albania e Serbia, è da essi diretta e determinata. Che dei comunisti e dei rivoluzionari sedicenti si strappino le vesti per le nostre avventure militari e dimentichino opportunisticamente e vigliaccamente il cancro che ci teniamo nel ventre stesso del nostro paese, responsabile di aver appoggiato l’ingresso delle droghe pesanti nei primi anni ’70, di aver appoggiato le stragi nere di Piazza Fontana e della questura di Milano e della stazione di Bologna ed altre, di aver permesso e taciuto innumerevoli complotti anticomunisti e schedature e spionaggio di massa anche all’insaputa degli stessi servizi segreti democristiani, di effettuare tuttora dannose e pericolose manovre militari (Ustica e Cermis insegnano), e di lasciare mano libera alla violenta e prepotente occupazione del territorio da parte della feccia del loro popolo, la leva militare, nelle nostre città, viene dimenticato e volutamente sottaciuto da quella genia infame di borghesi e proprietari che aderiscono al blocco reazionario che grida allarme per i poveri immigrati che giungono nel nostro paese. Questi infami nazionalisti a trucco, che infangano la nostra stessa bandiera nazionale con una dipendenza supina ed infingarda al potere economico e soprattutto tecnologico e militare degli USA, vengono dimenticati come problema politico da quella parte di sinistra che cerca di “mobilitare per la pace” mentre il mondo è in fiamme.

 

Nel dicembre 1936, nel bel mezzo della guerra di resistenza antigiapponese, il Presidente Mao Tse-Tung ci scrisse:

“Dal punto di vista della guerra popolare considerata nel suo insieme, la guerra popolare di partigiani e le operazioni dell’Esercito rosso quali forze principali si completano a vicenda come le due mani dell’uomo. Avere soltanto le forze principali costituite dall’Esercito rosso, senza la guerra popolare dei partigiani, sarebbe come combattere con una mano sola. In termini concreti, e in particolare dal punto di vista delle operazioni militari, quando parliamo della popolazione delle basi d’appoggio come di uno degli elementi della guerra, parliamo del popolo in armi. È questa la ragione principale del fatto che l’avversario considera pericoloso avventurarsi tra le nostre basi d’appoggio.”

“Indubbiamente l’esito della guerra è determinato soprattutto dalle condizioni militari, politiche, economiche e naturali nelle quali si trovano le parti belligeranti. Ma ciò non è tutto. L’esito della guerra è determinato anche dalla capacità soggettiva dei comandanti. Il capo militare non può cercare di conseguire la vittoria uscendo dai limiti posti dalle condizioni materiali, ma la può e la deve conquistare entro questi limiti. Sebbene il campo di attività del capo militare sia limitato da condizioni militari oggettive, in questo campo egli può impostare azioni vive, brillanti, di un’epica grandezza.”

(Problemi strategici della guerra rivoluzionaria in Cina,

dicembre 1936, in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,  vol. 4, 189-256)

 

Nel primo di questi due passaggi il riferimento alla nostra realtà può essere colto nel fatto che la lotta dell’Esercito popolare e proletario da sola non può risolversi in un processo vittorioso senza la guerriglia nelle zone urbane e rurali usata come penetrazione offensive nelle linee nemiche e come costante umiliazione dello strapotere nelle sue roccaforti preminentemente urbane. In questo senso, la lotta armata per il comunismo fu nel suo periodo d’oro (1970-1981) preminentemente limitata alle zone urbane, e scarsamente impegnata nell’offensiva militare, prediligendosi quella di propaganda e di attacco alle sole forse di polizia (controrivoluzionarie). Questo, nel definirle controrivoluzionarie, significava riconoscere nella fase in corso una fase rivoluzionaria, il che non era propriamente esatto, anche se certo erano anni di felicità nella lotta per le masse sfruttate, molto più limpidi delle fosche annate odierne.

Nel secondo di questi passaggi, si focalizza la necessità di una conoscenza specifica nel campo di battaglia, nel combattimento, che non è propriamente data dalla sola esperienza né tanto da quella fatta nella piazza, quanto complessivamente invece dalla necessità di avere formati quadri militari. In questo caso, l’imperitorium di avere compagni complessivi pare storicamente di più lenta formazione nel processo principalmente politico della guerriglia, superabile nell’agire incessante e solo in esso, quale scuola militare di fatto. Neppure si può né si deve escludere la formazione di scuole militari dell’Esercito proletario onde avviare il processo rivoluzionario, anzi queste devono essere costituite onde andare oltre le differenze delle varie soggettività e dei limiti che ad esse sono imposte dalla società borghese.

 

 

Il Presidente Mao Tse-Tung, il 25 dicembre 1947, giunto allo scontro con le forze americane e nazionaliste oramai alle corde, a meno di due anni dalla presa del potere, ci scrisse:

“Ecco i nostri principi militari:

  1. Attaccare dapprima le forze nemiche disperse e isolate, e successivamente le forze nemiche concentrate e potenti.
  2. Impadronirsi dapprima delle città piccole e medie e delle vaste regioni rurali, e successivamente delle grandi città.
  3. Fissare come obiettivo principale l’annientamento delle forze vive del nemico, e non la difesa o la conquista di una città o di un territorio.  La possibilità di conservare o di conquistare una città o un territorio risulta dall’annientamento delle forze vive del nemico, e spesso una città o un territorio non possono venir conservati o conquistati definitivamente se non dopo che sono passati numerose volte da una mano nell’altra.
  4. Per ogni battaglia, concentrare forze di una superiorità assoluta (due, tre, quattro e talora persino cinque o sei volte quelle del nemico), accerchiare completamente le forze nemiche, sforzarsi di annientarle totalmente, (…)”

 (L’EPL che combatte in particolare nella Selva peruviana, che per primo sin dal 1980 ha attuato dopo il periodo delle rivoluzioni di liberazione dal colonialismo –in particolare Vietnam, Laos, Kampuchea, elementi della teoria rivoluzionaria della guerra popolare di Mao, nei suo attacchi annienta le forze del nemico durante il combattimento ma ne salva i feriti accettando l’arruolamento degli arresi volontari, ed evita di giustiziarli, come invece fanno, oltre che gli americani direttamente, le forze armate e paramilitari peruviane, indiane, nepalesi, filippine, turche, israeliane, nelle loro campagne genocide di accerchiamento ed annientamento sostenute dalle basi militari americane, anche i carabinieri italiani nelle nostre città e boscaglie, come nel caso del bandito Lupo a Roma e tante altre volte come nel caso del compagno Rocco Taverniti nell’Aspromonte, che rimase oltretutto vivo dopo due ferite che bastavano ad uccidere un bisonte, sparategli quando era ferito, compagno che apparteneva al movimento rivoluzionario del nostro paese, nel giugno 1983, e che va annoverato tra i tanti compagni caduti di cui non vi è traccia nei libri, nonostante le mie indicazioni al riguardo)

“(…) senza dar loro la possibilità di sfuggire dalla rete.  In certi casi particolari, infliggere al nemico colpi micidiali, vale a dire: concentrare tutte le nostre forze per un attacco frontale e per un attacco su uno dei fianchi del nemico o sui due, annientare una parte delle sue truppe e mettere in rotta il resto, allo scopo di permettere al nostro esercito di spostare rapidamente le sue forze per schiacciare altre truppe nemiche. Sforzarsi di evitare le battaglie di logoramento, in cui i guadagni sono inferiori alle perdite oppure le coprono appena.  Così, benché nell’insieme siamo (numericamente parlando) in stato d’inferiorità, godiamo di una superiorità assoluta in ogni determinato settore, in ogni battaglia, il che ci garantisce la vittoria sul piano delle operazioni. Con l’andar del tempo, noi otterremo la superiorità d’insieme e alla fine annienteremo tutte le forze nemiche.

5.        Non ingaggiare battaglia senza preparazione, né ingaggiare una battaglia in cui l’esito vittorioso non sia sicuro. Compiere i massimi sforzi per prepararsi bene ad ogni scontro e per garantirsi la vittoria in un dato rapporto di condizioni stabilito tra il nemico e noi.

6.        Applicare pienamente il nostro stile di combattimento –bravura, spirito di sacrificio, sprezzo della stanchezza e tenacia nei combattimenti continui (scontri successivi scatenati in un breve lasso di tempo e senza riposo alcuno).

7.        Sforzarsi di annientare il nemico ricorrendo alla guerra di movimento. Nello stesso tempo, attribuire la dovuta importanza alla tattica d’attacco delle posizioni, allo scopo di impadronirsi dei punti fortificati e delle città del nemico.

8.         Per quanto riguarda l’attacco alle città, impadronirsi risolutamente di tutti i punti fortificati e di tutte le città debolmente difese dal nemico. Impadronirsi nel momento propizio di tutti i punti fortificati  e di tutte le città che il nemico difende moderatamente, a condizione che le circostanze lo permettano. Quanto ai punti fortificati e alle città che il nemico difende potentemente, aspettare che le condizioni siano mature, e poi impadronirsene.

9.        Integrare le nostre forze con l’aiuto di tutte le armi e della massima parte degli effettivi sottratti al nemico.  Le fonti principali di uomini e di materiale per il nostro esercito sono al fronte.

10.     Saper mettere a profitto l’intervallo tra due campagne per riposare, per istruire e per consolidare le nostre truppe. I periodi di riposo, d’istruzione e di consolidamento non devono essere, in generale, molto lunghi, e, nella misura del possibile, non si deve lasciare al nemico il tempo necessario per riprendere fiato.

Questi sono i metodi principali applicati dall’Esercito popolare di liberazione per battere Chiang Kai-shek. Essi sono stati elaborati dall’Esercito popolare di liberazione nel corso di lunghi anni di combattimenti contro i nemici interni ed esterni, e si addicono perfettamente alle nostre attuali condizioni […].

La nostra strategia e la nostra tattica si fondano sulla guerra popolare;  nessun esercito che si opponga al popolo può utilizzare la nostra strategia e la nostra tattica.”

(La situazione attuale e i nostri compiti, 25 dicembre 1947,

in  Opere di Mao Tse-Tung, cit., , vol. 10, pagg.109-126)

Per quanto riguarda questi principi della guerra popolare rivoluzionaria (rurale ed urbana) e di movimento, invito i compagni a leggersi il mio testo, reperibile chiedendolo al mio sito, sulla guerra popolare in Perù. La prima parte analizza questa contundente e fondamentale esperienza storica contemporanea proprio in relazione a questi principi.  Un altro importante testo di riferimento è nel Pensiero Gonzalo, che in Italia circola in varie traduzioni ufficiose, pubblicato da L.A.Borja in Belgio, in lingua spagnola, nel 1989, con il titolo: Basi di discussione del primo congresso del Partito Comunista del Perù, 1987, Linea Militare, pagg.341-365 del volume “Guerra Popular en el Perù – El Pensamento Gonzalo”.

La guerra popolare in Perù diretta dal Partito Comunista del Perù, nelle Filippine diretta dal Partito Comunista delle Filippine, nel Nepal diretta dal Partito Comunista (maoista) del Nepal, così come altre importanti esperienze storiche contemporanee di liberazione del popolo dal giogo imperialista capitalista e semi-feudale del capitale burocratico e del capitale multinazionale, costituiscono ancora oggi, l’esperienza più matura della teoria e della pratica militare rivoluzionaria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(riscrittura agosto-ottobre 2005)

 

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 27 gennaio 1934:

“Poiché la guerra rivoluzionaria è la guerra delle masse popolari, è possibile condurla soltanto se si mobilitano le masse popolari, soltanto se ci si appoggia sulle masse popolari.”

“Che cosa costituisce una vera muraglia insuperabile ? Il popolo, le immense masse di popolo che sostengono con tutto il cuore e tutti i pensieri la rivoluzione.  È questa una vera muraglia insuperabile, che non cadrà mai, che nessuna forza potrà abbattere.  La controrivoluzione non ci abbatterà, saremo noi ad abbatterla.  Dopo aver raggruppato le masse popolari attorno al governo rivoluzionario e dato nuovo impulso alla nostra guerra rivoluzionaria, noi sapremo distruggere la controrivoluzione, sapremo liberare tutta la Cina.”

(Maggior sollecitudine per la vita del popolo, maggiore attenzione ai metodi di lavoro, 27 gennaio 1934

 in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.4, pagg. 105-110)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha spiegato durante un ciclo di conferenze sul problema della guerra anti-giapponese, tra il 26 maggio ed il 3 giugno 1938:

“Le grandi forze della guerra hanno le loro sorgenti profonde nelle masse popolari. È  soprattutto perché le masse del popolo cinese sono disorganizzate che il Giappone si è sentito incoraggiato ad aggredirci.  Basta che noi rimediamo a questa insufficienza, e l’invasore giapponese, di fronte alle centinaia di milioni di uomini del popolo cinese sollevati, si troverà come il bufalo selvaggio di fronte a una barriera di fuoco: ci basterà emettere un grido nella sua direzione perché esso, per il terrore, si getti nel fuoco e sia bruciato vivo.”

(Sulla guerra di lunga durata, maggio 1938,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.6, pagg. 173-249)

 

Giustamente queste tre citazioni sono dei principi e quindi hanno un valore non storicizzabile, assoluto perché fondante dei processi storici autentici, delle rivoluzioni cioè. In genere nessuna forza che manchi di chiarezza di programma e di quadri e dirigenti stimati e rispettati dalle masse, riconosciuti dalle masse per il loro impegno e per i passaggi che hanno conseguito con le masse, può trasformarsi in forza dirigente e tantomeno poter lanciare una guerra popolare.  Piccoli gruppetti potranno al più compiere delle azioni, magari scarsamente offensive, ed ottenere grande clamore dalla borghesia poiché non ne impensieriscono i disegni bnè turbano i sogni.  Organizzazioni maggiormente strutturate potranno articolare dei progetti offensivi di più o meno lunga durata, ma se non faranno appoggio sulle masse e se non restituiranno alle masse qualcosa di più di una mera attività militare, non potranno durare né resistere alla controrivoluzione, se non a sprazzi, a momenti, e magari perché utili e necessari alla stesas controrivoluzione nell’impedire al proletariato espressioni più mature e fondate sulla linea di massa.  Altrettanto si può dire per quelle realtà onestamente fondate sulla classe operaia, che tuttavia non riconoscono alla guerra quel carattere determinante che l’epoca imperialista ha assegnato alla lotta di classe.

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 29 settembre 1958 durante una intervista:

“Gli imperialisti commettono tali vessazioni contro di noi che occorre prendere serie misure nei loro confronti. Non soltanto ci occorre un potente esercito regolare, ma è anche necessario allestire divisioni della milizia popolare. Così, se volesse invadere il nostro paese, l’imperialismo si vedrà privato di ogni libertà d’azione.”

(Intervista con un giornalista della Agenzia Hsinhua,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.16, pagg. 175-176)

 

Questa citazione è molto importante perché ci introduce a tre nozioni: per prima cosa, alla nozione di nazionalità e di possesso del proprio territorio. Come noto, il governo borghese del partito-regime democristiano, aderendo d’imperio all’ “alleanza atlantica” e permettendo anche dopo la cacciata dei sovrani traditori successivamente al referendum monarchia-repubblica del 1946, alle forze militari americane di permanere nel nostro paese, sino a concedergli ampi spazi territoriali per edificare basi militari, aeree e marittime, sul nostro territorio nazionale, ha dato un chiaro esempio di quanto disinteresse la classe borghese al potere abbia al rispetto della sovranità nazionale e dell’indipendenza politica del nostro paese. Come è noto, amplissimi spazi, dal Friuli al Veneto, dalla Lombardia alla Toscana, dalle Puglie alla Sardegna, dalla Sicilia alla Campania, ed altre regioni, sono occupati da queste forze militari della maggiore potenza imperialista della storia. Inoltre, queste forze, non sono storicamente presenti sul nostro territorio solo per gestire proprie forze di riserva, ma per aggredire altri paesi pacifici o che svolgono internamente ai propri confini le proprie dispute (Jugoslavia, Iraq, Viet Nam, Afghanistan, regione Kurda della Turchia, ecc.), ed il personale di queste basi, a migliaia, con le proprie famiglie, è un potente elemento di distorsione economica e sociale di ampie zone (ad esempio Pordenone e provincia, Vicenza e provincia, Napoli, Pisa e Livorno, ecc.). Non solo, ma il personale militare di questi accampamenti di occupazione militare anti-popolare e guerrafondaia (l’Italia fondata sulla Guerra di Resistenza Antifascista ripudia la guerra nella sua Costituzione all’art.11) americani, falsamente rispettosi (“ambito NATO”) del nostro paese e delle sue leggi, spesso e volentieri “sgomita” nei confronti di ragazze, addirittura bambine, di giovani, di semplici cittadini, riuscendo in quasi tutti i casi ad eludere le leggi penali italiane. Quando ciò non accade, o quando cittadini turisti o spie che compiono reati senza copertura, finiscono in carcere, queste persone vengono visitate settimanalmente nelle carceri da personale delle ambasciate e dei consolati americani in Italia, che in cambio di una rapida soluzione del loro caso, di garantire loro condizioni migliori di detenzione, li porta a collaborare con i propri servizi segreti, costuituendo così un rischio ed un fattore destabilizzante per la stessa politica nazionale italiana, essendo noto che la mafia si è storicamente basata ed alleata a componenti della borghesia americana.  La liberazione del nostro paese dalle basi militari americane quindi è un carattere stesso della guerra popolare in quanto è già dato e non si tratta, come nel caso della Cina di Mao, di un’invasione successiva all’inizio della guerra popolare.  Inoltre è anche una rivendicazione dei sinceri democratici, a dire il vero in genere quasi del tutto assenti dal palcoscenico dei burattini delle due camere parlamentari.   In secondo luogo, questa citazione ci porta ad affrontare la necessità di un esercito vero e proprio del popolo e quindi non solo non si parla qui dell’esercito Costituzionale della leva obbligatoria abolito dalla borghesia imperialista e dai suoi burattini parlamentari da pochi mesi “per legge” quasi unanime rappresentando così e l’aberrazione di una classe depravata e scatenata nella sua duplice esigenza di allontanare il popolo dal potere  e di trasformare le proprie forze di polizia e militari in autentiche pattuglie di mercenari ben pagati e preziosamente serviti. Necessità che si dà alle classi subalterne quasi negli stessi termini etici con cui si dette alle classi contadine tedesche nel cinquecento, quando, guidate da Thomas Muntzer, decine di migliaia di contadini si ripresero ciò che gli era stato strappato ed impedito, le terre e la vita, organizzati secondo criteri militari sufficienti per alcuni anni a sconvolgere la quieta arroganza e strutturata prepotenza di vassalli e clericali. La fine di quella esperienza, non a caso studiata da Federico Engels (“La guerra dei contadini”), fu foriera di insegnamenti alle masse sfruttate nelle esperienze successive.  Nelle società urbanizzate, si pensò di risolvere il problema di come sconfiggere gli sfruttatori ed i monarchi, con delle rivoluzioni insurrezionali, ove un vero e proprio esercito non necessitava. Si riteneva, e le esperienze dalla rivoluzione francese a quella russa lo confermarono, che una rapida insurrezione popolare potesse prendere di sorpresa le classi sfruttatrici ed oppressive. Questo fu valido principio finchè lo scontro tra classe operaia e borghesia non divenne permanente ed endemico (anni ’20 del XX secolo).  In seguito le insurrezioni poterono funzionare solo in quanto conclusione ed apice di guerre di guerriglia in cui le città erano circondate dalle campagne ed, in esse, eserciti regolari dei rivoluzionari o dei resistenti articolavano forme di gestione del potere più o meno durature. Oggi, dopo le esperienze (seguite ed allieve della guerra popolare cinese del 1927-1949) del Viet Nam, dell’Algeria, dell’Indocina, del Congo, Angola, Mozambico, Zimbabwe, Sud Africa, America Latina, in particolare il Perù, Asia meridionale, in particolare India e Nepal, Filippine, e in maniera qualitativamente diversa, del Kurdistan, della Palestina, del Medio Oriente con i suoi deserti e le sue zone montane, ecc., non è possibile parlare di liberazione di un paese dall’oppressore straniero o di rivoluzione contadina e proletaria, senza parlare di guerra popolare, di direzione comunista della stessa, di esercito e di fronte delle masse.  Questo ha portato, con il tempo, a concepire che anche nei paesi “avanzati” ed urbanizzati più o meno, sia possibile e necessario liberarsi degli sfruttatori e dei criminali che governano la vita politica, economica, militare, religiosa e sociale di questi paesi, solo attraverso delle guerre popolari adeguate alla formazione sociale del paese, senza cioè illudersi delle scorciatoie teoriche vendute per decenni dai traditori revisionisti filo-sovietici (improprio questo termine, filo-revisionisti russi sarebbe il termine storicamente adatto a costoro), in particolare della “ora X” che schiere di vendichiacchiere hanno blaterato nel cuore delle masse, ingannandole, per rinviare in permanenza l’ora della lotta armata. Recentemente abbiamo addirittura assistito all’obbrobrio teorico di coloro che si autodefiniscono “anarchici insurrezionalisti”, che cioè concepiscono possibile ed attuabile una strategia di liberazione rivoluzionaria urbana a prescindere dall’articolazione delle forze delle masse, ossia scavalcando il concetto essenziale di ogni rivoluzione, cioè che una insurrezione è di massa e maggioritaria, e inoltre a prescindere dalla gestione e dai principi rivoluzionari che dovrebbero reggerla, della situazione per non dire del potere, dopo l’insurrezione stessa.  Questa concezione insurrezionalista, fondata teoricamente come è noto non da Lenin che la praticò ma, dopo la sua morte, da un collettivo di compagni incaricati allo scopo nell’ambito dell’Internazionale Comunista, (collettivo Neuberg), ha dimostrato immediatamente e storicamente in maniera definitiva la propria inconsistenza. È cioè impossibile scientificamente che si giunga ad un crollo e ad un passaggio di potere rivoluzionario in un paese allorquando le masse non abbiano già condotto una lotta talmente pesante da portare alla perdita di controllo della società e di intere zone geografiche (zone liberate) da parte del potere.  Tantopiù in una società ove il potere dispone non solo di una rete enorme di forze armate sul territorio, non solo di una rete di informatori e confidenti da far impallidire l’antica inquisizione, non solo di armi moderne e di forze armate imperialiste straniere “alleate” sullo stesso proprio territorio, ma anche di tecnologie avanzatissime.  I revisionisti o idealisti piccolo-borghesi, o peggio infiltrati della borghesia veri e propri,  negazionisti del materialismo dialettico e storico, del primato della lotta di classe e del partito comunista, dell’ineluttabilità del socialismo, sostengono che tantopiù per questo è impossibile una guerra popolare, che tantopiù per questo è impossibile ai rivoluzionari costituire un esercito popolare.  Nel frattempo cercano di aiutare in tutti i modi i fascisti al governo in Turchia, a sterminare i civili che sostengono la guerra popolare e i membri organizzati dell’esercito del popolo e delle formazioni armate del popolo Kurdo.  Eppure la Turchia, strillano le chiaviche radicali, è una moderna nazione, che merita di entrare in Europa !  Quindi in Turchia è in corso una guerra popolare, che essa sola già di per sé smentisce i detrattori del marxismo di oggi, il m-l-m.  Ma non è questo il problema.  Il problema è teorico, e quindi che nessuna forza può sconfiggere la possibilità nella rivoluzione quando dei rivoluzionari autentici sono determinati ad organizare e dirigere il popolo alla autentica emancipazione, ed è pratico, e cioè che un esercito rivoluzionario è costituibile in ogni condizione, poiché questa è la lezione che viene soprattutto in Europa meridionale (Jugoslavia, Italia, Francia, Spagna, Grecia, Albania) dalla Resistenza antifascista e dalle Guerre che condusse giungendo alla vittoria in alcuni paesi e arrivandoci vicino in altri, senza l’intervento degli “alleati”. Vi sono a questo punto i detrattori “intelligenti” sedicenti “antimperialisti” e “rivoluzionari”.  Essi sostengono che erano altri tempi, che oggi c’è più controllo, che per liberarci dal capitalismo dobbiamo prima aiutare i popoli del “terzo mondo”, e per aiutarli si fanno aiutare dai governi dei paesi del terzo mondo che si sono già liberati !!!   In realtà costoro, opportunisti classica maniera, chiccosi ed altezzosi, sono dei vili controrivoluzionari che non rischiano autenticamente un pelo della loro barba e che quando rischiano, sanno già in partenza che la faranno franca, perché altri la pagheranno per loro.   In particolare costoro, molto interessati alle nostre idee  tanto da spingersi in domande “tecniche” anche sotto il controllo delle telecamere controrivoluzionarie, negano che sia possibile organizzare delle zone liberate in questa realtà “geo-politica”.  Costoro vedono la rivoluzione e la guerra popolare come un gioco di soldatini, avulso dal contesto sociale e politico.  Hanno così fiducia nella forza incredibile dell’imperialismo, che dicono di odiare e che sotto-sotto adulano, che si immaginano un processo rivoluzionario condotto con le masse che vanno regolarmente a fare la spesa la mattina e che vanno a mangiare la pizza la sera.  Nel frattempo loro, i rivoluzionari, bacchettano i più facilmente bacchettabili parlamentaristi.   Sono così affascinati da alcune semplici idee formulate in vecchi documenti circolanti in centri di documentazione o vecchie sedi di movimento, da intendere applicarli alla lettera.  Inutile dire che esperienze di questo genere i bolscevichi dovettero vederle sotto i propri occhi per anni anche dopo che iniziarono la corretta via rivoluzionaria sotto la guida di una adeguata impostazione teorica, di una corretta analisi delle classi e soprattutto di una giusta ideologia.  I detrattori della possibilità di una guerra popolare e di un esercito popolare nel nostro paese sostengono in definitiva che la rivoluzione sia un problema “di altri tempi futuri”, non concepiscono che siamo in un’epoca mortalmente oppositiva, definitiva e senza altra fine che la eliminazione dell’Umanità dalla faccia della terra o la eliminazione della borghesia e del capitalismo.  Non concepiscono che il terrorismo fascista o di disperazione islamico nei confronti dell’Occidente è in realtà una espressione della necessità di certi capitali arabi e di certe borghesie nazionali arabe di riprendersi spazi sul capitale americano, ma che tali tattiche portano inevitabilmente ad un rafforzamento dei propri nemici.  Non concepiscono che la “guerra mondiale” esiste da 150 e passa anni tra proletari e borghesi e che oggi lo scontro non è tra categorie semplificatorie (antimperialismo/imperialismo) ma tra la sopravvivenza e la liberazione dei popoli e delle classi oppresse (antimperialismo) e la sopravvivenza ed il dominio delle più feroci e spietate componenti classiste borghesi imperialiste della storia, delle sue bande, eserciti, caste e lobbies (imperialismo).  Non concepiscono quindi che “la rivoluzione è possibile” e che per farla occorre capire “come” farla, si fanno belli di qualche portone od auto bruciata (che già in altri tempi era una semplice componente scarsamente offensiva della lotta di classe, e non un tratto di distinzione di qualcuno da qualcun altro, chè il discrimine era ben altro), e nel frattempo raccontano barzellette ai combattenti di altri paesi che rischiano il carcere credendo di poter vivere quasi regolarmente nel nostro paese, poiché costoro non gli hanno spiegato bene la storia del nostro paese e conflitto di classe ed il carattere dello Stato borghese attuale.  In terzo luogo, occorre capire cosa intendeva Mao all’epoca per milizia popolare e come si può concepire oggi una forza equivalente all’interno della guerra popolare nella nostra realtà. Il coinvolgimento delle più ampie masse nelle milizie, all’interno della guerra di resistenza antigiapponese, significava non solo un rafforzamento della guerra popolare ma il rendere impossibile il dominio territoriale da parte delle forze occupanti, il coinvolgere le masse nella maniera più potente possibile nel processo rivoluzionario.  Oggi l’equivalenza di questo fondamentale principio interno alla esperienza della guerra popolare rivoluzionaria cinese, alla definizione del nostro processo rivoluzionario, passa, come nell’esperienza delle guerre popolari in corso in Perù, in Nepal e nelle Filippine, per il Fronte, per le organizzazioni di massa che lo costituiscono. Non si creda che nella rivoluzione si va in galera solo perché si spara con armi da fuoco. Tutt’altro.  Quando un processo rivoluzionario diviene pericoloso e minaccioso per le classi dominanti, esse non si limitano solo a reprimerne le emergenze (come nella battaglia di Frankenhausen) ma anche a sterminarne le basi (come nella guerra sporca americana in Viet Nam).  Questo avviene oggi in Palestina, in Kurdistan, in Perù e Nepal attraverso mercenari paramilitari, e così avviene anche laddove non sono in corso guerre popolari ma guerriglie di altra natura strategica (fochista, destinate alla mediazione armata), come in Colombia ed in altre realtà.  Avviene poi ovviamente negli scenari di invasioni imperialiste, con abbattimenti di governi nazionali ostili ai paesi imperialisti dominanti, come è nel caso dell’Iraq e dell’Afghanistan.  Quindi il problema si pone nei termini che in questa società, quale che sia il livello di scontro che la guerra popolare inevitabilmente conduce con sé, determinante è ognuno dei tre strumenti della rivoluzione, determinante in particolare è che il Fronte delle masse abbia carattere rivoluzionario e massima legittimazione sociale e di categorie di lavoratori e di territorio. Queste tre notazioni, comunque  le si vogliano spiegare, fanno parte dei caratteri specifici della nostra rivoluzione, che giocoforza si avvale della conoscenza e dell’esperienza storica.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto nel dicembre 1936, all’interno di una grande opera teorica che affronta la teoria della guerra rivoluzionaria, valida per ogni processo rivoluzionario, che è alla base della preparazione delle guerre popolari che attualmente si svolgono sin dalla fine degli anni ‘60:

“Dal punto di vista della guerra popolare considerata nel suo insieme, la guerra popolare di partigiani e le operazioni dell’Esercito rosso quali forze principali si completano a vicenda come le due mani dell’uomo. Avere soltanto le forze principali costituite dall’Esercito rosso, senza la guerra popolare dei partigiani, sarebbe come combattere con una mano sola. In termini concreti, e in particolare dal punto di vista delle operazioni militari, quando parliamo della popolazione delle basi d’appoggio come di uno degli elementi della guerra, parliamo del popolo in armi. È questa la ragione principale del fatto che l’avversario considera pericoloso avventurarsi tra le nostre basi d’appoggio.”

(Problemi strategici della guerra rivoluzionaria in Cina, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.4, pagg.189-256)

 

Questi principi sono stati verificati sia nella resistenza e nella Grande Guerra Patriottica del Popolo Sovietico, sia nell’esperienza cinese contro l’invasore giapponese e successivamente le forze imperialiste che volevano impedire il successo rivoluzionario, sia nei processi rivoluzionari e di indipendenza nazionale in Viet Nam, Filippine, India, Perù, Nepal, ed in numerosi altri processi rivoluzionari in parte ancora in corso. Anche in Salvador, dove era “il popolo” il retroterra (la “nostra montagna” del Comandante Marcial) delle forze rivoluzionarie, e dove successivamente l’affermazione dell’opportunismo capitolazionista segnò il passo al processo di liberazione, dando un esempio negativo poi seguito in Guatemala, Honduras, Colombia (M19, ecc.), e da altri movimenti in genere affetti da malattia “fochista”.

La giustezza di questa combinazione in campo militare tra le attività partigiane e quelle dell’Esercito rosso, e con le masse come retroterra e base d’appoggio, è ratificata anche dal fatto che generalmente i processi rivoluzionari non insurrezionali si svolgono per tutto un lungo periodo iniziale con disparità di mezzi e forze in campo, per cui in realtà sono le masse a dimostrare la potenzialità storica di ogni processo rivoluzionario e non a caso al loro controllo ed imbonimento sono dedite le maggiori forze controrivoluzionarie anche nella successiva alla teoria maoista della guerra popolare prolungata, teoria imperialista della controrivoluzione preventiva.

 

Ancora nello stesso testo il Presidente Mao Tse-Tung scriveva:

“Indubbiamente l’esito della guerra è determinato soprattutto dalle condizioni militari, politiche, economiche e naturali nelle quali si trovano le parti belligeranti. Ma ciò non è tutto. L’esito della guerra è determinato anche dalla capacità soggettiva dei comandanti. Il capo militare non può cercare di conseguire la vittoria uscendo dai limiti posti dalle condizioni materiali, ma la può e la deve conquistare entro questi limiti. Sebbene il campo di attività del capo militare sia limitato da condizioni materiali oggettive, in questo campo egli può impostare azioni vive, brillanti, di un’epica grandezza.”

(Problemi strategici della guerra rivoluzionaria in Cina, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.4, pagg.189-256)

 

Per quanto riguarda questo aspetto, senza dover ripercorrere le avventure epiche dei combattenti cinesi (vedi la Lunga marcia), viet-namiti (vedi l’uso della mimetizzazione nella giungla e il corridoio segreto che congiungeva le forze del nord regolari a quelle del sud irregolari nella guerra anti-americana), peruviani, filippini, nepalesi, turchi, e di altri paesi, abbiamo in Italia un buon patrimonio militare da conoscere e ri-studiare; in particolare, per la guerra regolare l’esperienza dei combattenti delle Brigate internazionali in Spagna, per la guerriglia urbana l’esperienza dei GAP, per la guerriglia rurale, le battaglie che si svolsero nell’appennino e nella zona centrale veneta, per le repubbliche partigiane, in particolare l’esperienza dell’Ossola, e di tutte le altre zone liberate, per le azioni a sorpresa, gli attacchi alle carceri (per esempio a Udine e Belluno) che furono numerosissimi nella Resistenza. Gli esempi di contributo soggettivo ed eroico in tali contesti non si contano e sarebbero difficilmente catalogabili esaurientemente, ma certamente i compagni hanno già in mente dei titoli a cui riferirsi. Sostanzialmente, rispetto ad allora, i dati che sono cambiati sono una maggiore urbanizzazione e metropolizzazione delle aree urbane, e la riduzione molto grande del lavoro agricolo, la scomparsa di molte comunità rurali e montane, ma sostanzialmente un mantenimento della struttura fondamentale delle varie regioni, sia pur in un contesto di disastrato eco-sistema a causa della distruzione sistemica della vita portata avanti dallo “sviluppo” capitalista, giunto oramai ben oltre il proprio limite di sviluppo progressivo.

 

Nel maggio-giugno 1938 il Presidente Mao Tse-Tung ci disse nel corso di una serie di conferenze  sull’esperienza del primo anno di guerra antigiapponese:

“La guerra non ha altro scopo se non quello di ‘conservare le proprie forze e distruggere quelle del nemico’ (distruggere le forze del nemico significa disarmarle, ‘privarle di ogni capacità di resistenza’, e non distruggerle tutte fisicamente).  Nell’antichità, per fare la guerra ci si serviva di lance e di scudi: la lancia serviva ad attaccare e a distruggere il nemico, lo scudo a difendere e a conservare se stessi.  Fino ai giorni nostri, dallo sviluppo di questi due tipi di armi derivano tutti gli altri sviluppi.  I bombardamenti, le mitragliatrici, l’artiglieria a lunga gittata, i gas sono sviluppi della lancia, mentre le trincee, i caschi d’acciaio, le fortificazioni in cemento armato, le maschere antigas, sviluppi dello scudo.  I carri d’assalto costituiscono un’arma nuova, in cui si combinano la lancia e lo scudo.  L’attacco è il mezzo principale per distruggere le forze del nemico, ma non è possibile prescindere dalla difesa.  L’attacco mira a distruggere direttamente le forze del nemico, e nello stesso tempo a conservare le proprie forze, poiché se non si distrugge il nemico, sarà il nemico a distruggere voi. La difesa serve direttamente alla conservazione delle forze, ma è nello stesso tempo un mezzo ausiliario d’attacco o un mezzo atto a preparare il passaggio all’attacco.  La ritirata è in rapporto con la difesa, ne costituisce una continuazione, mentre l’inseguimento costituisce una continuazione dell’attacco. Va notato che tra gli scopi della guerra, la distruzione delle forze del nemico è lo scopo principale, e la conservazione delle proprie forze lo scopo secondario, poiché non è possibile garantire efficacemente la conservazione delle proprie forze se non distruggendo in massa le forze del nemico.  Da ciò consegue che l’attacco, in questo mezzo fondamentale per distruggere le forze del nemico, svolge il ruolo principale e che la difesa, in quanto mezzo ausiliario per distruggere le forze del nemico e in quanto è uno tra i mezzi per conservare le proprie forze, svolge un ruolo secondario. Sebbene in pratica si ricorra in numerose situazioni soprattutto alla difesa e, in altre, soprattutto all’attacco, quest’ultimo resta tuttavia il mezzo principale; ciò se si considera lo sviluppo della guerra nel suo insieme.”

(Sulla guerra di lunga durata, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.4, pagg.173-249)

 

Questo passaggio è molto importante perché nella cultura del movimento operaio, sin dalla sua fondazione nel nostro paese, predominano le lotte di difesa delle condizioni di vita, di miglioramento dei salari, delle condizioni abitative e di salute, di diritti, ma anche i metodi pacifici di manifestare per il suffragio universale, per es.  In realtà le rivolte violente nella storia degli ultimi 140 anni nel nostro paese, non si contano, ma, prima delle esperienze, rare, della guerra di Spagna e della Resistenza, la concezione di guerra del conflitto di classe è estemporanea o legata ad una prospettiva di autodifesa e/o insurrezionale (Rivolte per il pane, Settimana rossa di Ancona, Guardie rosse a Torino e occupazioni delle fabbriche, Arditi del popolo). Con le esperienze militari di Spagna, la Resistenza antifascista si dota successivamente di una impostazione offensiva sia negli attacchi alle colonne militari soprattutto in collina e montagna, sia nei sabotaggi (in particolare a Torino e Milano), sia negli attacchi alle truppe in città ed ai capi nazisti e delle brigate di torturatori fascisti, così come ai gerarchi ed agli uomini del regime. Non a caso, nonostante la tecnologia arretrata dell’epoca, solo gli anarchici tenteranno negli anni ’20-’30 di risolvere il barbaro scherzo della storia del potere mussoliniano, e peraltro senza riuscirci; legavano l’idea dell’azione contro il tiranno ad un momento favorevole, ad una circostanza, e perennemente questo loro ipotetico vantaggio si rivelava uno svantaggio al momento decisivo. Questa stessa impostazione si ritrova in altri momenti storici, ma solo in Italia, grazie ad una potente controrivoluzione, si riuscì sempre, dopo il regicidio del 1900, a prevenire le azioni offensive contro il re o il capo del governo. Del resto non era programmaticamente nella cultura del movimento proletario questa capacità. È appunto, con la guerra di Spagna, che il movimento operaio italiano sperimenta per la prima volta autonomamente (non come carne da macello) la guerra.

La lotta armata per il comunismo in Italia (particolarmente attiva tra il 1971 e il 1981) ebbe molti limiti, come abbiamo parzialmente già visto, ma di sicuro non mancava dell’impostazione offensiva. Più che altro non aveva una impostazione della difesa, muoveva “alla cieca” nel processo rivoluzionario ipotizzando che il “livello” su cui si  poneva (la “qualità” della guerriglia) fosse di per sé sufficiente a “rappresentare” lo scontro nella politica proletaria. In realtà si verificò che questa sua deficienza era anche culturale, viziata da idee borghesi e di mancata concezione del principale soggetto della guerra di classe, la classe nel suo complesso, sui diversi piani in cui era necessario portare avanti il processo rivoluzionario. Vi era la negazione a priori della teoria dei tre strumenti della rivoluzione, e quindi questo, oltre alla mancanza di una concezione della difesa e delle riserve strategiche del proletariato, ed alla assenza anche concettuale delle zone liberate, permise al potere di affermarsi sul terreno soprattutto militare, quando sul terreno politico i giochi erano ancora aperti.

 

Ancora nel dicembre 1936 il Presidente Mao Tse-Tung ci scrisse:

“Tutti i principi direttivi delle operazioni militari derivano senza eccezione da un principio fondamentale, quello di cercare fin dove è possibile di conservare le proprie forze e di distruggere quelle del nemico … Posto ciò, come possiamo giustificare l’esaltazione che facciamo del sacrificio degli eroi ?  Ogni guerra esige il suo prezzo, talvolta un prezzo altissimo. Ma ciò non è in contraddizione con il principio di conservare le proprie forze ?  In realtà non c’è affatto contraddizione, o per essere più precisi, c’è unità degli opposti.  Perché tale sacrificio è indispensabile non solo per distruggere il nemico ma anche per conservare le proprie forze –la “non conservazione” (sacrificarsi e pagare il prezzo) è necessaria in senso parziale e temporaneo per conservare le proprie forze in senso assoluto e permanente. Da questo principio fondamentale consegue una serie di principi che governano tutte le operazioni militari; dai principi di comportamento in battaglia (copertura e sfruttamento della potenza di fuoco, la prima per conservare le proprie forze e il secondo per distruggere il nemico), ai principi strategici, che sono tutti improntati a questo principio fondamentale. Tutti i principi riguardanti l’addestramento militare, la tattica, le campagne militari e la strategia forniscono le condizioni per l’applicazione di questo principio fondamentale. Il principio di conservare le proprie forze e di distruggere quelle del nemico è alla base di tutta l’arte militare.”

 

(Problemi strategici della guerra rivoluzionaria in Cina, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.4, pagg.189-256)

 

 

Dividiamo il commento di questa sintesi eccelsa dell’arte rivoluzionaria in campo militare in tre esempi o serie di esempi: il sacrificio quando è evitabile e quando può avvenire per errore; tipologie di assalto a colonne militari o poliziesche; generi di attività guerrigliere.

1

Il sacrificio di Martino Zicchitella (NAP) e di Roberto Capone (FCC) avvenne in due distinti episodi, analogamente in attacchi a forze sotto scorta, della controrivoluzione.

Nel primo caso la morte del combattente avvenne a causa della notevole resistenza delle forze colpite di polizia (capo antiterrorismo del Lazio, 15-12-1976), che in qualche modo prevenne l’ “effetto sorpresa” dell’attacco che verteva sullo sfruttamento di un furgone con portone scorrevole al fianco del mezzo dell’obiettivo.

Nel secondo caso l’attacco si svolgeva in una situazione semi-rurale (strada in area non urbana) e la linea di fuoco di copertura non potè impedire l’incidente a causa dell’attardarsi dell’azione e della resistenza offerta dalla scorta.

In entrambi i casi non si era rispettato appieno il principio secondo cui la guerriglia deve dominare il campo laddove e nel momento in cui porta l’attacco.

2

La tipologia classica di un attacco partigiano ad una colonna militare in movimento nelle nostre colline o montagne verte su alcuni aspetti: i declivi sopra e sotto il livello stradale permettono di nascondersi in attesa del passaggio delle truppe; una prima sentinella avverte del sopraggiungere della colonna in movimento attesa (in questo caso un’unica sentinella) o per controllo territoriale (in questo caso sentinelle ad entrambi i punti periferici di dislocazione dei gruppi d’assalto).  Una volta entrata nella zona di fuoco, usando o meno tronchi d’albero o mezzi o altri sistemi per bloccarla, la colonna viene assaltata allo scopo di annientarne la possibilità di movimento e resistenza, se necessario sino all’ultimo uomo, altrimenti sino alla cattura delle armi e delle munizioni trasportate. L’attacco viene portato in una zona in cui vi sono vie di fuga e poche possibilità di essere intercettati, fondamentalmente rurale. I gruppi di fuoco si dislocano sui due lati solo se sono distanti tra loro, altrimenti si dislocano su un solo lato, a gruppi, di modo da filtrare gli obiettivi e fermare definitivamente la colonna nello spazio prefissato.

La tipologia guerrigliera italiana degli ultimi decenni, appartenendo al proletariato in nome e per conto del quale ha operato, è studiabile dai proletari rivoluzionari nel rispetto delle diverse esperienze che vanno rispettate, e non delle concezioni errate che le hanno precedute o che ne sono state evoluzione; questa esperienza comunque ultradecennale anche se quasi élitaria dopo la prima fase (1971-1981), ha in almeno due casi degli esempi da manuale di come fermare una serie di mezzi delle forze controrivoluzionarie; saltiamo la più nota, sulla quale vi sono libri e addirittura cd animati (in quel caso il nucleo di attacco, bloccò le auto davanti e dietro in maniera addirittura semplicissima, ed attaccò le forze controrivoluzionarie da un lato solo). Nel caso dell’esproprio di via Prati di Papa, una strada in discesa con una curva a sinistra attendeva il passaggio di un furgone postale zeppo di denaro e di un’auto della polizia di scorta. Un limite delle forze controrivoluzionarie fu quello che l’auto stava dietro, permettendo quindi maggiore agevolezza nel bloccare con altro mezzo il furgone postale senza ledere la vita dei civili che lo conducevano. Sulla curva, a distanza, stavano dei militanti a copertura. Sui lati della strada, in postazioni ordinate e diversificate, stavano i militanti destinati all’attacco della scorta , all’azione di prelievo ed alla via di fuga. Questa avvenne senza inghippi, almeno a stare al tranquillo parcheggio di uno dei mezzi usati all’interno del cortile di un ospedale. Fu un’azione da manuale, uno schiaffo alla controrivoluzione ed a quegli arresi che per un po’ di milioni ed alcune trasmissioni televisive intendevano dichiarare “conclusa” la lotta.

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Generi di attività guerrigliere diverse si possono esplicare in alcuni campi e metodi. L’agire per campagne (con prevalenza di obiettivo, propagandistico) o per piani (con obiettivi anche militari e non meramente temporanei), l’azione selettiva esemplare (come l’uccisione di un importante personaggio inviso ed odiato dal popolo) o la serie di azioni di media portata distruttiva, coordinate e contemporanee in un dato territorio (generalmente collegate alle campagne politiche nel caso delle “notti di fuoco” venete degli anni ‘76-‘79, ma anche a piani di sviluppo di guerre popolari). L’azione può essere distruttiva (una base militare straniera) o propagandistica (la propaganda su luoghi simbolo scelti in un territorio controllato dal nemico o la propaganda estesa a raffigurare il proprio controllo del territorio), può mirare ad obiettivi permanenti (le dimissioni del sindaco per esempio) o temporanei (lo svolgimento di assemblee popolari senza il controllo e la presenza del nemico). Può anche essere entrambe le cose, con scopi e mezzi modesti dal punto di vista materiale, ma con effetti dirompenti nel morale del nemico (l’attacco alla base di Aviano che generò un allarme generale in clima prebellico nelle basi del nord Italia della NATO). Può anche essere eclatante, ma solo se l’effetto per le masse sarà positivo e non impressionante (la gambizzazione di massa di una scuola aziendale, metà  docenti e metà studenti, sembrava una logica di annientamento da pollaio, sistematica e non selettivamente comprensibile alle masse). La potenza non è sempre un buon criterio di ragionamento, meglio occupare un treno in corsa con forze soverchianti ed immobilizzanti quelle del nemico con poche o nulle perdite da entrambe le parti, per fare propaganda di massa, che bloccare una strada con rischio di conflitti a fuoco davanti ai passanti. Oppure può essere macchinosa e addirittura più simile ad un furto con destrezza che ad una azione guerrigliera, ma altamente offensiva se l’obiettivo è altamente significativo (il sequestro del generale Dozier).

Ciò che è fondamentale per iniziare ad approntare una teoria rivoluzionaria in una realtà come la nostra è la comprensione che data la difficoltà a mantenere zone liberate per lunghi periodi (la stessa Resistenza fa testo relativamente, essendo durata, nel nord Italia, 1 anno e mezzo e poco più, ed in periodo di invasione militare straniera nemica ed alleata) le strutture di base della guerra popolare sono nella classe stessa e nelle colonne mobili.

Ma è un discorso qui solo abbozzato, peraltro da un autore che non ha avuto molto a che fare con certi attrezzi, e basandosi solo sulla memoria degli articoli di giornale e servizi televisivi del tempo relativo ai singoli episodi citati.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse nel rapporto del 25-28 dicembre 1947 a proposito dello sviluppo della guerra rivoluzionaria e in applicazione del Manifesto dell’Esercito popolare di liberazione:

“Ecco i nostri principi militari:

1.        Attaccare dapprima le forze nemiche disperse e isolate, e successivamente le forze nemiche concentrate e potenti.

2.        Impadronirsi dapprima delle città piccole e medie  e delle vaste regioni rurali, e successivamente delle grandi città.

3.        Fissare come obiettivo principale l’annientamento delle forze vive del nemico, e non la difesa e la conquista di una città o di un territorio.  La possibilità di conservare o di conquistare una città o un territorio risulta dall’annientamento delle forze vive del nemico, e spesso una città o un territorio non possono venir conservati o conquistati definitivamente se non dopo che sono passati numerose volte da una mano nell’altra.

4.        Per ogni battaglia, concentrare forze di una superiorità assoluta (due, tre, quattro e talora persino cinque o sei volten quelle del nemico), accerchiare completamente le forze nemiche, sforzarsi di annientarle totalmente, senza dar loro la possibilità di sfuggire dalla rete. In certi casi particolari, infliggere al nemico colpi micidiali, vale a dire: concentrare tutte le nostre forze per un attacco frontale e per un attacco su uno dei fianchi del nemico o sui due, annientare una parte delle sue truppe e mettere in rotta il resto, allo scopo di permettere al nostro esercito di spostare rapidamente le sue forze per schiacciare altre truppe nemiche. Sforzarsi di evitare le battaglie di logoramento, in cui i guadagni sono inferiori alle perdite oppure le coprono appena.  Così, benchè nell’insieme siamo (numericamente parlando) in stato d’inferiorità, godiamo di una superiorità assoluta in ogni determinato settore, in ogni battaglia, il che ci garantisce la vittoria sul piano delle operazioni. Con l’andar del tempo, noi otterremo la superiorità d’insieme e alla fine annienteremo tutte le forze nemiche.

5.        Non ingaggiare battaglia senza preparazione, né ingaggiare una battaglia di cui l’esito vittorioso non sia sicuro. Compiere i massimi sforzi per prepararsi bene ad ogni scontro e per garantirsi la vittoria in un dato rapporto di condizioni stabilito tra il nemico e noi.

6.        Applicare pienamente il nostro stile di combattimento –bravura, spirito di sacrificio, sprezzo della stanchezza e tenacia nei combattimenti continui (scontri successivi scatenati in un breve lasso di tempo e senza riposo alcuno).

7.        Sforzarsi di annientare il nemico ricorrendo alla guerra di movimento. Nello stesso tempo, attribuire la dovuta importanza alla tattica d’attacco delle posizioni, allo scopo di impadronirsi dei punti fortificati e delle città del nemico.

8.        Per quanto riguarda l’attacco alle città, impadronirsi risolutamente di tutti i punti fortificati e di tutte le città debolmente difese dal nemico. Impadronirsi nel momento propizio di tutti i punti fortificati e di tutte le città che il nemico difende moderatamente, a condizione che le circostanze lo permettano. Quanto ai punti fortificati e alle città che il nemico difende potentemente, aspettare che le condizioni siano mature, e poi impadronirsene.

9.        Integrare le nostre forze con l’aiuto di tutte le armi e della massima parte degli effettivi sottratti al nemico. Le fonti principali di uomini e di materiale per il nostro esercito sono al fronte.

10.     Saper mettere a profitto l’intervallo tra due campagne per riposare, per istruire e per consolidare le nostre truppe.  I periodi di riposo, d’istruzione e di consolidamento non devono essere, in generale, molto lunghi, e, nella misura del possibile, non si deve lasciare al nemico il tempo necessario per riprendere fiato.

Questi sono i metodi principali applicati dall’Esercito popolare di liberazione per battere Chiang Kai-Shek. Essi sono stati elaborati dall’Esercito popolare di liberazione nel corso di lunghi anni di combattimento contro i nemici interni ed esterni, e si addicono perfettamente alle nostre attuali condizioni … La nostra strategia e la nostra tattica si fondano sulla guerra popolare; nessun esercito che si opponga al popolo può utilizzare la nostra strategia e la nostra tattica.”

(La situazione attuale e i nostri compiti, 25 dicembre 1947, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.10,  pag.109-126)

 

Sono principi generali che non credo necessitano di particolari commenti, la loro grandiosità e semplicità insieme bastano e avanzano in questo passaggio.

 

Ancora nel maggio-giugno 1938, il Presidente Mao Tse-Tung ebbe a dirci nelle conferenze sul primo anno di guerra anti-giapponese:

“Senza preparazione, la superiorità delle forze non è effettiva superiorità, né è possibile avere l’iniziativa. Se si comprende questa verità, determinate truppe, inferiori di forze ma preparate, possono spesso, con un attacco a sorpresa, battere un nemico superiore.”

(Sulla guerra di lunga durata, in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit.,vol.4, pagg.173-249)

 

E per fortuna, che sennò la storia si fermerebbe e l’umanità un po’ alla volta si ridurrebbe persino di numero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

9.        L’esercito popolare

 

Il Presidente Mao Tse-Tung  ci ha detto nel suo rapporto al VII congresso del PCC:

“Senza un esercito popolare, il popolo non ha niente.”

“Questo esercito è forte perché di esso fanno parte uomini coscienti e disciplinati che si sono uniti e combattono, non nell’interesse di un piccolo gruppo di persone o di una qualsiasi cricca ristretta, ma nell’interesse di larghe masse, nell’interesse di tutta la nazione. Stringere compatte le proprie file attorno alle masse popolari cinesi, servire con tutto il cuore il popolo cinese: questa è l’unica aspirazione che muove il nostro esercito.”

(“Sul governo di coalizione”, 24.4.1945;

la prima citazione è ripresa anziché dall’originale

del PCC del 1967, dalle  Opere di Mao Tse-Tung, cit., , vol.9, pagg.117-174)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto nel dicembre 1929:

“L’Esercito rosso cinese è una organizzazione armata fatta per affrontare i compiti politici posti dalla rivoluzione. Specialmente oggi l’Esercito rosso non può assolutamente limitarsi soltanto a combattere; oltre al compito di combattere per distruggere le forze armate del nemico, sono ad esso affidati altri importanti compiti nel campo della propaganda fra le masse, della loro organizzazione, del loro armamento, dell’aiuto da prestar loro per la creazione del potere rivoluzionario e anche per la creazione di organizzazioni del Partito comunista. La guerra che l’Esercito rosso conduce non è una guerra fatta per amore della guerra, ma per sviluppare la propaganda fra le masse, per organizzarle, per armarle, per aiutare a creare il potere rivoluzionario; se si rinunciasse a questi compiti la guerra non avrebbe più senso e l’esistenza stessa dell’Esercito rosso perderebbe ogni ragione d’essere.”

(“Sradicare le concezioni errate nel Partito, dicembre 1929, in Risoluzione del 9° congresso del PCC del IV Corpo d’Armata dell’Esercito rosso, I parte, in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,  vol.2, pagg.187-220)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 5 marzo 1949:

“L’Esercito Popolare di Liberazione sarà sempre una forza combattente.  Anche dopo la vittoria sul piano nazionale, durante il periodo storico in cui le classi non saranno ancora state soppresse nel nostro paese e in cui il sistema imperialista continuerà ad esistere nel mondo, il nostro esercito resterà una forza combattente.  Su questo punto non deve sorgere alcun malinteso, né manifestarsi alcuna incertezza.”

(Rapporto alla seconda sessione plenaria del Comitato centrale uscito dal VII Congresso del Partito comunista cinese, 5 marzo 1949, in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,  vol.11, pagg.79-90)

 

Nel rapporto a questa riunione Comitato centrale, nella fase preparatoria dell’assalto ai residui baluardi del potere feudale cinese, Mao pone in evidenza il rischio che la borghesia riemerga tra le fila del Partito una volta conquistato il potere; delega tuttavia tutto il potere militare all’Esercito Popolare, anche una volta conquistato il potere; i successivi eventi e la stessa necessità della guerra popolare dimostrano che sarebbe opportuna una rivisitazione teorica nel progredire storico della costruzione del socialismo nei paesi del mondo onde definire una dualità di potere militare, data dalla fondamentalità dell’Esercito Popolare rispetto ai rischi esterni ed alle sommosse controrivoluzionarie e fasciste della borghesia e delle classi reazionarie, ma anche dalla permanente condizione di armamento delle masse dirigenti il processo rivoluzionario, per evitare che una sola cricca dirigente nera del Partito determini e conduca l’Esercito a muoversi secondo linee controrivoluzionarie e contrarie alle masse, come avvenuto nell’ottobre 1976. La presenza dell’EPL in ogni territorio solo durante la prima fase della rivoluzione e durante la GRCP garantì il socialismo dalla degenerazione, mentre dopo la morte di Mao fu diretto con alcune limitate resistenze dalla cricca nera di Hua Kuo-Feng e soci che demonizzando i compagni della ‘banda dei quattro’ produsse le condizioni per l’affermazione del revisionismo nel campo economico, politico e anche militare, come dimostra la repressione dei moti operai e contadini a partire dalla seconda metà degli anni ’80, e non solo la repressione delle opinioni liberali tra i giovani piccolo borghesi da Piazza Tienammen nel 1989 (che non vedeva solo la presenza di studenti liberali, anzi, in gran parte della sinistra operaia e studentesca maoista) in poi. Questo permanente stato di armamento delle masse è stato sperimentato con successo nella Repubblica Popolare dell’Albania (Shqipërisë) ed era stato ipotizzato addirittura negli anni sessanta dai dirigenti borghesi del sistema di potere democristiano nel nostro paese in funzione di difesa della Costituzione repubblicana da colpi di mano fascisti. Si tratterebbe insomma di avere una Milizia proletaria permanente costituita dai lavoratori d’avanguardia di ogni zona e provincia, dipendente dalla Comune del rispettivo territorio, quindi non necessariamente diretta da membri del Partito, per lasciare alle masse la possibilità di liquidare le cricche nere prima che sia troppo tardi e che la dirigenza del Partito, che potrebbe non intervenire per tempo,  lasci che la situazione degeneri, come avvenuto in URSS prima del 1956 e in Cina prima dell’ottobre 1976 (ma anche in paesi dell’America Latina come il Cile, nel settembre 1973).

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 29 novembre 1943:

“Noi abbiamo un esercito che combatte e un esercito del lavoro. Il nostro esercito combattente è costituito dalla VIII Armata di marcia e dalla Nuova IV Armata.  Ma l’esercito combattente viene impiegato in due direzioni: esso combatte e si dedica all’attività produttiva.

Avendo due eserciti quali l’esercito combattente e l’esercito del lavoro, e quando l’esercito che combatte è capace sia di condurre la guerra che di lavorare nella produzione e, inoltre, di svolgere il lavoro tra le masse, noi possiamo superare tutte le difficoltà, possiamo sconfiggere gli imperialisti giapponesi.”

(“Organizziamoci !”, in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,  vol.8 , pagg.243-252).

 

Qui il riferimento è alle zone liberate nella conduzione della guerra popolare, nelle quali il lavoro ed i vari compiti tra i quali il sostentamento dei combattenti  sono essenziali al Nuovo Potere in costruzione ed alla pulizia ed autonomia della linea rivoluzionaria conseguente costruita nel processo rivoluzionario.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 21 settembre 1949:

“La nostra difesa nazionale verrà rafforzata e noi non permetteremo agli imperialisti, chiunque essi siano, di invadere di nuovo il nostro territorio. Le nostre forze armate popolari devono essere mantenute e devono svilupparsi sulla base dell’eroico Esercito popolare di liberazione, che è passato attraverso tutte le sue prove. Avremo, non soltanto un potente esercito di terra, ma anche una potente aviazione e una potente marina da guerra.”

(“Il popolo cinese si è alzato in piedi”, Discorso inaugurale alla I sessione plenaria della Conferenza consultiva politica del Popolo cinese, in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,  vol.11, pagg.171-174)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 6 novembre 1938:

“Il nostro principio è: il Partito comanda ai fucili, mentre è inammissibile che i fucili comandino al Partito.”

(“La guerra e i problemi della strategia”, parte delle conclusioni alla sesta sessione plenaria del sesto Comitato centrale del Partito comunista cinese, in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,  vol.7, pagg.55-72)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung il 10 ottobre 1947 ci ha scritto:

“Tutti i nostri ufficiali e i nostri soldati devono sempre tener presente che noi siamo il grande Esercito Popolare di Liberazione, le truppe dirette dal grande Partito comunista cinese. A condizione di osservare costantemente le direttive del Partito, possiamo essere sicuri della vittoria.”

(“Manifesto dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese”, in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,  vol.10, pagg.103-106)

 

È comunque opportuno che i quadri di base dell’Esercito e le masse popolari non si accontentino mai di riporre la massima fiducia in loro, e sottopongano a periodica verifica e controllo dal basso tutti i dirigenti, quindi anche quelli dell’Esercito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

10.     Il ruolo dirigente dei comitati di Partito

 

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci scrisse il 20 settembre 1948:

“Il sistema del comitato del Partito è un’importante istituzione del Partito volta a garantire la direzione collegiale e a impedire che una singola persona si accaparri la direzione del lavoro. Ora, di recente s’è constatato che in certuni dei nostri organi dirigenti (evidentemente non in tutti) è uso corrente che una singola persona si accaparri la direzione del lavoro e prenda le decisioni in merito ai problemi d’importanza. Non la riunione del comitato di Partito decide le soluzioni da dare ai problemi importanti, bensì una singola persona, mentre i membri del comitato di Partito sono lì soltanto per la forma. Le divergenze d’opinione tra i membri del comitato non possono venir risolte e vengono lasciate a lungo in sospeso. I membri del comitato del Partito mantengono tra loro soltanto un’unità formale e non di fondo. Occorre modificare questo stato di cose. È ormai necessario che ovunque si stabilisca un buon sistema di riunioni del comitato del Partito, dagli uffici del Comitato centrale ai comitati provinciali, dai comitati del fronte ai comitati di brigata e alle regioni militari (sottocommissioni della Commissione militare rivoluzionaria del Partito o gruppi di dirigenti) e, inoltre, di gruppi dirigenti del Partito negli organi governativi e nelle organizzazioni popolari, e all’agenzia di informazione e ai giornali. Tutti i problemi importanti (non, evidentemente, le questioni prive d’importanza o i problemi la cui soluzione, discussa in riunione, è già stata oggetto di una decisione che richieda semplicemente di essere applicata) devono essere sottoposti a discussione in seno al comitato; bisogno che i membri presenti esprimano i loro punti di vista senza riserve e che giungano a decisioni precise, la cui applicazione sarà garantita rispettivamente dai membri interessati … Le riunioni di un comitato del Partito devono essere di due specie: riunione del comitato permanente e riunioni in seduta plenaria; esse non vanno confuse. Inoltre, teniamo presente quanto segue: la direzione collegiale e la responsabilità personale sono in ugual misura indispensabili; non bisogna trascurare né l’una né l’altra. Nell’esercito, durante le operazioni o quando le circostanze lo esigono, i capi responsabili hanno il diritto di prendere decisioni d’urgenza.”

(relazione per il Comitato centrale del Partito comunista cinese, in “Rafforzare il sistema del comitato del Partito”

in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,

Ed.Rapporti Sociali, vol.10, pag.195-196,

esclusa la prefazione che legittima il porco

revisionista Deng Tsiao-Ping chiamandolo “compagno” )

 

Coloro che senza ritegno di falsificare storicamente il nostro patrimonio ideologico e storico di noi comunisti, attribuisce a Mao il culto della personalità, ed altre cose fasulle, leggendosi questo semplice invito al metodo di direzione collettiva ed al sistema di discussione, potrebbero trovare al fondo della propria concezione una mitologia del tutto estranea alla concreta natura del partito rivoluzionario, che è classista e comunista insieme, e non luogo di esercizio od aspirazione al potere. I comunisti non cercano di “andare al potere” ma di dare alla classe proletaria ed alle masse popolari strumenti ed indirizzi per assicurare alle masse la completa padronanza della società, il potere per i comunisti non è un fine ma un mezzo non proprio ma espressione della classe e delle sue organizzazioni, cui dare direzione non è un imperativo che astrae dalla dialettica e dalla verifica del ruolo, e non solo, non è neppure un dato astratto dallo sviluppo storico.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse durante il discorso conclusivo alla seconda sessione plenaria del settimo Comitato centrale del Partito comunista cinese, il 13 marzo 1949:

“Il segretario di un comitato del Partito deve saper essere un buon “caposquadra”. Un comitato del Partito conta da dieci a venti membri; esso è paragonabile a una squadra dell’esercito, e il segretario è paragonabile al caposquadra. Certamente, dirigere bene questa squadra non è facile. In questo momento, ogni ufficio e ogni ufficio regionale del Comitato centrale ha sotto la propria direzione una regione vasta e deve assumersi compiti assai ardui. Dirigere non significa semplicemente determinare l’orientamento generale e le misure particolari di una politica, ma anche elaborare giusti metodi di lavoro. Anche se l’orientamento generale e le misure particolari sono giuste, se non si presta sufficientemente attenzione ai metodi di lavoro possono insorgere problemi. Per svolgere il proprio compito, che è quello di dirigere, un comitato del Partito deve contare sugli uomini della squadra e metterli in condizione di svolgere a fondo il loro ruolo. Per essere un buon “caposquadra”, occorre che il segretario studi senza tregua ed esamini a fondo le questioni. Un segretario o un segretario aggiunto difficilmente riusciranno a dirigere come si deve gli uomini della loro “squadra” se non adotteranno la precauzione di fare tra loro un certo lavoro di propaganda e di organizzazione, se non sanno mantenere buoni rapporti tra i membri del comitato o se non studiano i mezzi atti a dirigere con successo una riunione. Se tutti gli uomini della “squadra” non comminano allo stesso passo, non possono presumere di poter dirigere milioni di persone nella lotta e nella edificazione. Beninteso, le relazioni tra il segretario e i membri del comitato sono tali per cui la minoranza deve sottomettersi alla maggioranza: sono perciò diverse dalle relazioni esistenti tra un caposquadra e i suoi uomini. Ma qui abbiamo parlato soltanto per analogia.”

“Gettate i problemi sul tappeto. Questo devono fare, non soltanto il caposquadra, ma anche i membri del comitato. Non formulate critiche dietro la schiena.  Appena si pone un problema, convocate una riunione, gettatelo sul tappeto, discutetelo, prendete delle decisioni, e il problema sarà risolto. Se esistono problemi, ma non vengono gettati sul tappeto, questi problemi rimarranno a lungo privi di una soluzione, e rischieranno di trascinarsi per anni. Il “caposquadra” e i membri del comitato devono mostrarsi comprensivi nelle loro reciproche relazioni.  Non c’è nulla di più importante della comprensione, del sostegno e dell’amicizia tra il segretario e i membri del comitato, tra il Comitato centrale ei suoi uffici, e così tra gli uffici del Comitato centrale e i comitati territoriali del Partito.”

Scambiatevi informazioni. In atri termini: i membri di un comitato del Partito devono tenersi vicendevolmente al corrente e devono scambiarsi i loro punti di vista sulle cose che sono giunte a loro conoscenza. Ciò è molto importante al fine di trovare un linguaggio comune. Ora, certuni non lo fanno e, come diceva Laotse, ‘non si frequentano in vita, benchè i galli che cantano e i cani che abbaiano presso i primi possano essere sentiti dagli altri.  Ne deriva che manca loro un linguaggio comune.”

“Consultate i compagni dei gradi inferiori in merito a ciò che non capite o a ciò che non conoscete, e non esprimete alla leggera la vostra approvazione o la vostra disapprovazione … Non bisogna mai pretendere di conoscere ciò che non si conosce e ‘non bisogna vergognarsi di consultare i propri subalterni,’  bisogna bensì saper prestare orecchio ai pareri dei quadri dei gradi inferiori. Siate allievi prima di essere maestri; prima di promulgare ordini, consultate i quadri dei gradi inferiore. (…) In ciò che i quadri dei gradi inferiori affermano c’è del giusto e c’è del falso; è nostro compito attuarne l’analisi. Le idee giuste, noi dobbiamo ascoltarle e seguirle.  (…)  Anche i giudizi errati che vengono dal basso, noi dobbiamo ascoltarli; sarebbe un errore non ascoltarli, ma invece di adottarli, occorre criticarli.”

“Imparare a suonare il pianoforte. Per suonare il pianoforte, occorre muovere le dieci dita; è impossibile farlo con poche dita soltanto, lasciando immobili le altre. Tuttavia, se si premono le dieci dita tutte in una volta, non si dà melodia. Per fare della buona musica, occorre che i movimenti delle dita siano ritmati e coordinati. Un comitato del Partito deve afferrare bene il suo compito centrale e comporaneamente, attorno a questo compito centrale, deve sviluppare il suo lavoro in altri campi di attività. In questo momento dobbiamo occuparci di numerosi àmbiti: dobbiamo vigilare sul lavoro di tutte le regioni, in tutte le unità armate e in tutti gli organismi; non dobbiamo dedicare la nostra attenzione soltanto ad alcuni problemi, escludendo gli altri.

Ovunque si ponga un problema, occorre premere sul tasto; è , questo, un metodo in cui dobbiamo acquisire una certa maestria. Certuni suonano bene il pianoforte, altri lo suonano male, e la differenza tra le melodie che ne traggono è enorme. I compagni dei comitati del Partito devono imparare a suonare bene il pianoforte.”

Prendete in mano fermamente le vostre incombenze. Intendiamo dire con ciò che un comitato del Partito, non soltanto deve prendere in mano le sue incombenze principali, ma anche che deve prenderle in mano fermamente. Non è possibile tenere bene una cosa se non prendendola solidamente in mano, senza mai allargare le dita, nemmeno di un po’. Non prendere in mano una cosa solidamente equivale a non prenderla in mano affatto. Naturalmente, non è possibile affermare una cosa con la mano aperta. E quando si chiude la mano, ma senza strimgere forte, si dà l’impressione di tenere una cosa, e invece la cosa non è stata veramente afferrata. Alcuni dei nostri compagni, certo, prendono in mano le loro incombenze principali, ma siccome non le prendono in mano solidamente, non sono in grado di svolgere un buon lavoro. Le cose non andranno per il loro verso se non prenderete in mano le vostre incombenze; ma le cose non andranno per il loro verso neppure se non le prenderete in mano fermamente.”

“Cercate di avere in testa le cifre. Ciò significa che noi dobbiamo prestare attenzione all’aspetto quantitativo di una situazione o di un problema e farne un’analisi quantitativa di fondo. Ogni quantità si manifesta tramite una quantità determinata, e senza quantità non può darsi qualità. Oggi ancora, numerosi tra i compagni non sanno che devono prestare attenzione all’aspetto quantitativo delle cose –alle statistiche fondamentali, alle percentuali principali e ai limiti quantitativi che determinano la qualità delle cose; non hanno affatto le cifre in testa; da ciò risulta che essi non possono evitare di commettere errori.”

Avviso alla popolazione. Occorre annunciare le riunioni in anticipo, come se si affliggesse un avviso alla popolazione, affinchè ognuno sappia ciò di cui verrà discusso e quali sono i problemi da risolvere, e affinchè ognuno possa prepararsi in tempo. In certe zone vengono convocate riunioni di quadri senza che siano pronti i rapporti e i progetti di soluzione; questi vengono improvvisati alla bell’e meglio quando i partecipanti sono già presenti in aula; un simile stato di cose ricorda il detto: Le truppe e i cavalli sono presenti, ma i viveri e il foraggio non sono ancora pronti. Questo modo di procedere non è buono. Non affrettatevi a convocare riunioni se queste non sono ben preparate.”

“Meno truppe ma migliori, e semplificare l’amministrazione. Le conversioni, i discorsi, gli articoli e le risoluzioni devono essere di tipo chiaro e conciso. Del pari, le riunioni non devono essere troppo lunghe.”

“Prestate, attenzione alla collaborazione nell’unità con i compagni i cui punti di vista divergono dai vostri. Negli organismi locali, come nell’esercito, occore prestare attenzione a questo principio, che va ugualmente applicato anche alle nostre relazioni con le persone che sono estranee al Partito. Siamo venuti da tutti gli angoli del paese e dobbiamo saper collaborare nell’unità, non soltanto coi compagni che condividono i nostri punti di vista, ma anche con quelli che ne hanno altri.”

Evitate di essere orgogliosi. Si tratta di una questione di principio per tutti i dirigenti, ed anche di una condizione importante per il mantenimento dell’unità. Anche coloro che non hanno commesso errori gravi e che hanno ottenuto grandi successi nel loro lavoro non devono essere orgogliosi.”

(“Metodi di lavoro dei comitati di Partito”,

 in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,

Ed.Rapporti Sociali, vol.11,pag.91-95)

Nella nostra realtà di società imperialista e tuttavia molto localizzata legata alla burocrazia ai piccoli poteri e ai misteri dei palazzi, alla ricchezza molto diffusa che ha fatto regredire anziché migliorare la natura della borghesia, una società cioè anche semi-feudale per i caratteri di potere del quartiere, del luogo, della città, della regione, che sono assunti da compagini criminali anche politiche in ogni ambito, società in cui questi caratteri ancora erano meno totalizzanti di oggi, negli anni ’70, essere militanti ed avanguardie significava essere anche spesso dei sovversivi operativi, e questo creava delle figure abbastanza legittimate e riconosciute. Certi caratteri di compagni, anziché vivere questa cosa con maturità e anche fermezza ma senza profittarne, diventavano colonnelli, cioè piccoli ras in università per lo più e a volte in situazioni locali. Questo fenomeno non riguardà la classe operaia che aderiva in parte minoritaria ma significativa al campo rivoluzionario, ma apparteneva a quei gruppi operaisti, Autonomia, Prima Linea, che vedevano nella gestione della violenza sul piano sociale ed universitario uno strumento diffuso e anche troppo utilizzato non tanto o solo sul terreno combattente ma anche su quello proprio dei rapporti sociali e politici nella classe. Non era solo settarismo, ma proprio violenza come metodo, e peraltro nasceva dal gruppismo soprattutto del MS e MLS (gruppi stalinisti milanesi di Capanna) e in Avanguardia Operaia (loro corrispettivo trotskista), ma anche in Lotta Continua. Queste pratiche, di cui facevano le spese i gruppi meno corposi e meno rappresentati sul territorio, come gli m-l, la sinistra comunista, i bordighisti, ecc., creavano delle metodologie scorrette dal punto di vista politico che però si sedimentavano.

Nei rapporti con i gruppi opportunisti di destra rispetto alle collocazioni che si assumono nel movimento proletario, non è scorretto usare allorquando avvengono provocazioni, la violenza, sia pure moderatamente. Il problema non si poteva porre verso i gruppi combattenti, dato che per lo più agivano quando agivano con provocazione, in maniera clandestina. Tuttavia queste cose si sono sedimentate e hanno creato delle forme perdenti di lavoro anche all’interno delle situazioni. Non si era nel potere rosso del socialismo, eppure lo si simulava, creando così una ridicola ed antistorica imitazione di ciò che avveniva nella rivoluzione culturale cinese, dove invece il problema si poneva perché non vi era un nemico contro il quale combattere (lo Stato borghese) ma vi era tutta una serie di forme di potere ed abusi che chi poteva compiere, a volte compiva, e quindi si trattava di reprimere una degenerazione interna al movimento comunista ed al partito comunista ed alla classe operaia e contadina. Oggi l’esistenza ancora di queste forme di orgoglio e presunzione di potere, è un retaggio, una maschera piccolo borghese, propria di vari compagni, che nuoce all’unità delle forze del proletariato nell’assalto rivoluzionario prossimo venturo. In genere sono le compagne a sputtanare queste cose ed a permettere di superarle, se sono così palesi da poter essere fermate prima della degenerazione.

Il centralismo democratico, in forma adeguata al livello storico dei rapporti sociali, è tuttora il metodo corretto con il quale si deve gestire l’autorità nelle organizzazioni comuniste. Privarlo del secondo termine, significa passare a forme estranee alla nostra storia e patrimonio teorico e pratico, uscire dal marxismo, dal leninismo e dal maoismo.

La decadenza del metodo paternalistico, adatto al periodo in cui gli intellettuali ed alfabetizzati erano una esigua minoranza e quindi il rapporto dipendeva molto dalla immagine del dirigente, è una cosa positiva, chi vuole impedirla mantenendo diviso il proprio gruppo o gruppetto dagli altri, crea un danno all’intero movimento proletario, che, come comunismo in atto, è il movimento reale che trasforma e supera lo stato presente delle cose (Marx).

Cosa significa oggi il termine autorità Politica, o Politico-Militare, o della Esperienza, quando non esiste ancora né un partito né una guerra popolare degna di questo nome ? Nel primo e nel secondo caso sono termini autorappresentativi abbastanza insufficienti dal punto di vista marxista a giustificare altre cose; dal punto di vista operaio e proletario, dirigente è l’Esperienza e la Sintesi di cui il dirigente di fatto del contesto specifico riesce a superare nel migliore dei modi con minori perdite e maggiori successi possibili, ogni frangente, ogni tornante. (batticuore altrui)

Oramai l’esperienza ha sedimentato metodi organizzativi a un certo numero di lavoratori e compagni; nel nostro paese ciò che è tuttavia cresciuto in essa è sempre dipeso anche da una visione mitologica di derivazione togliattiana e revisionista, che si è rilevata alfine fasulla e corrotta da concezioni borghesi nella stragrande maggioranza dei militanti del ciclo politico ininterrotto degli ultimi trentacinque anni ; va evitata l’ostentazione dell’orgoglio fuori dai contesti di scontro col nemico, ed è dannosissimo e incalcolabile il rischio di forme di espressione dell’orgoglio tra i compagni. Può anche generare malintesi ed equivoci che si possono trascinare per anni e magari, per le circostanze della vita, non risolversi mai.

In questo, le priorità poste da alcuni verso altri, assumono un ruolo controrivoluzionario poiché sono quasi sempre servite a ridurre il dibattito e sfiduciare, allontanandoli, i compagni meno esperti o quelli più sensibili. (male alle tempie)

Nella logica assunta da molte formazioni rivoluzionarie dalla fine dei settanta ad oggi, si è assistito al protrarsi di guerre giudiziarie tra militanti, di guerre carcerarie anche al di fuori delle galere dopo la pena, alla decadenza alla logica di setta, di clan. (male alle tempie, pressione sulle mandibole) - (male agli stinchi)

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse durante il discorso conclusivo alla seconda sessione plenaria del settimo Comitato centrale del Partito comunista cinese, il 13 marzo 1949:

“Tracciate due linee di demarcazione. Innanzitutto tra la rivoluzione e la controrivoluzione, tra Yenan e Sian.” [Yenan fu la sede del Comitato centrale del PCC dal gennaio 1937 al marzo 1947; Sian fu il centro del dominio reazionario del Kuomingtang nella Cina del Nord-Ovest.” (provocano morsicatura lingua) Il compagno Mao Tse-Tung le cita come simboli della rivoluzione e della controrivoluzione].  “Alcuni non sanno che devono tracciare questo combattono la burocrazia, parlano di Yenan come se a Yenan non ci fosse stato “niente di buono”, e non stabiliscono un confronto tra la burocrazia a Yenan e la burocrazia a Sian.  In questo modo commettono un errore fondamentale.  Inoltre, tra i rangi della rivoluzione, è necessario tracciare una linea di demarcazione tra ciò che è giusto e ciò che è falso, tra ciò che costituisce un successo e ciò che è mera insufficienza, e, ancora, è necessario discernere quale di queste due cose prevale.  Per esempio: i successi sono nell’ordine del 30 oppure del 70 per cento ?  Evitare le sottovalutazioni e le sopravvalutazioni !  Occorre valutare globalmente il lavoro di una persona; e stabilire se i suoi successi sono del 30 per cento e i suoi errori  del 70 per cento, o invece l’inverso.”

(“Metodi di lavoro dei comitati di Partito”,

in Opere di Mao Tse-Tung, cit., vol.11,pag.91-95)

 [Se poi ci sono troppi , magari 10 per cento contro 90 per cento di successi, accompagnati da troppa franchezza politica e disponibilità umana, ecco che si viene odiati. Ma questa è una cosa che accade nella società borghese e che si riproduce nel movimento comunista dei paesi imperialisti causa ciò che ci insegnò Engels sulle idee dominanti. Ed è in questi casi che, nella società della politica come in quella della mafia, si ha quello che Orsini e i fratelli Taviani definirono nel 1962 “Un uomo da bruciare”, e non l’ “Uomo che ride”, di Victor Hugo. Nel movimento comunista questo accade anche quando un compagno rivoluzionario è troppo conosciuto e stimato, viceversa non accade mai ai revisionisti camuffati, anche se sono “armati”]

Il Presidente Mao Tse-Tung continuò nel passo citato:

“Se i successi sono del 70 per cento, il lavoro di questa persona va approvato nelle sue linee essenziali. È del tutto falso asserire che prevalgono gli errori quando invece prevalgono i successi. Nell’esame di un problema, non dobbiamo mai dimenticare, quella  che separa la rivoluzione dalla controrivoluzione e quella che separa i successi dalle insufficienze. Teniamo presenti queste due linee di demarcazione, e tutto andrà bene; in caso contrario confonderemo la natura dei problemi. Naturalmente, per tracciare queste linee correttamente, è indispensabile compiere dapprima uno studio e un’analisi minuziosa.  Il nostro atteggiamento nei confronti di ogni persona e di ogni problema dev’essere costituito dall’analisi e dallo studio.”

(“Metodi di lavoro dei comitati di Partito”,

 in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,

 Ed.Rapporti Sociali, vol.11,pag.91-95)

 

Nel dicembre 1929, il Presidente Mao tse-Tung, affermava dei concetti che riprenderà meglio nella Critica del liberalismo del 1935. Questo testo nasce quando l’esercito regolare del regime indipendente della zona di confine Hunan-Kiangsi aveva assunto il nome di 4° corpo d’armata dell’Esercito rosso. Per l’organizzazione del Partito comunista in seno all’esercito e sul suo ruolo, si possono vedere anche nella relazione di Mao Tse-Tung al Comitato centrale del 1928, intitolata La lotta sui monti Chingkang, i capitoli Problemi militari e La questione dell’organizzazione del partito.

Il testo di questa relazione da cui è tratto il passaggio che segue, si intitola nella più precisa traduzione, Come correggere le idee errate nel Partito, ma nel libretto rosso del 1967 porta il titolo più trionfalista di Sradicare le concezioni errate nel Partito.

“Dal punto di vista dell’organizzazione, occorre applicare con rigore il principio della via democratica sotto una direzione centralizzata, e ciò secondo le seguenti indicazioni:

1)       Gli organi dirigenti del Partito devono definire una giusta linea direttiva, devono trovare la soluzione dei problemi che insorgono, ed erigersi così a centri di direzione.

2)       Gli organismi superiori devono conoscere bene la situazione negli organismi inferiori e devono conoscere bene la vita delle masse, allo scopo di avere una giusta base per una giusta direzione.

3)       Gli organismi del Partito ai diversi gradi non devono risolvere i problemi alla leggiera. Una volta presa la decisione, essa deve venire applicata con fermezza.

4)       Tutte le decisioni importanti degli organismi superiori del Partito devono essere portate rapidamente a conoscenza degli organismi inferiori e della massa dei membri del Partito …

5)       Gli organismi inferiori del Partito e la massa dei membri del Partito devono discutere dettagliatamente le direttive degli organismi superiori, devono afferrarne interamente il senso e determinare i metodi appropriati alla loro applicazione.”

(calci virtuali alle ginocchia)

(“Sradicare le concezioni errate nel Partito”,

in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,

Ed.Rapporti Sociali, vol.2., pagg.187-220)

 

Tutte queste indicazioni presuppongono una esistenza tutt’altro che astratta o divina degli organismi di Partito, ossia di quelle funzioni vitali permanenti che danno all’insieme del Partito ed alla sua linea politica i correttivi e gli indirizzamenti necessari a non uscire dal seminato e a svolgere al meglio i compiti. Questo presuppone il materialismo dialettico e l’analisi della realtà, la verifica pratica delle cose e la massima libertà possibile ai vari livelli di organizzazione rispetto ai lacci e lacciuoli sociali e propri del conflitto che si frappongono al raggiungimento dei nostri compiti.  Per questo motivo non si sta qui parlando, all’inizio della guerra popolare cinese, quando dopo i massacri di Canton e Shangai i comunisti decidono di intraprendere una diversa forma di guerra, a pochissimi anni dalla fondazione del Partito e mentre in altri luoghi del mondo i capitalisti subiscono i contraccolpi della propria crisi generali oppure danno mano libera ai propri sciacalli onde costruire regimi dittatoriali, degli organismi dirigenti di un gruppetto o di una piccola organizzazione e tantomeno di una setta religiosa, ma di un organismo complesso e vivo quale è un Esercito popolare.  All’interno del quale il Partito ha un suo ruolo non in  termini tanto formali, quanto in  termini sostanziali, e questo perché questo suo ruolo se lo costruisce e perfeziona di giorno in giorno. Viceversa si avrebbe solo un organismo di combattimento popolare, e non un Esercito Popolare (allora si chiamava Esercito Rosso, o Armata Rossa).  Questo perché un Esercito presuppone una guerra e non solo un conflitto, ed una linea, che nel caso di una guerra popolare non riflette i modi di pensare e di fare la guerra degli eserciti borghesi o semi-feudali, ma quelli dell’interesse generale rivoluzionario, del quale solo un Partito Comunista autenticamente tale può garantire il rispetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

11. La  linea di massa

 

 

Il Presidente Mao Tse-Tung, nel Rapporto politico presentato al VII Congresso del Partito Comunista Cinese, , ci espresse un concetto che sintetizzò in una breve frase:

“Il popolo, il popolo soltanto, è la forza motrice, il creatore della storia del mondo.”

(Sul governo di coalizione, 24 aprile 1945,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali,

cit., vol.11, pag.117-174)

 

Ancora in precedenza, il Presidente Mao Tse-Tung ci scriveva:

“Bisogna comprendere che i veri protagonisti sono le masse, e noi siamo spesso ridicolmente infantili. Se non si comprendono queste cose, non si può acquistare nemmeno un minimo di conoscenza.”

(Prefazione  e poscritto ai Materiali per lo studio delle campagne,

marzo-aprile 1941, Opere di Mao Tse-Tung,

Ed.Rapporti sociali,cit., vol.8, pag.103-108)

 

Queste due brevi citazioni, rimandano a due cose fondamentali. Prima cosa, che noi comunisti o concepiamo ed esprimiamo le necessità fondamentali delle masse e delle loro aspirazioni alla trasformazione sociale nel programma, nella pratica, nella teoria, nella strategia e nella tattica, nel proporre loro gli avanzamenti necessari e la comprensione del socialismo e del comunismo, oppure non possiamo assolvere ai compiti che le avanguardie del proletariato, costituite in Partito comunista, si trovano dinnanzi in ogni momento storico.

Seconda cosa, che in definitiva sono le masse a costituire la principale base politica e sociale del processo rivoluzionario, intendendo per masse il proletariato, le classi subalterne, la classe contadina innanzitutto e specie ove maggioritaria, e le componenti delle masse che vivono del lavoro e dei suoi frutti e conquiste. E che quindi un programma politico rivoluzionario per essere tale ha a passare quantomeno delle verifiche tra le masse atte a raffinarlo e precisarlo.

In pratica, che senza una partecipazione del proletariato, nessun processo rivoluzionario e di trasformazione, può essere dato. Per molto tempo nel movimento rivoluzionario in Italia si è trascurato questo insegnamento, ritenendo in qualche modo che la forza della repressione e del potere capitalista fosse tale da rendere impossibile l’esplicarsi delle lotte antagoniste al sistema economico e sociale vigente, e della crescita delle masse. In realtà, dovrebbe essere vero proprio il contrario, proprio nelle maggiori difficoltà le masse acquisiscono maggiore coscienza e possono meglio contribuire al processo di trasformazione.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto nel 1955:

“Le masse popolari sono dotate di un potere creativo illimitato. Esse sono capaci di organizzarsi e di rivolgere i loro sforzi in tutti i settori e in tutti i rami in cui esse sono in grado di investire la loro energia; esse possono impegnarsi nei compiti produttivi, in larghezza come in profondità, e così creare un numero crescente di opere utili al loro benessere.”

(Mao Tse-Tung, Nota all’articolo Una soluzione del problema della manodopera eccedente, 1955, nella raccolta Il grande balzo in avanti del socialismo nelle campagne cinesi)

 

La creatività sorge dalla necessità. Per questo si dice che l’arte senza necessità non è. La creatività che si esprime nella cura e nelle modifiche ed aggiustamenti delle abitazioni, nella preparazione di utensili per le più varie e diverse attività, nella manutenzione delle cose care e necessarie, nella cura della bellezza, dei costumi e vestiti tradizionali, nella preparazione dei cibi, nella creazione di doni, nella poesia, nello studio, nella ricerca e nell’inventività, è propria delle grandi masse in generale senza eccezione. È nella società borghese, per non dire nelle precedenti forme sociali oppressive, che si tende a limitare la conoscenza e la stima della creatività delle masse a pochi eletti, o ad incalanarla in piccoli rivoli che sfuggono alla conoscenza dei più. Lo scambio delle esperienze e l’arricchimento reciproco e libero della creatività è tra i mezzi principali di amicizia dei lavoratori, degli artigiani e degli artisti, degli studenti, delle donne, di tutto il popolo. Nascono così le abitudini locali, quelle regionali, le usanze più in generale diffuse grazie a comuni possibilità e condizioni. Di ciò si gloriano i potenti, che cercano di impossessarsi della creatività e dell’intuizione delle masse, delle loro idee, a scopo di profitto, spesso derubando, saccheggiando, uccidendo, violentando e torturando le masse. Questo indipendentemente dalle forme più o meno evidenti di ciò.

Niente, ci dice il Presidente Mao Tse-Tung, può essere creato senza le masse, le masse sono la madre di ogni cosa, e la loro creatività ha permesso in moltissimi momenti storici agli eserciti partigiani e popolari di risolvere problemi e di costruire successi. In generale la creatività è alla base dello stesso agire politico, in quanto alle masse non interessano le solite fritture, hanno bisogno di conoscere il nuovo, di impossessarsi di ogni cosa utile alla propria vita ed emancipazione.

Per questo nella società della barbarie imperialista, il capitale produce sempre più “soluzioni” apparenti ai vari problemi, sia per ottenerne ulteriori profitti, sia per espropriare le masse di manualità, intuizione, capacità, creatività, tutte cose che permettono loro di risolvere problemi altrimenti non alla propria portata economicamente parlando.

Nella società della barbarie imperialista, il capitale cerca anche di standardizzare ogni cosa, e rende di fatto difficile non solo la vita materiale  e psicologica alle masse, ma anche il senso di comunità, di appartenenza. Importanti architetti ed ingegnieri producono città su città di cemento, quartieri senza volto, grigi, uguali, anonimi, e ciò non si capisce se possa essere frutto di persone che alla creatività dovrebbero esser debitori, o di semplici esecutori di ordini edili ad alto tasso di rendimento. Invece i quartierini e le piccole località dell’alta borghesia e delle classi residuali del passato, sono sempre altamente curate e ricercate, piccole reggie. Questo ha spinto parte delle masse dei paesi della barbarie imperialista ad imitare per così dire il modello isolazionista abitativo, ed in questo modo a difendere la propria creatività come qualcosa che la società pare voler distruggere.

Ritrovando la via della rivoluzione socialista invece le masse possono e devono riprendersi tutto, e quindi anche la creatività, invertendo la tendenza ed imponendo in ogni caso la recessione delle privatizzazioni e delle proprietà pubbliche rese miste da interessi di bottega e di potere.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci scrisse nel marzo 1927 in un testo che a suo modo costituisce un modello ed uno stile di come deve essere fatta l’analisi di classe di una data situazione:

“L’attuale balzo in avanti del movimento contadino acquista una grandissima importanza. Fra non molto, in tutte le province della Cina centrale, meridionale  e settentrionale centinaia di milioni di contadini si solleveranno; essi saranno impetuosi e irresistibili come un uragano, e nessuna forza potrà trattenerli, spezzeranno le catene che li stringono e si lanceranno verso la liberazione; scaveranno la fossa a tutti gli imperialisti, i signori della guerra, i funzionari dilapidatori e concussionari, i despoti locali e la piccola nobiltà; metteranno alla prova tutti i partiti e i gruppi rivoluzionari, tutti i rivoluzionari, per accettarne alcuni e respingere gli altri.

Mettersi alla loro testa e dirigerli ?   Rimanere in coda a braccia conserte e criticarli ?  O sbarrare loro la strada e lottare contro di essi ?

Ogni cinese è libero di scegliere una di queste tre vie, e il corso degli eventi costringerà ognuno di noi ad affrettare la sua scelta.”

(A proposito di un’inchiesta sul movimento contadino dello

Hunan, Opere di Mao Tse-Tung,

Ed.Rapporti sociali,cit., vol.2, pag.91-122)

 

Non è per volontà divina o per capacità medianica che il Presidente Mao Tse-Tung, all’epoca in cui era un semplice membro fondatore del Partito Comunista Cinese, [riscrittura: la prima versione è stata danneggiata e perduta nella scrittura 19-10-2005] sapeva prevedere la futura guerra popolare di movimento e di rivoluzione di nuova democrazia e agraria, nonostante la sconfitta dei movimenti insurrezionali delle città costiere, così caldeggiate da Trotsky. Questa capacità nasceva invece dal saper stare tra le masse, dove tutto ha origine. Nasceva da una comprensione integrale del materialismo storico e dialettico di cui la concezione del salto, del passaggio violento del divenire storico da parte delle masse e dei loro movimenti, è espressione in uno o più paesi (come fu in Europa nel 1848, per esempio, o con il movimento di resistenza antifascista 1936-1945, dall’Ebro agli Urali, sino alla Cina per le caratteristiche proprie della politica giapponese). Le masse sono contro le dittature borghesi e padronali, sono contro il fascismo, l’oppressione ed il feudalesimo. L’imperialismo non ha modificato queste forme le ha solo in parte eliminate in parte aggiornate e rinverdite, ma la puzza che promanano è la stessa. Quindi stando tra le masse e con il Partito Comunista di cui all’epoca di questo scritto Mao Tse-Tung era solo uno dei membri fondatori, [riscrittura: la seconda versione è stata danneggiata e perduta nella scrittura 19-10-2005, a causa degli esperimenti sulla memoria che i miei torturatori attuano in connubio con infami tecnici informatici] è possibile cogliere e dirigere il movimento storico.

 

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse nel corso di una riunione dei segretari delle varie strutture del Partito Comunista Cinese convocata dal Comitato Centrale, il 31 luglio 1955:

“Nell’ora attuale, il balzo in avanti nella trasformazione sociale nelle campagne –il movimento di cooperazione– si manifesta in certe regioni, e presto si estenderà a tutto il paese. Si tratta di un movimento rivoluzionario socialista di grande ampiezza, che coinvolge una popolazione rurale di più du 500 milioni di uomini; la sua portata internazionale è notevole. Noi dobbiamo dirigere questo movimento in modo attivo, entusiastico e conformemente a un piano, e non cercare di farlo regredire in tutti i modi. In un simile movimento, certe deviazioni sono inevitabili, e si capisce; del resto non è difficile rettificarle. I quadri e i contadini riusciranno a rimediare alle loro insufficienze o a correggere i loro errori, a patto che noi li aiutiamo attivamente.”

(Sul problema della cooperazione agricola, Opere di

Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali,cit., vol.12, pag.195-216)

 

 

I revisionisti e gli anticomunisti definiscono ironicamente serafiche questo genere di affermazioni del Presidente Mao Tse-Tung poiché, come le serpi nelle fosse, sono sempre pronti ad azzannare il primo ingenuo che vi si avventuri senza scarponi. Ma il Presidente Mao Tse-Tung era tutt’altro che serafico ed ingenuo. Era un grande dirigente comunista, il massimo rivoluzionario del XX secolo, e sapeva, ben conoscendo quanti fossero tendenzialmente opportunisti e destrosi nel Partito tra i dirigenti, che solo istigando, anche dolcemente, le masse, a prendere parte attivamente ad ogni processo politico, il Partito sarebbe rimasto fresco e adeguato ai compiti di direzione del paese. Il grande balzo in avanti in campo agricolo, si disse poi, non fu sempre un successo: gli occidentali borghesi ancor oggi raccontano dei poveri passerotti, ma una cosa al di là dei dati di fatto storici ed inconfutabili sul progresso economico cinese BEN PRIMA della restaurazione del capitalismo, iniziando ad uscire solo a partire dal 1949 in tutto il paese dal semi-feudalesimo, è sicura, ed è che sono state le masse popolari cinesi a smuovere il mondo e la coscienza dei proletari di tutto il mondo, fornendo loro metodi e coscienza delle possibilità di trasformazione rivoluzionaria, mentre sono stati sia in Europa ed America, sia in Cina, i destrosi ed i revisionisti, ad affossare –certo non permanentemente, e lo vediamo anche in Cina con la mobilitazione delle masse contadine, operaie e studentesche ancor oggi: 74 mila sommosse nel solo 2004–, con la propria natura sbirresca ed autoritaria, falsamente popolare e da falsi comunisti, il movimento rivoluzionario. Ma non certo, in questo e con ciò, la tendenza storica alla rivoluzione proletaria mondiale.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci scrisse nel 1955:

“Le masse nutrono un entusiasmo enorme per il socialismo. Coloro che, in un periodo rivoluzionario, non sanno far altro che adottare la via della routine sono assolutamente incapaci di percepire questo entusiasmo. Essi sono ciechi; vedono tutto nero.  Talvolta, arrivano al punto di capovolgere i fatti, di far passare il nero per il bianco. Non ne abbiamo forse visti abbastanza di personaggi di questo genere ?   Coloro che sanno soltanto seguire le strade già battute sottovalutano sempre l’entusiasmo del popolo. Quando compare una cosa nuova, non l’approvano mai, automaticamente vi si oppongono. Più tardi, riconoscono il loro torto e pronunciano qualche autocritica. Ma in seguito, in presenza di un’altra cosa nuova, si comportano nello stesso modo e riadottano quei due atteggiamenti. È questo il modo in cui essi reagiscono di fronte a qualunque cosa che sia nuova. Queste persone sono sempre in uno stato di passività. Nei momenti decisivi non avanzano mai. Per fare un passo avanti, hanno sempre bisogno di un gran colpo nella schiena.”

(Nota all’articolo “Questo cantone ha realizzato la cooperazione agricola in due anni” –1955- edito in Cina in una pubblicazione di raccolte dal titolo “Il grande balzo in avanti del socialismo nelle campagne cinesi”)

 

Coloro che sanno seguire soltanto strade già battute sottovalutano sempre l’entusiasmo del popolo. Grandi parole. Una volta imparata una lezioncina, la applicano immancabilmente per tutta la vita senza modifiche. Sono come i pittori manieristi, o come quelli che studiano un quadro e lo ridipingono per tutta la vita senza mai cambiarlo. O come quelli che prendono la moglie sempre nello stesso modo, e si comportano con lei e coi figli come il prelato a messa, con la stessa ipocrisia. Purtroppo però la degenerazione della borghesia nei paesi imperialisti e in particolare nel paese imperialista e semifeudale insieme chiamato “Italia” [frutto di una forzosa unità nazionale conquistata solo in parte con moti di popolo ma sostanzialmente avvenuta per decisione di una classe capitalista in formazione legata alla più datata monarchia sabauda, forzosa unità costruita col sangue e le teste mozzate dei capipopolo del meridione, col placet dei latifondisti vaticani che mantennero le proprie proprietà e col consenso dei capi massoni e mafiosi, élitari e separati dalle masse popolari che li servivano subordinati, e tutto ciò fin troppo dimostrato dai primi nuovi moti, successivi all’unità, che i fasci siciliani mossero contro un potere oscuro, spietato, fasullo quanto assassino], è andata tanto avanti che è più frequente assistere a congreghe inverosimili di macchingegnose cointeressenze più che a improbabili autocritiche, anche nello stesso proletariato massacrato di questo ignobile paese. Tanto che è e proprio per questo dato storico, necessario parlare di Rivoluzione Socialista di Nuova Democrazia, ché passare al comunismo con gente simile sarebbe come tagliarsi le palle con un rasoio di barbiere pieno di ruggine.

Il colpo alla schiena solutivo quindi non è così semplice.

Tuttavia, e qui è la grandezza di Mao Tse-Tung: preso uno per uno, l’operaio, il lavoratore, il contadino, l’impiegato, e così al femminile, ognuno è predisposto nella sua bontà d’animo e predisposizione alla libertà degli esseri tutti, a collaborare alla rivoluzione, nella misura della propria coscienza critica e chiarezza, speranza e soprattutto esperienza. E siccome, e qui è la grandezza di Mao Tse-Tung, l’esperienza è grande madre di disillusione verso i revisionisti e quelli come loro, ed altrettanta severità, azzerando il fatalistico pensiero di sconfitta, l’opera non dovrebbe essere così ardua. Basterebbe che gli stronzi se ne andassero e le/i compagni avessero un’animo diverso, una predisposizione armonica e freddamente decisa, ma calorosamente solidale, in ogni cosa, in ogni fermata dei pullmann, in ogni viaggio di treno, in ogni telefonata, in ogni passeggiata. Chè la libertà ha un prezzo, ma non è così duro da pagare, se s’è circondati di simili pensieri.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse, il 2 aprile 1948, in alcune conversazioni:

“Da più di vent’anni, il nostro Partito persegue, giorno per giorno, un lavoro di massa e, da una dozzina di anni, parla ogni giorno della linea di massa. Noi abbiamo sempre sostenuto che la rivoluzione deve appoggiarsi alle masse popolari e contare sulla partecipazione di ciascuno, e ci siamo sempre opposti a che ci si rifaccia esclusivamente a poche persone che impartiscono ordini. Tuttavia, certi compagni non applicano ancora nel loro lavoro la linea di massa; essi contano sempre soltanto su un piccolo numero di persone e lavorano in un gelido isolamento.  Una delle ragioni di questo stato di cose è che, qualunque cosa facciano, non desiderano spiegarla chiaramente a coloro che sono chiamati a dirigere, e che non sanno come sviluppare l’iniziativa e la forza creativa di questi ultimi.  Soggettivamente, desiderano che ciascuno prenda parte al lavoro, ma si guardano bene dal far conoscere agli altri ciò che c’è da fare e come va fatto.  In questo modo, come volete che ciascuno affronti il proprio lavoro e che il lavoro sia fatto bene ?  Per risolvere questo problema, il mezzo essenziale è evidentemente quello di impartire un’educazione ideologica sulla linea di massa, ma nello stesso tempo occorre insegnare a questi compagni numerosi metodi concreti di lavoro.

(Conservazione per i rapporti del Quotidiano dello Shansi-suiyuan”,  2 aprile 1948, in Opere di Mao Tse-Tung,

 Ed.Rapporti sociali,cit., vol.10, pag.179-184)

Storicizzando alla nostra società di oggi, al sistema lavorativo esistente, rispetto al mondo prevalentemente contadino cinese in rivolta del 1948, possiamo analogare il testo suddetto con un concetto come: idem con patate. Infatti, a leggere le cose con la testa della borghesia, ci si sente di dover giustificare il ristretto numero di persone con la situazione imperialista ecc. ecc. (capitale-Moloch ecc.), mentre a leggere con la testa proletaria, si comprende che la linea di massa è anche solo nello stile, nel modo, di porsi alle masse, al di là delle difficoltà, e non quindi nel giustificare limiti ed atteggiamenti scorretti.

Peraltro linea di massa significa anche identità, ed identità significa indirizzo politico, ai proletari, se non altro almeno di una guida, di una direzione delle cose, che cresce nelle cose stesse, per cambiare, e non certo di identità speculare al Vaticano, di campanile o tessera. Interessante don Camillo e Peppone, perché in fin dei conti il regista di queste innumerevoli parodie di un certo ceto politico, se pure ingannavano le masse nell’accordo finale sottotraccia, ironizzavano al contempo sulla pomposa burocratica imitazione togliattiana del cerimoniale religioso. Tutt’altra cosa dell’onore rivoluzionario dei popoli in lotta, e della sanguinolenta ansia del partigiano tornato al campo base di corsa, ad avvertire del pericolo.

Il Presidente Mao Tse-Tung, nel Rapporto politico presentato al VII Congresso del Partito Comunista Cinese, ci disse:

“I ventiquattro anni di esistenza del nostro Partito hanno mostrato che la formulazione dei compiti, le direttive politiche e lo stile di lavoro sono giusti solo quando corrispondono alle esigenze del popolo, in quel determinato momento ed in quelle condizioni, e si fondano sul collegamento con le masse; mentre,  se la formulazione dei compiti, le direttive politiche e lo stile di lavoro sono contrari alle esigenze del popolo in quel determinato momento e in quelle condizioni, essi sono errati.  Fenomeni pericolosi come il dogmatismo, l’empirismo, l’autoritarismo, il codismo, il settarismo, il burocratismo, la boria sono sempre dannosi nel lavoro e sono inammissibili precisamente perché questi fenomeni dimostrano che ci si allontana dalle masse; e proprio per questa ragione coloro che ne sono preda devono liberarsene.”

 

“Il nostro congresso deve fare appello a tutto il Partito perché badi attentamente, instancabilmente, a che nessun compagno, qualunque sia il lavoro che egli compie, si allontani dalle masse. Occorre insegnare a tutti i compagni ad amare profondamente le masse popolari, ad ascoltare con attenzione la loro voce; occorre insegnare ad ogni compagno, ovunque egli si trovi, a legarsi alle masse, a non mettersi al di sopra delle masse, ma ad andare tra le masse stesse; occorre insegnargli, tenuto conto del grado di coscienza raggiunto dalle masse, a sviluppare ed elevare questo livello, ad aiutare le masse ad organizzarsi a poco a poco sulla base del libero consenso ed a realizzare a poco a poco quelle forme di lotta necessarie, che sono consentite dalle condizioni esterne ed interne del momento.”

(Sul governo di coalizione, 24 aprile 1945,

Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali,

cit., vol.11, pag.117-174)

 

 

Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse in una conferenza dei lavoratori della cultura e dell’istruzione della regione di confine Shensi-Kansu-Ningsia, il 30 ottobre 1944:

“Per stabilire uno stretto contatto con le masse occorre conoscere le loro esigenze ed i loro desideri. In ogni lavoro con le masse occorre partire dalla conoscenza delle loro esigenze e non da moventi puramente personali, anche se lodevoli.  Spesso avviene che nelle masse l’esigenza di determinate trasformazioni esista già oggettivamente, ma la consapevolezza soggettiva di questa necessità non è ancora maturata in loro; esse non sono ancora decise, né provano alcun desiderio di mettere in atto queste trasformazioni: allora noi dobbiamo attendere pazientemente; e solo quando, come risultato del nostro lavoro, le masse nella loro maggioranza avranno piena coscienza della necessità di realizzare decisamente e volontariamente determinate trasformazioni, solo allora, bisognerà attuarle, altrimenti si corre il rischio di allontanarsi dalle masse.  Ogni genere di lavoro in cui la partecipazione delle masse è necessaria si trasformerà in una vuota formalità, e fallirà totalmente, se le masse non saranno consapevoli della necessità di questo lavoro e non avranno manifestato il desiderio di parteciparvi volontariamente. . . . In questo caso agiscono due principi: il principio delle esigenze reali delle masse, e non  di quelle immaginarie, esistenti soltanto nelle nostre menti, ed il principio della volontà delle masse, della decisione manifestata dalle masse stesse, e non di quella che noi manifestiamo per loro.”

“Il fronte unico nel lavoro culturale” (30 settembre 1944),

Opere scelte di Mao Tse-Tung, vol.III, titolato “Il fronte unito nel lavoro culturale” nel vol.8 delle Opere di Mao Tse-Tung, cit., Edizioni Rapporti sociali)

 

Queste tre ultime citazioni ci portano a capire la necessità di attenerci strettamente ad alcuni principi metodologici di fondo: 

a)       Noi comunisti interveniamo tra le masse non come corpo estraneo né come evangelizzatori, ma intelligentemente come parte cosciente di esse.

b)       Noi comunisti cerchiamo di suggerire ciò che occorre comprendere come necessario, ma ci atteniamo alla valorizzazione di ciò che le masse sentono e percepiscono come necessario, alla fine dei conti.

c)       In questo noi comunisti agiamo sia come volano sia come approfonditori della risoluzione tramite la lotta e non tramite la mediazione.

d)       In assoluto noi non ci dimostriamo incapaci di discutere, anzi, ma nella pratica dimostriamo che ignoriamo le false discussioni.

e)       Noi comunisti non veneriamo i nostri dirigenti, li riconosciamo all’interno di un pensiero guida e di un metodo politico e di una ideologia m-l-m nella misura in cui mantengono il loro ruolo, operiamo nel rispetto e nella chiarezza verso le masse, affinché siano esse alla fine a pesare nelle cose.

f)        Noi comunisti non cerchiamo di esasperare le contraddizioni in seno al popolo, ma al contrario, di ricondurle all’unità degli intenti del rispetto, della pace, della democrazia e del benessere. Non costruiamo la guerra in seno al popolo, ma tra il popolo ed i nemici della pace, della democrazia, della libertà più autentiche e non semplicemente formali.

g)       Noi comunisti sappiamo attingere al cuore ed alla sensibilità delle masse perché ne siamo parte ed avanguardia: diversamente non siamo ancora, o non siamo più, comunisti.

h)       Noi comunisti non ci isoliamo in piccole unità ma cerchiamo di costruire dall’unità di poche avanguardie con il metodo della chiarezza l’unità, nella linea rivoluzionaria, delle grandi masse sfruttate contro sfruttatori e parassiti.

Attraverso il rispetto di questi principi è possibile passare dall’agitazione e dal sostegno, dalla solidarietà e dalla semplice declamazione, all’attacco ed all’unità delle masse per determinati obiettivi specifici e più in generale per conquistare passaggi politici, ossia il rispetto NELLA PRATICA dei principi che le masse esigono nei loro cuori ed esperienza, al di là e contro gli steccati e le falsità di cui sono intrise le istituzioni borghesi e falsamente rappresentative.

Ma non basta: quando Mao ci parla della “coscienza delle masse”, non esclude differenze e contraddittorietà in questa “coscienza” al loro interno (delle masse).  Questa “coscienza” è un grado di consapevolezza che si esprime diversamente tra le situazioni su scala geografica (località), di lavoro (professioni ed attitudini, esperienze più o meno collettive, più o meno interdipendenti, livelli di gratificazione e di alienazione individualizzati dal processo produttivo di plusvalore, o dalla via di fuga scelta dal singolo lavoratore di fronte alla crisi), sicché quando si parla di “coscienza” delle masse non si intende uniformemente un punto di vista su una singola questione, ma quella “idea generale” della situazione che Lenin pone, nell’essere divenuta coscienza di una intollerabile condizione, tra le tre condizioni della rivoluzione proletaria.

 

Il Presidente Mao Tse-Tung, nella Conversazione per i redattori del Quotidiano dello Shansi-suiyuan, ci disse:

“Se noi cercassimo di passare all’offensiva nel momento in cui le masse non hanno ancora preso coscienza, cadremmo nell’avventurismo. Se noi volessimo a tutti i costi indurre le masse a fare qualche cosa contro la propria volontà, sbaglieremmo infallibilmente. Se non avanzassimo, mentre le masse chiedono di avanzare, cadremmo nell’opportunismo di destra”.

(Discorso ai redattori del Quotidiano dello Shansi-suiyuan,

in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali,

cit., vol.10, pagg.180)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kuomingtang = Partito nazionalista di Chiang Kai-Chek

Yankee = definizione adeguata degli imperialisti USA

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