3 ottobre 2005

 

 

Agenzia Ricerca Economico Sociale(A.R.E.S.)

 

 

LE CIFRE DELLA TORTURA IN ITALIA

dal mobbing agli ultrasuoni

 

(sintesi)

 

 

1. Mobbing, una tortura soft     2. Il carcere della vergogna(gli “eventi critici”)      3. Clandestini : la “tortura indiretta”4. I lager dell’assistenza        5. La tortura politica          Il mistero delle vittime di “tortura elettronica”

 

 

 

 

Il fenomeno della tortura in Italia è più vasto e più subdolo di quanto possa apparire. Specie per le forme più sofisticate e moderne, si naviga per lo più nel sommerso, nell’impalpabile. Negli ultimi tempi il fenomeno è stato oggetto di ricerche qualitative e quantitative che hanno cercato di indagare sulla sua estensione e sugli effetti sul fisico e sulla psiche delle persone sottoposte a violenze e persecuzioni fisiche e morali.

Ciò è avvenuto sopratutto per il “mobbing “,questa forma di tortura che avviene quotidianamente  nei luoghi di lavoro. Ma anche le varie forme di maltrattamenti e di violenze all’interno delle carceri sono già state  studiate e analizzate.

Per il resto dei casi, tutto rimane avvolto nel silenzio , nell’indeterminatezza, nella nebbia, tranne

l’emergere di alcuni fatti denunciati od oggetto di inchieste della magistratura e da considerare come punte di un iceberg che rimane in gran parte sommerso, ma che è comunque classificabile.

Si pensi alla tortura politica, o tortura di Stato, i cui autori e responsabili rimangono quasi sempre impuniti, o addirittura vengono “promossi” ( come accaduto per i fatti di Genova).

Si pensi ai maltrattamenti ed alle violenze subiti da anziani ed invalidi nei cosiddetti lager dell’assistenza(ospizi, cronicari). Od ai trattamenti disumani riservati agli immigrati “clandestini”, reclusi nei centri di permanenza temporanea, ed alla tortura “indiretta” esercitata nei confronti di immigrati espulsi  verso paesi nei quali saranno perseguitati e oggetto di violenze fisiche e morali.

L’Italia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura nel 1988. Tra gli obblighi da adempiere in seguito alla ratifica vi era fin da subito l’introduzione di uno specifico reato di tortura nel codice penale italiano. Ma nessuna delle legislature che si sono succedute ha mai colmato questa grave lacuna.

 Nel corso della XIV Legislatura, anche in seguito alle richieste di Amnesty  International, dell’Associazione Antigone e di Medici contro la tortura, sono state presentate alla Camera ed al Senato otto proposte di legge sottoscritte da tutti i gruppi parlamentari per porre rimedio a questa “inqualificabile inadempienza”(come la chiamò Silvio Berlusconi in un suo discorso alla Camera). Si sono perdute nei meandri delle Commissioni.  Nell’aprile  2004, l’Aula della Camera ha approvato un emendamento che introduce nella definizione di tortura l’elemento della reiterazione: se questa modifica venisse mantenuta, in Italia si avrebbe tortura solo in casi di minacce e violenze ripetute, mentre la Convenzione dell’ONU parla “ di qualsiasi atto mediante il quale è intenzionalmente inflitto a una persona dolore e sofferenza gravi, fisici o mentali…”

Né è stata ancora ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, attraverso il quale si introduce un sistema di visite regolari portate avanti da organismi indipendenti nazionali e internazionali in luoghi in cui le persone sono private della libertà personale, al fine di prevenire la tortura.

Dal 2001 al 2003 sono peraltro stati presentati ben nove disegni di legge sul mobbing senza che alcuno di essi andasse in porto, il che testimonia di una volontà politica tesa a lasciare le cose come stanno.

Come mostrano i Rapporti annuali di Amnesty International, ogni anno l’organizzazione riceve denunce di maltrattamenti che in alcuni casi si configurano come vere e proprie torture. Negli anni 2000-2004 la maggior parte di questi casi ha riguardato percosse e pestaggi nel corso di manifestazioni, all’interno di stazioni di polizia, caserme dei carabinieri , centri per stranieri e carceri. A quest’ultimo riguardo occorre ricordare tra i casi più eclatanti, il pestaggio avvenuto nell’aprile 2000 nel carcere “San Sebastiano” di Sassari, nonché i noti “massacri” da parte delle forze dell’ordine avvenuti nel luglio 2000 in occasione del G8 di Genova.

Sul rapporto dell’Associazione Antigone (2002), gli estensori avvertono che, specie dopo l’11 settembre 2001, per chi abbia a cuore i diritti umani il clima non è dei migliori. La logica del fine che giustifica i mezzi, tuttavia, non si è esasperata solo negli Usa, colpiti dalla  strage delle Twin Towers e non vige solo a Guantanamano. Anche in vari paesi europei si sono verificati episodi di compressione dei diritti civili, irrigidimenti legislativi e normativi, peggioramento delle condizioni carcerarie e violazioni del diritto di difesa, in particolare per quanto riguarda le persone immigrate. Negli USA, a ridosso dell’attentato, sui giornali si è apertamente discusso della legittimità della tortura: E non solo in ambiti conservatori. Un settimanale liberal come “Newsweek”, ad esempio, è giunto a pubblicare un articolo del commentatore progressista Lonathan Alter dal titolo “E’ l’ora di pensare alla tortura”. Ed è stato subito accontentato (vedi in Iraq gli episodi, quelli denunciati , avvenuti nel carcere di Abu Ghraib in Iraq.)

In Italia, dove non esiste ancora uno specifico reato di tortura, l’associazione Antigone enumera numerosi casi di morti sospette o evitabili e di pestaggi accaduti negli anni duemila in 29 carceri e in 7 tra commissariati e caserme di carabinieri. Analoghi rilievi compaiono nelle relazioni stilate e consegnate al governo italiano dal “Consiglio Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti degradanti” (in sigla CPT) del Consiglio d’Europa, dopo le periodiche ispezioni effettuate negli istituti penitenziari e nelle celle di sicurezza italiane.

 In effetti, dopo l’inizio della guerra in Iraq e dopo Guantanamamo , si sono intensificati anche in Italia comportamenti per annullare la personalità di indagati o di semplici cittadini che praticano forme di opposizione o siano considerati indesiderabili per il loro comportamento anticonformista,anche se lecito,nei confronti dell’autorità.

Altro effetto del clima di guerra è stato quello dell’esportazione in Italia  di forme di torture sofisticate e praticate con mezzi tecnologici.Vi è una specie di globalizzazione della tortura. Accanto alla  tortura cosiddetta arcaica (percosse violente e reiterate, ustioni, immersioni in liquami fetidi ) vi è anche una tortura” intelligente” e bene informata, che tiene il passo con i tempi e che si avvale della moderna medicina e psicologia per annientare, con metodologie più raffinate l’identità della vittima con esperienze indotte di tipo allucinatorio, lo smarrimento spazio-temporale.

In questo viaggio nel mondo della tortura, ci siamo avvalsi  di studi già fatti da associazioni,da università  o da semplici studiosi, nonché di sentenze della magistratura. Ma abbiamo anche cercato di svelare e quantificare aspetti particolari del fenomeno non ancora sufficientemente evidenziati, avvalendoci delle testimonianze di alcune vittime.

(La presente è una sintesi di una ricerca molto più ampia che sarà  pubblicata nei prossimi mesi-)

 

1-Mobbing, una tortura soft

 

Da alcuni anni gli psicologi, gli psichiatri, i medici del lavoro, i sociologi e più in generale coloro che si occupano di studiare il sistema gerarchico esistente in fabbrica o negli uffici ed i suoi riflessi sulla vita del lavoratore, ne hanno individuato alcune gravi e reiterate distorsioni, capaci di incidere pesantemente sulla salute individuale. Si tratta di un fenomeno ormai internazionalmente noto come mobbing, che è da considerare una tortura soft, anche se devastante per la sua estensione nella vita di ogni giorno.

Il termine, proveniente dalla lingua inglese e dal verbo to mob (attaccare, assalire) e mediato dall’etologia, si riferisce al comportamento di alcune specie di animali, solite circondare minacciosamente un membro del gruppo per allontanarlo:

Spesso nelle aziende accade qualcosa di simile, allorché il dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori e, in particolare, vengono poste in essere nei suoi confronti pratiche dirette ad isolarlo dall’ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, ad espellerlo; pratiche il cui effetto è quello di intaccare gravemente l’equilibrio psichico del prestatore, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocandone catastrofe emotiva e talora persino il suicidio.

IL fenomeno ha ormai assunto, a seguito delle denuncie di numerosi esperti di settore (medici, sociologi ecc.) e delle stesse vittime, proporzioni senza dubbio rilevanti, così da coinvolgere, secondo la stima di un autorevole settimanale francese, in ogni paese europeo, percentuali non indifferenti di lavoratori. In base a tale stima, oltre il 4% dell’intera forza lavoro occupata in Italia è attualmente oggetto di pratiche di mobbing.

Inoltre, secondo il Centro di disadattamento della prestigiosa Clinica del lavoro “Luigi Devoto” di Milano, che ha dedicato all’argomento un seminario nazionale, ogni dipendente ha il 25% di possibilità di trovarsi, nel corso della propria esperienza professionale, in tali condizioni, mentre il 10% dei casi di suicidio presenta come concausa una situazione di terrorismo psicologico sul posto di lavoro.

Nel nostro paese, in considerazione del vuoto legislativo esistente in materia e della crescente domanda di tutela proveniente dai lavoratori, la questione mobbing è stata affrontata soprattutto a livello giurisprudenziale e dottrinale con gli strumenti legislativi vigenti.

Gli studi più recenti, condotti dal dottor Haral Ege, che per primo ha introdotto in Italia la conoscenza di questo fenomeno, definiscono il mobbing come “ una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità.

Il mobbizzato si trova nella impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicologici, relazionali e dell’umore che possono portare anche ad invalidità psicofisiche permanenti di vario genere.”

In vero il fenomeno è crescente e le ultime stime attendibili parlano di circa 1,5 milioni di lavoratori vittime del mobbing. I risultati delle ultime ricerche sono allarmanti. Attraverso una indagine compiuta dalla più rappresentativa associazione italiana contro il mobbing, nominata “Prima contro il mobbing e lo stress psicosociale” che conta circa tremila associati in ambito nazionale , è emerso che il 38% delle vittime provengono dal settore dell’industria e il 21% dalla pubblica amministrazione. In particolare, circa il 40% dei soggetti ha dichiarato di subire attacchi da almeno un anno e di questi il 18,5 per cento di subirli quotidianamente. Le persone più colpite dal fenomeno hanno generalmente superato i 45 anni e svolgono “lavori semplici”.

L’indagine ha anche rilevato che nelle azioni di mobbing, esercitate nel 57,3 per cento dei casi dai superiori, vengono messe in atto cinque diverse strategie: negare alla vittima la possibilità di esprimere il proprio punto di vista; isolarla; calunniarla; sminuirle la personalità con mansioni umilianti; minarne la salute psico-fisica.

 (cfr.lla relazione introduttiva al disegno di legge n. 2420 comunicato alla presidenza il 17 luglio 2003 di iniziativa del senatore Bergamo.)

Secondo la dottrina prevalente (H.Ege ed altri) vi sono diversi tipi di mobbing, così classificati:

1)    Mobbing verticale;. Esercitato da un capo o da un superiore verso i sottoposti. Comprende atteggiamenti ed azioni riconducibili alla tecnica dell’abuso di potere. Fra i motivi per i quali un capo decide di mobbizzare un suo sottoposto vi possono essere motivi politici, invidia, antipatie personali, minaccia all’immagine sociale dello stesso superiore se il sottoposto lavora di più o meglio di lui.

2)    Bossing. Si configura come una strategia aziendale il cui obiettivo è di “svecchiare i reparti, ossia eliminare dei lavoratori senza provocare “casi sindacali o legali”. Per attuare questo processo è necessario, con metodi terroristici, impedire ai dipendenti lo svolgimento delle normali  mansioni lavorative per poi dimostrare lo scarso rendimento e giustificare il licenziamento o indurre le dimissioni.

Il bossing può attuarsi in modi diversi, ma tutti tendono alla creazione attorno alla persona da eliminare, di un clima di tensione insopportabile:atteggiamenti severi, minacce, a volte anche sabotaggi venuti dall’alto e non dimostrabili. Il bossing trova condizioni favorevoli per svilupparsi, grazie all’alto livello di disoccupazione,alla crisi economica ed all’altissima paura di perdere il posto di lavoro.

3)    Mobbing dal basso. Abbastanza raro. Nei pochi casi esistenti. E’ attuato attraverso         l’isolamento ed il sabotaggio contro un capo., il quale ha spesso difficoltà a discolparsi, considerato il numero dei detrattori.

4)    Mobbing orizzontale- è quello che avviene tra colleghi di lavoro e le motivazioni sono plurime: invidie, gelosie, necessità di scaricare le proprie frustrazioni e insicurezze lavorative sul collega timido o remissivo, o anche capace e percepito come ostacolo alla propria carriera.

5)    Mobbing sessuale-  Le molestie sessuali non costituiscono un vero mobbing ma possono sostituire un lavoratore licenziato costa circa 7.000 euro. In Europa si spendono circa essere il preambolo di una strategia di mobbing. Il mobbing, per essere tale, deve essere perpretato  come chiara intenzione di distruggere la vittima. Generalmente ha un effetto devastante perché va a toccare la sessualità di un persona, e quindi la sua identità, l’immagine sociale dell’individuo.

6)    Mobbing ambientale- Harald Ege rileva come anche il contesto, l’ambiente di lavoro in cui gli attori principali del mobbing si muovono ne influenza le dinamiche, oltre che i comportamenti sia del mobber che della vittima. L’azione  del mobber potrebbe infatti essere causata anche dal suo carattere cinico e sadico, che lo porta a perseguitare la sua vittima. Così anche il comportamento del mobbizzato che reagisce al mobber, in maniera attiva anziché con indifferenza, può favorire il mobbing stesso.

7)    Bullyng- si configura come una serie di azioni messe in atto dal “bullo”, colui che si fa grande all’interno di compagnie, per la sua prepotenza o spavalderia.. A differenza del mobbing che si manifesta soprattutto nei luoghi di lavoro, il bullyng si manifesta per lo più nelle scuole e nelle caserme.

 

Il mobbing rappresenta anche un costo oneroso per l’azienda. Le persecuzioni sul lavoro contribuiscono notevolmente a far calcolare la motivazione dei dipendenti. L’azienda è coinvolta in cause civili per il risarcimento dei danni fisici e morali verso le vittime. Vengono spesso licenziati elementi produttivi e competenti. Se è la vittima a licenziarsi, l’azienda è costretta a pagare la liquidazione, e 11.000 miliardi di vecchie lire per malattie collegate allo stress lavorativo.

 

 

2-Il carcere della vergogna(gli “eventi critici”)

 

 

 In Italia , come affermano alcuni criminologi, ci sono fenomeni molto ricorrenti di maltrattamenti nelle carceri o nelle stazioni di polizia. Si tratta spesso di fenomeni isolati o individuali; nel tempo tuttavia è cresciuta una pericolosa tendenza ad esercitare torture e maltrattamenti di gruppo. Si tratta di una tendenza esaltata da fenomeni quali: la contestazione politica, il terrorismo, la guerra e l’immigrazione.

Il carcere oggi, in regime democratico. Celle sovraffollate, strutture fatiscenti ai limiti dell’invivibilità per le pessime condizioni igienico-sanitarie, regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario non applicato quasi ovunque.

Il quadro che emerge da un recentissimo dossier dell’associazione Antigone, fa capire come il carcere sia di per se stesso una forma di tortura, e suona come un paradosso per istituti che dovrebbero rieducare alla legalità i malcapitati che ci finiscono dentro.

Il nuovo regolamento penitenziario varato il 20 settembre del 2000 è rimasto lettera morta.

Due articoli del regolamento davano cinque anni di tempo all’amministrazione penitenziaria per eseguire una serie di lavori strutturali, dalla creazione di servizi igienici distaccati dalla cella in cui c’è il letto alla fornitura di acqua calda e di docce. IL termine è ampiamente scaduto.

Al  31 agosto 2005 nelle 207 carceri italiane erano presenti 59.649 detenuti, a fronte di una capienza di 42.959. Quasi 17 mila detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili. Di questi il 28% sono tossicodipendenti, il 2,4% alcoldipendenti, il 2,6% sieropositivi . L’89% dei carcerati non ha una doccia nella propria cella; il 69% non ha l’acqua calda; il 12% dei detenuti vive in un carcere dove nelle celle il bagno non si trova in un vano separato ed è invece collocato vicino al letto; il 29,3% non può accendere direttamente le luci dall’interno della propria cella in quanto gli interruttori sono all’esterno; l’82% vive in carceri in cui non vi sono cucine ogni 200 persone, come prevede il regolamento; il 18,4% vive in celle dove anche durante la notte vi è luce intensa.

Gli immigrati sono 19.071 di cui 3.346 tossicodipendenti. Nel carcere dell’Ucciardone di Palermo, la cui struttura risale al 1832, al 30 giugno 2005 erano detenute 693 persone a fronte di una capienza di 383, e con condizioni igieniche spaventose. Nel carcere di Poggioreale, nelle celle convivono fino a 18 persone, con a disposizione un unico bagno ed un unico tavolo.

 

In queste condizioni si sviluppano i cosiddetti “eventi critici” (così vengono chiamati dalle autorità carcerarie.)  Si tratta di episodi di violenza all’interno degli Istituti,  praticata da quegli agenti carcerari che ritengono di poter scaricare sui detenuti le loro frustrazioni rendendo più penosa la pena e sicuri dell’impunità.

Centinaia di casi di pestaggi, di maltrattamenti, di violenze fisiche e morali sui detenuti sono stati denunciati negli ultimi anni da associazioni, parlamentari, organismi internazionali. Molti di essi hanno dato luogo ad inchieste giudiziarie. Ma solo alcune si sono concluse con la condanna dei responsabili. Sono noti i vari “ pestaggi” collettivi riportati dalla stampa in occasione di rivolte o semplici proteste dei detenuti per ottenere condizioni più umane,amnistie,indulti.(Alessandria,Sassari , Secondigliano , ReginaCoeli ecc.)

Controllando appunto la stampa degli ultimi anni, come Ares abbiamo fatto una stima indicativa dell’estensione di tali “eventi critici”.

I casi di tortura denunciati negli ultimi dieci anni superano il numero di 900. Ma considerando i casi non denunciati( il cosiddetto sommerso), si può supporre che il numero ammonti ad una cifra che va da 2000 a 3000 . In questa casistica vanno naturalmente ricomprese le centinaia di morti sospette o di induzioni al suicidio.

Si pensi che cifre ufficiose indicano, per il 2002, 53 suicidi e 113 decessi. Per il 2003 esiste solo un dato, avanzato dall’Osapp, uno dei sindacati autonomi della polizia penitenziaria, che parla di 39 suicidi nei primi otto mesi dell’anno.

 

 

3-Clandestini : la “tortura indiretta”

 

I “centri di permanenza temporanea” sono una triste novità nella storia del nostro paese: nei fatti sono dei centri di reclusione sorvegliati dalla polizia, che hanno introdotto il pericoloso principio della “detenzione amministrativa”, ovvero la possibilità di essere privati della libertà personale anche se non si è commesso alcun reato e non si è stati sottoposti ad un alcun tipo di processo davanti ad un giudice.

La situazione di incertezza e disinformazione, la paura di essere espulsi e ricondotti nei loro paesi di origine dove li attende spesso persecuzione e fame, le terribili condizioni sanitarie e di sovraffollamento di molti di questi centri,trattamenti disumani e degradanti come la prassi generalizzata di chiamare un appello ogni due ore e le lunghe code in piedi sotto il sole o la pioggia, sono state tra le cause principali delle rivolte scoppiate soprattutto nei centri siciliani. Per sedare le sommosse risulta che siano stati usati mezzi violenti e grandi quantità di tranquillanti. Uno dei casi più gravi ha riguardato Abdeleh Saber, un immigrato di 25 anni detenuto nel cpt di Lampedusa e morto in circostanze sospette dopo essere stato trasferito in carcere ad Agrigento e dopo che gli erano state iniettate massicce dosi di Narcan.

Ma il problema più grave è quello di oltre 250.000 persone che vivono e lavorano in Italia, che, senza aver avuto una reale possibilità di regolarizzarsi, rischiano , come gli internati nei cpt, di essere rimpatriate in modo coatto nei presunti paesi di provenienza, dove spesso devono subire il carcere e le botte della polizia ( in alcuni paesi nordafricani l’emigrazione clandestina è perseguita come reato). In Tunisia, come documentato da Amnesty International, gli immigrati rimpatriati riconosciuti come oppositori politici rischiano torture e persecuzioni estese anche alle famiglie.

Per non parlare poi degli omosessuali o delle prostitute, che, se rimpatriati   con i voli charter, rischiano persecuzioni e linciaggi soprattutto nei paesi islamici.

Questo tipo inumano di espulsioni e di respingimenti, questi rimpatri per i quali gli immigrati rischiano il carcere o addirittura di essere uccisi, potremmo chiamarli casi di “tortura indiretta”dove i responsabili sono le autorità italiane. Si può ritenere che negli ultimi cinque anni i casi di “

tortura indiretta” abbiano superato il numero di 2.000 .

 

 

4-I lager dell’assistenza

 

L’invecchiamento della popolazione e le modifiche sopravvenute nella struttura e nel comportamento delle famiglie hanno fatto passare il numero delle case di riposo da 3.608 nel 1991 alle 4.626 attuali, di cui il 58% è in mano ai privati.

L’allungamento della vita e la presenza di ben 11 milioni di over 60 anni hanno quindi fatto intravedere a privati, ma anche gruppi di stranieri, la possibilità di guadagno in questo settore emergente, dove la gran parte di chi chiede assistenza è costretta a pagarla, molto spesso a caro prezzo. Un’indagine dell’Osservatorio della Terza Età (Ageing Society) ha rilevato che solo il 4,9 degli ospiti di una casa di riposo non paga alcuna retta, contro il 62% che è costretto a versare i mensili di tasca propria. E’ stato rilevato che una persona in un ospizio costa da 600 euro al mese fino ai 1.500-2.550 euro in caso di assistenza parasanitaria in una Rsa. Di qui la stima di un giro d’affari che supera i 2 miliardi di euro all’anno ma che è destinato ad incrementarsi considerevolmente dato che gli over 65 anni nei prossimi 20 anni saranno il 25% della popolazione.

A fronte di tali fatturati, la stampa quotidiana nazionale continua a pubblicare notizie su drammatici casi di abbandono e maltrattamenti di anziani non autossuficienti  ricoverati in strutture di assistenza definiti usualmente “ospizi lager”. Sempre secondo le cronache in tali strutture fatiscenti parecchi anziani sarebbero morti a causa dei maltrattamenti.

Il quadro generale è sconfortante, con autentiche degenerazioni criminali. Percosse, lesioni, spilloni sulle mani, pulizie personali di notte e con l’acqua gelata, così venivano trattati gli anziani di una residenza a Matera. Ma ovunque le ispezioni dei carabinieri hanno portato alla scoperta di situazioni raccapriccianti. Gli ospiti vengono lasciati spesso in pessime condizioni igieniche personali, a volte percossi e trattati con crudeltà, pur pagando salate rette mensili. Tanto che alcune onlus per la lotta alla non autossuficienza hanno istituto un servizio telefonico per gli anziani che subiscono violenze fisiche.

La stima dei casi di tortura in questo campo non è facile data la certamente vasta area del sommerso. Considerato che le notizie di scoperta di lager hanno una scadenza di circa tre volte l’anno, e che i casi denunciati riguardano quasi sempre almeno una trentina di anziani ,si può calcolare che il numero di anziani “torturati” raggiunga circa il numero di 400 negli ultimi 5 anni.

Tenendo conto del vasto sommerso, si può arrivare al migliaio.

 

 

 

5-La tortura politica

 

La storia recente della tortura politica in Italia si può convenzionalmente dividere in due periodi.

Quella avvenuta negli anni ’70-’80 cioè nel periodo della contestazione e del terrorismo (italiano) e quella di questi ultimi anni caratterizzati dalle lotte antiliberiste e per la pace che hanno avuto per protagonisti i no-global ( o meglio altermondialisti).

Sui noti fatti di Genova avvenuti nel luglio 2000, e che sono stati preceduti dalla anch’essa nota repressione della manifestazione di Napoli,basterà accennare allo stato delle inchieste in corso.

1)    Per l’irruzione e i pestaggi alla scuola Diaz nella notte tra il 21 e il 22 luglio,

 sono stati rinviati a giudizio 28 funzionari di polizia. Tra questi anche alcuni big delle forze dell’ordine come Vincenzo Canterini,ex comandante reparto celere di Roma, che, nonostante sia sotto processo, è stato recentemente promosso. Tutti e 28 sono accusati, a vario titolo, di falsità ideologica, calunnie gravi, violenza privata, danneggiamenti, perquisizione arbitraria, percosse. L’aver orchestrato il ritrovamento nella scuola adibita a dormitorio di due bombe e di aver preconfezionato l’accoltellamento di un agente. Il tutto allo scopo di giustificare in qualche modo il blitz e la mattanza che ne è seguita.

Sono 97 invece le parti lese: ossia  93 persone picchiate e arrestate. Per il processo sono previsti tempi lunghissimi visto che sono oltre 300 i testi fra accusa e difesa da sentire in aula in almeno 200 udienze.

2)  Calci, pugni, sputi, minacce e trattamenti inumani e degradanti di ogni tipo sono invece in scena nel processo per le violenze e gli abusi di Bolzaneto. Ma dato che in Italia non esiste ancora il reato di tortura, i 45 rinviati a giudizio dovranno rispondete di abuso d’ufficio, violenza privata, falso ideologico, abuso di autorità contro detenuti o arrestati, violazione dell’ordinamento penitenziario e anche dell’art. 3 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Anche questo processo sarà una vera e propria lotta contro il tempo. Per quasi tutti i reati contestati il termine della prescrizione scatta nel 2008. Il che significa che entro quel termine bisogna arrivare  almeno alle condanne in primo grado.

3)     L’unico dei tre grandi processi collegati ai fatti genovesi per il quale il rischio di prescrizione non c’è è quello che ha come imputati non le forze dell’ordine, ma i manifestanti . E’ il processo contro i 25 accusati di “devastazione e saccheggio”. Insomma il processo ai cattivi, il primo processo ad essere iniziato nel 2004.

 

Quanto alle torture avvenute negli anni ’70-80, si deve ricordare che per ben tre volte, nel febbraio, nel marzo e nel luglio del 1982 l’allora Ministro dell’interno Virginio Rognoni dovette recarsi in Parlamento a rispondere su un dilemma assai lacerante, alla base della democrazia e del diritto: per battere il terrorismo: lo Stato fece uso di tortura? Il governo negò sempre,  lasciando però credere tra le righe che qualche tortura c’era stata.

La questione- e la risposta affermativa- si trovano documentate in un libro della casa editrice “Sensibili alle foglie” pubblicato appunto con il titolo:”le torture affiorate”. Vi si trovano dentro cose che nessuno sapeva o ricorda più:testimonianze,perizie mediche, denunce, verbali di interrogatorio, deposizioni nei tribunali, sentenze, lettere ai parenti e agli avvocati, articoli sui giornali, interpellanze, dibattiti parlamentari.

Il libro dà conto di 32 casi, tra cui sette donne, riportati tra il 1975 e il 1982. Il tutto documentato con fotografie a colori. Le immagini del volto tumefatto del brigatista Cesare Di Leonardo, coinvolto nel sequestro del generale Dozier, ci ricordano che cinque ufficiali di Ps praticarono una violenza, crudele e scientifica, tanto che nessuno si sentì nelle condizioni di poterli assolvere. E infatti furono condannati, anche in appello. Poi parzialmente amnistiati. Uno di loro fu eletto alla Camera, con il psdi.

Ne “ Le torture affiorate”emerge un campionario di pratiche su corpi di semplici inquisiti – anche sempre nudi, spesso incappucciati, non di rado legati al “tavolaccio”, manette strette all’inverosimile, spilli sotto le unghie, acqua incubata e pompate sullo stomaco, bruciature di sigarette qui e là, nervi del collo tirati, iniezioni di Pentotal, capezzoli strizzati, sale e aceto sulle ferite, fiamme sotto le piante dei piedi, cordicelle a tirare i testicoli, giochi d’elettricità….

Anche lì si cercò in un primo tempo di negare. Dopo l’arresto di un giornalista, Piervittorio Buffa dell’Espresso, che con scrupolo e coraggio aveva segnalato il caso, venne fuori che le notizie gli erano arrivate dall’interno della Polizia. Il sindacato Sulp denunciò metodi che erano stati incoraggiati dall’alto. Un capitano si assunse la responsabilità delle rivelazioni.. Significative le parole pronunciate allora da Sciascia: “Non si converge assolutamente con il terrorismo-disse- quando si affronta il problema della tortura.

“Episodi recentemente documentati e che non hanno fino ad ora provocato alcuna credibile smentita, ci autorizzano a ritenere che l’uso della tortura è ormai entrato a far parte del trattamento riservato ai fermati ed agli arrestati, nel corso di operazioni antiterrorismo” così nel febbraio 1982

rilevava un appello firmato nel febbraio 1982 dal Comitato italiano contro l’uso della tortura per lanciare una campagna di informazione. Il Comitato denunciava circostanze inquietanti, tecniche di interrogatorio disumane, uso di particolari sostanze chimiche, e di condizioni mortificanti in tutte le misure di detenzione.

Nei primi tre mesi del 1982 Amnesty International raccolse una “mole impressionante” di denunce di tortura in Italia : “Tra le nostre fonti non ci sono solo le dichiarazioni delle vittime. Esistono anche lettere di agenti di polizia che lamentano la frequenza con cui la tortura verrebbe applicata a persone arrestate per terrorismo” (cfr. L’Espresso 21.3.82).

Secondo il giornalista Alfonso  D’Ippolito, la pratica della tortura in Italia non fu solo il frutto di iniziative individuali o delle fantasie sadiche di singoli poliziotti, ma segnò la prosecuzione di un processo repressivo che può trovare le sue radici nella progressiva evoluzione in senso sempre più autoritario degli apparati dello Stato.

Quanto alla stima del fenomeno, si rileva che i casi di tortura politica, considerando i periodi citati, sarebbero circa 500, di cui circa 240 di gruppo( come per gli episodi accaduti a Genova durante il G8 ed a Napoli nella manifestazione di qualche mese prima).

 

 

Il mistero delle vittime di “tortura elettronica”

 

Da annoverare tra i tipi di tortura politica o di Stato è anche quella che attualmente e continuativamente subirebbero parecchie persone in Italia, persone che si definiscono vittime di armi elettroniche mentali. Su tale fenomeno , che potrebbe essere meno circoscritto di quanto si creda, è intervenuta in qualche caso la stampa ed anche la televisione (cfr. 14.12. 2003 : Minoli /La storia siamo noi /RAI; 4.5.2003 : Stargate (la 7)

Ma vi sono riscontri soprattutto su alcuni siti Internet. Molto recentemente è stata costituita una associazione tra le attuali vittime.

Nella ricerca effettuata si è venuti a contatto con alcune di queste persone che ci hanno anche fornito documenti che attestano i fatti di cui si lamentano (controllo mentale tramite microchip,torture effettuate con ultrasuoni od altri strumenti elettronici a distanza, violenze fisiche ripetute, aggressioni.) . Alcune inchieste giudiziarie ancora in corso sono appunto collegate ai trattamenti di tal tipo subiti.Per gli interessati il fine perseguito dai torturatori( che restano ignoti ma sono ipotizzati tra i servizi speciali di sicurezza) sarebbe quello di annullare la personalità e le capacità di reazione.

Si tratterebbe in sostanza di una grave forma di mobbing attuato con mezzi sofisticati.

Si rileva a tal proposito come in una newsletter il garante per la protezione dei dati personali  ammette l’uso improprio di microchip sottopelle dichiarando che”tali impianti devono ritenersi in via di principio esclusi in quanto in contrasto con i diritti , le libertà fondamentali e la dignità della persona” (n. 249 del 21-27 marzo 2005)

Vi è da aggiungere che le “vittime”, come appare documentato, hanno dato fastidio in passato ai centri di potere con comportamenti politici o con denunce relative a episodi di corruzione nell’ambito dell’apparato statale.

 

 

Roma 3 0ttobre 2005-

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